domenica 21 dicembre 2008

BUCCELLATI



I buccellati sono i nostri dolci tipici natalizi, che nonostante le invasioni gastronomiche dei panettoni e pandori, rappresentano un forte richiamo al Natale. I buccellati profumano d'oriente grazie ad un lontano scambio di tradizioni con gli arabi e rappresentano i dolci del barocco siciliano e per la magnificenza delle forme e per la complessità degli ingredienti. Nelle linee generali sono dolci a pasta asciutta, ricoperti da una glassa di zucchero, con un ripieno di frutta secca e candita, dove i fichi secchi, l'uva passa, la zuccata, le mandorle ed il cioccolato sono i principali componenti dell'impasto aromatizzato con varie spezie. La fantasia delle nostre nonne e la disponibilità di altri ingredienti presentano un vasto ventaglio di varianti tale da diversificarne il gusto. Il buccellato è un dolce di scambio, rappresenta il dono natalizio che racchiude tutte le amorevoli cure della sua lunga preparazione. È difficile dare una ricetta perché in genere non si procede mai secondo ricettario ma vengono seguiti i gusti delle famiglie per cui la ricetta che si propone è una delle tante possibili.


Ingredienti del ripieno:

1 Kg fichi secchi 300 gr uva sultanina
300 gr cioccolato fondente 400 gr zuccata
250 gr mandorle
100 gr noci
2 manderini
una stecca di cannella
1/2 cucchiaio di chiodi di garofano
1/2 cucchiaio di cumino (camomo)
caffè


Ingredienti per la pasta:

1 Kg farina 00
1/2 Kg farina di grano duro 200 gr zucchero
200 gr strutto
2 Buste di vaniglia
l Uovo intero + 2 tuorli
40 gr di carbonato di ammonio (ammoniaca)
Ingredienti per la glassa 2 albumi
400 gr zucchero a velo
2 Bustine di vaniglia Poche gocce di limone codette colorate


PREPARAZIONE
Il ripieno deve essere preparato almeno un giorno prima in modo tale da regolarne il giusto grado di morbidezza (un ripieno troppo molle fa sciogliere la pasta dopo la cottura).
Ammollare in acqua calda l'uva sultanina, triturare finemente le mandorle e le noci, tagliuzzare il cioccolato, macinare·i fichi ,secchi dopo ammollatura in acqua calda, tritare le bucce dei mandarini, pestare in un mortaio i chiodi di garofano, il camomo e la cannella ed infine preparare un infuso di caffè e zucchero con circa 100 gr di caffè e 50 gr di zucchero per litro di acqua.
In una ciotola molto capiente versare tutti gli ingredienti ad eccezione del cioccolato e amalgamare il tutto versando a poco a poco l'infuso di caffè caldo. Il giusto grado di morbidezza è raggiunto quando con un cucchiaio si preleva senza resistenza il composto. Appena raffreddato il composto aggiungete il cioccolato. Il giorno successivo si valuta nuovamente la consistenza e se necessario aggiungete solo acqua fredda quanto basta.


La pasta va lavorata come qualsiasi pasta biscotto con l'aggiunta di sola acqua poiché il latte fa perdere la fragranza e la friabilità dopo la cottura. Lavorare in una ciotola lo strutto insieme allo zucchero ed alle uova. Preparare una miscela delle due farine, con l'aggiunta della vaniglia e del carbonato di ammonio, da versare in una spianatoia a fontana ed amalgamare con il composto di uova, zucchero e strutto con aggiunta di acqua sino ad arrivare alla consistenza di pasta biscotto.
Con un matterello stendere la pasta, riporre il ripieno ed arrotolare. Si possono creare tutte le forme desiderate dalla ciambella al tortello, ma per tutte le forme prescelte la superficie del buccellato deve essere intagliata o con una lametta o con delle forbici ben taglienti. L'intagliatura ha lo scopo di trattenere la glassa e viene sempre effettuata dalle mani più esperte perché è un'arte decorativa.


La cottura va a forno moderato (circa 180°) per 30 minuti. Per preparare la glassa si montano a neve soda gli albumi e si aggiunge poco alla volta lo zucchero mescolando continuamente. Alla fine aggiungere la vaniglia e poche gocce di limone poiché un eccesso farebbe ingiallire la glassa. Stendere con un pennello la glassa sui buccellati ancora caldi e cospargere di codette e cannella macinata.
Appena asciutti riporre i dolci in un recipiente chiuso ermeticamente. In luogo asciutto possono essere anche conservati per mesi, golosità permettendo.

(a cura di Antonella Gullo)

martedì 9 dicembre 2008

i piedi di vita


I piedi, come fu,
sembravano di piombo

le mani, come sempre,
sudavano di grasso

la fronte, m’hanno detto,
colava di sudore

la lingua, la sentivo,
bruciava di calore

e dentro la fornace
ardevan le sue carni

che forse non olean
ma sapevano di pace

la pace che trovò
nessuno mai lo seppe

ma questa, non si dica,
che è storia di vita

(pinardelrio)

venerdì 28 novembre 2008

panino ca' muitatella

Istruzioni:
1. reperire un panino preferibilmente caldo e inciminato (la tradizione pretende la mafaldina ma a parere dello scrivente l'uso alternativo del semprefresco, del rimacinato, del francesino o della vastidduzza mantiene alto il livello della produzione. Al contrario sembrerebbe pacifica l'inammisssibilità al connubio della rosetta , per ovvi motivi che attengono alla pretesa mascolinità del prodotto. Per lo stesso futile motivo, le scuole più integraliste ritengono non ammessibile il "francesino" )

2. reperire, possibilmente presso altro rivenditore, della mortadella rigorosamente tagliata al momento (prove di laboratorio sembrerebbero dimostrare che gli aromi del predetto ingrediente si dileguino nell'atmosfera con una velocità di diffusione (più tecnicamente sbapurazione) non riscontrabili in nessun altro gas esistente, benchè nobile)

3. ritornare con i due ingredienti, frettolosamente, a casa, prima che quello si raffreddi e questi perda il profumo (sbapuri). Non dimenticate di pagare i due rivenditori perchè in quel caso gli ingredienti acquisirebbero un retrogusto di "amaro"

4. giunti a casa con sufficiente anticipo rispetto ai tempi di degradazione dell'ingrediante di cui al punto 2., tagliare il panino lungo il piano di mezzeria longitudinale, stendendo, almeno, due mani di mortadella;

5. riponete prontamente la metà inciminata sul preparato avendo cura di rispettare l'originario verso. In caso contrario potrebbe risultare compromessa l'intera preparazione e rendersi necessario ritornare al puno 1. per scadenza dei perentori termini previsti

6. assaporate ad ampi morsi il manufatto così realizzato sorseggiando a circa metà panino e lasciando liberamente sfogare gli effluvi viscerali prontamente accorsi verso tutti gli orifizi.

7. eventuali insistenti rumori dalle pareti circostanti non dovrebbero destare preoccupazione perchè, verosimilmente, provenienti dai vicini dei piani superiore ed inferiore,
dissenzienti e proclivi alle comunicazioni della più antica tradizione siciliana: "u' manicu i scupa" .

8. procedete, serenamente, fino alla fine ma ricordate che, ad oggi, ancora non ha trovato soluzione la ricerca della migliore bevanda da abbinare al piatto

9. gli attuali e più diffusi orientamenti indicano nella birra la compagna che più integra l'alleanza, ma la ricerca è tutt'oggi aperta.

Chi ddici! e ancora lo chiamano "u panino ca muitatella"!
ciao
(GiGi )

venerdì 31 ottobre 2008

cucuzza russa c'acitu


Bedda biddazza, faccia di cucuzzazza, comu chidda chi avi sutta u letto me mà!
Così, quando ancora ero bambina, mia madre esternava il suo affetto per me, nonché tutto il suo compiacimento per aver fatto di me una bimba paffuta col visetto a palla!
Io che un poco babba lo sono sempre stata, e che mi scantavo degli specchi, perché mi avevano raccontato che nello specchio c’era il diavolo, volevo capire come fosse la cucuzza, per pendere coscienza della mia facciazza.
E siccome credevo davvero che, la cucuzza, fosse sotto il letto di mia nonna, quando andavo a trovare la nonna, mi fiondavo sotto il suo lettone a tre piani, era fatto con i trispiti, su cui poggiava u tavolazzo e sul tavulazzo poggiavano tre o quattro materassi riempiti di lana, ma già eravamo nell’era moderna perché ancor prima i materassi, mia madre mi racconta, erano imbottiti cu crinu, un materiale che si otteneva lavorando la ddisa, arbusto tipico della macchia mediterranea!
Quanto guardarmi allo specchio non se ne parlava proprio! Perché lo scanto non era normale, addirittura appena mi avvicinavo allo specchio della mia cameretta mi abbassavo e camminavo carponi per evitare l’incontro con la creatura.
Preferivo la zucca!
Ma che delusione però, sotto il letto non c’era la cucuzza, ma una trappola per i topi di quelle a scatto col cacio tanfuso per esca, da qui si spiega il tanfo pregnante di casa di mia nonna, che continuo a portare come suo ricordo insieme agli scricchiolii del pavimento e della mobilia.
Così, per tanto tempo, ho creduto di somigliare ad una cucuzza non bene identificata, finché non mi sono fatta coraggio e ho affrontato il mostro dello specchio, quanto alle zucche ho capito che, meglio se fritte in agrodolce
Cucuzza russa c’acitu
Ingredienti• un bel pezzo di zucca rossa;• una testa d’aglio,• ½ bicchiere di aceto di vino rosso annacquato con poca acqua;• abbondante olio di oliva extravergine.
Procedimento Ridurre la zucca in fette di uno spessore di circa mezzo centimetro, salarla e metterla in un colapasta affinché espella parte dell’acqua di vegetazione. Scaldare l’olio e friggervi la zucca, a fiamma relativamente bassa per evitare che bruci e che resti cruda.
A fine frittura eliminare parte dell’olio e nella stessa padella ‘ngraciare appena appena l’aglio che è stato, con una santa pacienza, precedentemente spellato, aggiungere l’aceto facendo attenzione a non bruciarci perché schizza dappertutto.
Versare l’olio con l’aceto sulla cucuzza e lasciare riposare per un paio di ore prima di assaggiarla.
(Antonella Gullo)

mercoledì 29 ottobre 2008

ho fiducia nella provvidenza


Oggi ho incontrato Biagio Conte.
L'ho visto,stava parlando con un amico mentre passeggiava.
Era proprio come in fotografia nei giornali o in tv.
Mi e' venuto spontaneo fermarlo e salutarlo.
"Sono proprio io in carne ed ossa" mi ha detto sorridendo,
ed ha aggiunto "anche se le mie ossa...." facendo
intravedere un stampella a cui si appoggiava.
L'aspetto giovane ma stanco.
Ha proseguito a camminare,sono rimasto fermo ma
poi l'ho raggiunto per offrirgli qualche euro per la sua
missione.
Ha detto che non poteva prendere niente ma qualsiasi
cosa l'avrei potuto portare in via Archirafi.
"Ho fiducia nella provvidenza" ha aggiunto salutandomi.
Mi sono detto:"perche' non dirlo anche a chi puo' farlo?"

Sandokan
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giovedì 23 ottobre 2008

Dolcemente Salato



Degustazioni guidate, incontri
A cura e con la collaborazione di Cerere,associazione culturale

Sabato 8 novembre

Ore 10,45 sala incontri
Seminario: “Il formaggio in Sicilia, lo stato dell’arte” – Impressioni e progetti per una qualità sempre più di eccellenza(partecipano produttori,operatori,docenti,giornalisti)
Moderatore Elio Ragazzoni, giornalista, Vicepresidente Onaf.
Segue degustazione a cura dei soci ONAF
Posti disponibili 20

Ore 11/13 visite guidate alle birre con Kuaska(prenotarsi)

Ore 16,30 sala incontri
Le grandi birre del Belgio
Conduce Lorenzo Dabove (Kuaska), con la partecipazione di Sandro Vecchiato
Posti disponibili 30
Costo: 15 € interi; 13€ ridotti

Ore 18,30 sala incontri
Le grandi birre di Teo Musso incontrano i grandi formaggi italiani
Conducono Teo Musso Lorenzo Dabove Elio Ragazzoni
Posti disponibili 30
Costo: 15 € interi; 13 € ridotti

Ore 20,15 sala incontri
Caprini piemontesi e siciliani:due realta’ di eleganza.
Conduce Elio Ragazzoni
Costo: 15 € interi ; 13 € ridotti
Posti disponibili 30



Domenica 9 Novembre

Ore10,45 sala incontri
L’ ONAF in Sicilia:
Incontro con i soci , gli appassionati,gli operatori: prospettive per il 2009, l’anno del ventennale.
Segue degustazione a cura dei soci ONAF

Ore 11/13 visite guidate alle birre con Kuaska(prenotarsi)

Ore 13 pranzo-ticket,giardino d’inverno(piano terreno) Costo 10 €

Ore16,30 sala incontri
Le birre siciliane si sposano con i formaggi Dop siciliani
Conducono Lorenzo Dabove (Kuaska) e Elio Ragazzoni
Costo:intero € 15, ridotto €13

Ore 18,30 sala incontri
Le birre artigianali italiane del CONSOBIR incontrano i formaggi presenti al salone
Conducono Lorenzo Dabove (Kuaska) e Elio Ragazzoni
Posti disponibili 30
Costo: intero € 15,ridotto €13


Info e prenotazioni:
Mauro Ricci 348 4 159 159
OliverWine House ,via F.P.Di Blasi,2 (ang.via Libertà) tel. 091 6256617,
cell.393 93188 23(Francesca)
Armetta il locale del buon formaggio,via dei Quartieri,6 tel.091 6888986, c cell.328 9888019(Teresa)
Picone enoteca via Marconi,36 tel 091331300
-Il pagamento delle degustazioni deve essere eseguito entro il 6 novembre presso Oliver,Armetta,Picone.

-Ingresso gratuito al Salone ai partecipanti alle degustazioni.
-Due degustazioni 25€,tre degustazioni 35€
-Ridotti : soci Cerere e ONAF
-I partecipanti a2 o piu’ incontri riceveranno un attestato di partecipazione





I Partecipanti



Lorenzo Dabove in arte Kuaska,
degustatore professionista e giudice internazionale nella World Beer Cup e nella European Beer Star
http://www.kuaska.it/


Teo Musso,
mastro birraio del birrificio Le Baladin, leader carismatico dei produttori di birra artigianale in Italia
http://www.teomusso.it/

Elio Ragazzoni,
giornalista, vice presidente ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggio), docente e Maestro Assaggiatore.
http://www.onaf.it/

Sandro Vecchiato
leader di Interbrau, azienda di importazione e distribuzione birre internazionali
http://www.interbrau.it/

CONSOBIR, consorzio di birrifici italiani
http://www.gustoblog.it/post/3073/consobir-consorzio-birrai-italiani-riuniti



(antonella gullo)

giovedì 16 ottobre 2008

certi cani


Certi momenti arrivano
Certi momenti passano

Non c’è tempo per i passeri
Ma c’è tempo per i tuoni

Il tuono rompe il silenzio
E il silenzio si china

Ma non si piega
E torna nella notte

Un suono più dolce
Arriva da lontano

E’ il sole che s’alza
E il vento lo onora

Gli dice di farsi cullare
E la luce scorre sul fiato

Ma che fiato
Ma che luce
Ma che giorno

Torno,
e non vedo i miei cani

(pinardelrio)

martedì 23 settembre 2008

una teoria evolutiva del bene e del male


Marc D. Hauser, un biologo di Harvard, ha proposto la teoria secondo cui gli esseri umani nascono con una grammatica morale installata nei loro circuiti neurali dall’evoluzione.
In un suo nuovo libro, “Moral Minds”, sostiene che tale grammatica generi giudizi morali istantanei che, in parte a causa della rapidità delle decisioni che devono essere prese in situazioni di vita o di morte, sono inaccessibili alla mente cosciente.
Va detto che Hauser ha presentato la propria tesi come ipotesi ancora da provare. Di Marc D. Hauser è stato pubblicato in italiano il libro “Menti selvagge. Cosa veramente pensano gli animali” (Newton Compton, 2002).

Un articolo di Nicholas Wade è stato pubblicato sul sito del New York Times

martedì 16 settembre 2008

finale di partita

FINALE DI PARTITA

al Maestro Sergio Vacchi per il suo genetliaco

Sta svaporando
il futile ordito della vita.
E' tempo di verifiche e commiati
si salda il cerchio delle artiche pene,
di fugaci letizie, di perduti amori.
Fugge l'ora foriera di ricordi
come la salsa rena fra le dita,
come il garbato soffio del Grecale
che scompiglia il fogliame.


Fugge il mio turpe sangue, è già domani.
La dama si è sguarnita di pedine,
di stanchi volti a cui volevo bene
Cosa rimane nelle vuote mani ?
Solo versi patetici
macerati dal pianto,
solo il ciarpame della vana gloria
solo questo "finale di partita".

Siena, 7 marzo 1998

lunedì 1 settembre 2008

Il lavoro fa schifo


recensione di un Saggio di Cali Ressler e Jody Thompson
editrice Elliot -
prezzo € 16.50
Il lavoro non è un luogo fisico dove ci rechiamo ogni mattina, ma è ciò che facciamo. Sono le nostre idee, i nostri progetti.
Il lavoro non può essere la negazione della nostra vita. Questo libro esamina i motivi che rendono la maggior parte dei luoghi di lavoro poco funzionali e propone un metodo nuovo (e sorprendentemente efficace) per eliminare le false convinzioni che impediscono di sviluppare appieno le potenzialità del lavoratore.
In un ufficio rivoluzionato il dipendente è pagato per la quantità di lavoro che produce, non per la porzione di vita che regala. Questa semplice idea contribuisce a sviluppare un personale più stimolato, concentrato, disciplinato e, soprattutto, soddisfatto.
Ormai il concetto tradizionale di lavoro (36/40 ore settimanali, lunedì¬-venerdì, 9-17) è¨ superato. Vediamo persone inadeguate alle loro mansioni che vengono promosse solo perchè arrivano prima e si trattengono più a lungo di tutti gli altri alla loro postazione. Partecipiamo a lunghissime, e molto spesso inutili, riunioni dove sopportiamo colleghi che pongono domande insulse solo per sottolineare la loro presenza.
Viviamo nella cosiddetta Era dell’Informazione, della tecnologia che avvicina le persone, ma nella sostanza la natura del posto di lavoro, gli orari e la presenza obbligata dietro una scrivania non sono cambiati dall’Era Industriale, quando la catena di montaggio esigeva la presenza fisica dell’operaio.
Non è¨ necessario che lavoratori e aziende stravolgano la propria natura per attuare questa rivoluzione: basta cambiare modo di lavorare.
(recensione tratta dal sito Qlibri)

***

In breve il libro espone i risultati di un esperimento realizzato in alcni ambienti di lavoro (pubblci e privati) negli USA. Le ricercatrici hanno introdotto il lavoro senza obblighi di orario. Ad ognuno viene dato un incarico e il lavoratore può svolgerlo dove e negli orari a lui più graditi , rispettando comunque i tempi di consegna. Nessun obbligo di presenza , nessuno badge, nessuna firma, nessun controllo sulla presenza. Risultato? La produttività è aumentata ovunque si sia realizzato questo esperimento!

pippo vinci

giovedì 7 agosto 2008

buone vacanze anche alla "banda degli omessi"

come d'abitudine , in occasione di feste, vacanze e tarallucci, ci teniamo a fare gli auguri ai nostri lettori, collaboratori, amici vicini e amici lontani. Scusateci per qualche omissione. Buone vacanze, quindi, anche agli "omessi".
adolfo conte, alberto antonetti,alberto wolleb, alessandra bertorotta,alessandra lupo,alessandra vassallo,alessandro cusimano, amedeo contino, angela alagna, angela sgadari, angelina nogara, anita moretti casartelli, anna giordano, anna maria turcato,antonella gullo, antonella scianna, antonio piceno, antonio piparo,antonio terranova, antonio tricoli, armando guccione,assia,assunta armanio, attilio guarraci,aurelio scavone,barbara grimaudo, benedetto mazzola,bill mac stanton, blues historian blogspot,brigitte bavastrelli,calogero lo dico,cesare rao camemi,chicco di blasi,claudia giunta,concetta ansaldi,conticello,cosima ravello, cosimo fermo, dacia di cristina, daniela arletti,daniela calzoni, daniela tripisciano, daniela vinci, daniele arrigo, davide consoli, domenico puma,domenico sapuppo,donatella schembri,elisa deagostini, emanuele (elio) vitrano catania, emanuele dalli cardillo (il mio dentista), enrico lunetto,enrico sesti,enza di gangi, ettore pinsolo, fabio giambrone, federico guccione,francesca orlando, francesca terranova, francesco de rosa,franco clemenza,fulvio bellomo,gabriella bellorio, gabriella orlando, giacomo casartelli, gianpaolo vinciguerra ,giovanna lui, giovanna sausa, giovanna troisi,giovanna vesco, giovannella brancato,giovanni bonanno, giovanni butti, giovanni guccione, giovanni zagara,giuseppe caliri, giuseppe clemente, giuseppe cumbo, giuseppe giudice,giuseppe lo giudice,giuseppe prestigiacomo, guido sireci, ida agosta, irene liquidato,irene zanca,isabella ghezzi,la taverna del pavone, laura pantaleone,laura picone, leanne estreich, lella valenti, lena aggio butti,leoluca orlando,letizia,lidia tarantino,lia sava, loredana cammarata,lorena balsano, lorenzo de gama, lucio pristina,luca adragna,luca cuppari,luigi altezza, m carmela vinci, marcello philippson,margarete miceli, margherita bazzi, margherita casartelli, maria amoroso, maria buttitta,maria castri, maria chiara pavone,maria grazia nicoletti, maria licciardi, maria vinci contino, marianna parlato,marica castello,mario pasquotto, marta terranova, matilde, maurizio busè,maurizio chierici,maurizio contino, maurizio giuliano,michele lacagnina,mimmo giubilaro, monica butti, monica picone, moshem,nadejda vassileva,natasha murgia,neil snake, nicola lombardozzi,ninni picone, ninni vinci, ottavio terranova, paola barbasso, paola pintacuda, paola sconzo, paolo di matteo, paolo greco, paolo minoia,pete greenway, patrizia lo campo, pierre lo dico,pietro cavarretta, pietro teresi, pietro vinciguerra, pino potestio,pino zac,pippo montedoro, pippo sole, pippo sutera,ramona balsano, renzo romano, rita borsellino, rita foti,roberto cappedelli,roberto morpurgo, rosalia fatta,rosalìo, rosa bertolino,salvatore altamore, salvo barbaro, salvo caleca, salvo de caro, sandra conti, sandra torina, sandro cuccio,sara casartelli, sasà modica, sciacca in my mind, sebastiano cinque, sergio munafò,simona pantaleone, slavo simeonov, stefania mento, stefano baldi,stefano picone sr,stefano picone jr, stella, sudir de gregorio, teta gino,tonino simeti,valeria di chiara, valeria giunta,valeria vinci, vincenzo lo re, vincenzo lotà, vito lo jacono,vivi sgadari.... la banda degli omessi

giovedì 31 luglio 2008

Lo stronzo di Bridges

Faccio notare che oggi è venerdì 17. Qualsiasi disgrazia succede non è colpa nostra.
Intanto decidiamo, appunto, di sfidare il fato facendo una gita in battello lungo il malfamato Canale di Beagle.
Siamo arrivati al porto divisi. In gruppetti omogenei. C’è grande democrazia e discrezione nel gruppo. Ma alle 9.30 siamo tutti lì. C’è anche grande disciplina.
Un grande gruppo.
Questa volta, però, non possiamo imporre la nostra volontà e ci imbarcano su un catamarano. E’ enorme e nuovo; non ha la terrazza e, soprattutto, non è storico. Il nostro disappunto cresce quando, all’uscita del porto, vediamo ancorato il “Barracuda” un barcone storico semi affondato che faceva proprio al caso nostro. Protestiamo, ma ci calmano dicendoci che il Barracuda, oramai, può affrontare solo piccoli tragitti di 2 ore vicino la riva. Noi invece abbiamo scelto di fare un giro più lungo e periglioso. Durerà 11 ore. Noi l’avremmo fatto volentieri con il Barracuda. Ma oramai siamo qua..
Il catamarano è lentissimo. Partiamo alle 9 e 45. Visitiamo scogli e scoglietti con i soliti insopportabili pinguini. Leoni marini e cormorani.
Sono convinto che oramai, a parte Armando, tutti noi, nella nostra vita, abbiamo visto più pinguini che galline, mucche e muli messi insieme.
Nel corso della crociera la guida ci informa continuamente sui nomi delle isolette che incrociamo e sulla loro appartenenza politico- geografica. Questa è del Cile, quella è dell’Argentina, questa ancora è del Cile .. e così via per 11 ore. La vogliamo uccidere.
Dopo essere passati a prendere l’immondizia dalla gendarmeria di un isolotto isolato, attracchiamo in un’isoletta dove visiteremo la Estancia di Bridges. Questi era uno stronzo inglese che con la scusa di predicare la parola di Dio, ha occupato 2000 ettari di territorio yamani33(nome del popolo originario della terra del fuoco) e contribuito a sterminare gli indigeni locali che vivevano felici da queste parti vestiti solo di grasso di foca e mangiando solo palline di gomma senza sapore.
Ma il buon Bridges, prima di annientarli, ha fatto in tempo a scrivere un vocabolario yamani – inglese col solo scopo di mettere sui cartelli turistici i nomi originali dei posti e delle piante che ora mostra con orgoglio ai turisti che, ignari del suo atto criminale, pensano che questo ostentato bilinguismo sia un atto di rispetto e di amore per gli aborigeni.
All’ingresso della estancia ci dividono in due gruppetti gli angloudenti e gli ispanoudenti. Gli italoudenti sono posti di fronte una difficile scelta.
E così anche il nostro gruppetto si divide. Pippo, Anita, Luca e Roberto si dichiarano angloudenti, ma in effetti la loro scelta è condizionata dal fatto che il gruppo degli ispanoudenti è troppo numeroso e, si sa, dove c’è folla si annagghia34 (vdv annagghaire = arraffare) di meno: un dolcetto, un gadget, una pallina di gomma da gustare e così via.
Purtroppo tra gli angloudenti c’è un cacapalle che fa continuamente domande di politica estera. Il giro tocca un bosco con cartelli multilingue, un cimitero con 4 croci ed una officina dove il buon Bridges faceva costruire le barche agli indigeni e dopo gli faceva tosare le pecore. Il tutto con strumenti costosissimi mandati lì dalla chiesa anglicana che così prendeva 3 pinguini con una sarda: colonizzava il territorio, faceva affari, obbligava i locali ad abbracciare la fede cristiana.
Lo sconforto tocca il culmine quando la guida ci mostra la villa padronale descrivendola come un edificio storico. In lamiera. In lamiera? Si, in lamiera. Come le bidonville di Rio de Janeiro e di Acqua dei Corsari35 (rione periferico e popolare di Palermo). Ci dicono che qui la lamiera è un materiale di costruzione nobile.
Torniamo sul battello.
Lorenzo ha un momento di panico e afferra il comandante dicendogli che ha imboccato una rotta sbagliata. Secondo i calcoli di Lorenzo de Gama staremmo andando dalla parte opposta in quanto il sole, che la mattina batteva a babordo, ora, che è pomeriggio, batte a tribordo. Conclusione. Stiamo andando verso il circolo polare artico. Pippo crede a questa teoria. E’logica e ben supportata da argomentazioni convincenti.
Inoltre Roberto, che è stato 8 ore a guardare cosa succedeva alla plancia di comando, dichiara che lì, invece di governare il battello hanno gozzovigliato tutto il tempo festeggiando il compleanno di un amico. Scatta il piano di allerta. Pippo, oramai sicuro di quanto paventato, scende al ponte inferiore ad avvisare il resto del gruppo sulla terribile sorte che li aspetta. Ma poi succede l’incredibile. A cominciare da Valeria tutti smontano la teoria di Lorenzo del Gama affermando che a queste latitudini il sole e le sue ombre non s comportano come da noi. La teoria di Lorenzo, sostenuta da Pippo e Roberto, viene derisa e smontata ed il panico rientra.
Il battello viaggia con lentezza sconfortante. Si fa una riunione di gruppo e si decide che, nonostante si preveda di arrivare a casa intorno alle otto, si organizzerà una cena autogestita a casa di Anita. Pippo, Armando e Ida vanno al supermarket più a sud del mondo e comprano salumi, pizze, dolci e vino.
Alle nove e trenta ci si vede a casa di Anita . E’ stupefacente. Le donne della spedizione hanno trasformato quegli anonimi affettati argentini in succulenti ed attraenti pietanze. Luca, che più di altri temeva una cena al sotto del quotidiano elevato livello calorico, si deve ricredere ed apprezza il pasto dedicandosi con maggiore attenzione alle pizze.
Manca il cavatappi e quindi chiamiamo in nostro soccorso il cameriere dell’hotel. Questi, al momento di stapparci la bottiglia di vino, si complimenta con noi per la scelta del vino. Il merito è tutto di Armando.
Insomma anche questa sera ci siamo abbuffati. E ciò nonostante è rimasta un sacco di roba. Niente paura, lo immagazziniamo con delicatezza e abilità per utilizzarlo al pic nic di domani.

viaggio in Patagonia

domenica 13 luglio 2008

Conero

Era una spina il mare
e la terra ispida
isola

Aspre esperidi
fra notte e notte
navigando

Un lume
e le ginestre gialle

Garrule in nappe
di sole
a me illudeva la sera.

(roberto morpurgo)


Roberto Morpurgo (1959)

Sono nato a Milano il 17 giugno del 1959. Ho cominciato a scrivere a 5 anni, poesie e canzoni. Sono laureato in filosofia (passione che tuttora coltivo), e ho coltivato a lungo interessi per la psicologia psicoanalitica, il cinema, il teatro e la letteratura.In campo cinematografico ho collaborato fra gli altri con il critico Morando Morandini, la Provincia di Milano, l'Arci Cinema e l'Obraz cinestudio. In campo teatrale ho lavorato fra gli altri con il Teatro Universitario di Richard Gordon. Collaboro attualmente come autore drammatico con la RSI (Radio Svizzera Italiana).
In campo musicale ho scritto canzoni (musiche e testi) e lavorato per la Ricordi. In campo editoriale ho collaborato fra l'altro con la Mondatori con un saggio su Simone Weil e con la Garzanti per le recensioni del Premio Mont Blanc.
Ho scritto vari libri (alcuni dei quali in attesa di valutazione presso diversi editori): un libro di viaggi in Grecia, un volume di racconti, una voluminosa raccolta di aforismi, due raccolte di poesie, quattro piece teatrali, soggetti cinematografici. Per vivere faccio il consulente aziendale in tre distinte aree professionali: formazione, ricerca di mercato, comunicazione.
Dalla primavera 2004 sono titolare di una rubrica fissa - Punto di Fuga - su Orizzonti Nuovi, giornale dell'Italia dei Valori, dove tratto argomenti di filosofia politica, sociologia, costume. Dal maggio 2006 collaboro con il quotidiano Quotidiano IDV con articoli di varia natura.Dalla nascita fino al giugno 2002 ho vissuto a Milano – salvo qualche intervallo romano.
Da tre anni vivo in provincia di Como, in un paesino sconosciuto ai più e quasi anche alle carte geografiche.

giovedì 3 luglio 2008

La fine del mondo è vicina



Mercoledì 15 febbraio 2006


Oggi giornata libera. E’ giorno di trasferimento per Ushuaia, nella Terra del Fuoco. Si partirà alle 5 del pomeriggio e quindi decidiamo di tenere la stanza 109 per comodità.
Pippo va a prendere le foto al buceo, poi raggiunge gli altri all’Ecocentro. Qualcuno è andato a piedi qualcuno in taxi. E li ci si scambiano i pareri sulla logica della scelta fatta. Chi è arrivato a piedi dice che il posto è vicino ed ha fatto bene ad andare a piedi, chi è andato in taxi dice che il posto è lontano e che ha fatto bene a prendere il taxi. Sono due scuole di vita che scorrono parallele e che non si incontreranno mai.
L’ecocentro un museo naturalistico. In mostra foto, documentari e qualche osso. La sezione più originale è una stanza buia con il pavimento ricoperto di ghiaia. Bisogna sedersi sulla ghiaia e ascoltare i rumori del mare. Sibili, urla e lamenti di foche, balene e uccelli vari. Bello.
Al 1° piano un belvedere sul mare con una vetrata circolare e tanto smalto bianco.
Per il ritorno le due scuole di vita si incontrano. Si prendono due taxi. L’accordo si trova anche sul fatto che è ora di pranzo e bisogna mangiare. In pratica al momento di soddisfare i bisogni primari le scuole di vita convergono sempre. Al centro commerciale, però, non si mangia. Ci adattiamo in uno squallido ma singolare atrio con tavolini di ferro. Le pizze sono gustose. Al tavolo siedono Pippo, Luca, Ida, Armando, Anita e Ida.
Alle 15,20 arriva il nostro autista Jorge. Questa volta ha un pulmino nuovo. Dice che il suo sogno è di averne uno tutto suo e mettersi in proprio, senza padroni.
Jorge ci chiede come abbiamo passato questi giorni a Puerto Madrin. Alla fine del nostro riassunto ci dice che abbiamo mangiato nei posti sbagliati. Se solo glielo avessimo chiesto prima lui ci avrebbe consigliato meglio. Noi invece pensiamo che non avremmo mai seguito i consigli di uno che cammina con le pallottole nel cruscotto. Facciamo finta di rammaricarci e gli promettiamo che la prossima volta lo chiameremo prima.
Sul volo per Ushuaia molti di noi hanno avuto assegnato lo stesso identico posto del volo da Buenos Aires. Sembra una incredibile coincidenza.
L’aeroporto di Ushuaia si chiama Macuinas. Ci attende Susanna con il bus. Susanna è tarchiatella e parla bene l’italiano. Ci attende con il cartello “GUCCIONE” che poi sarebbe il cognome di Armando che ora si sente il capo. Ma Valeria non consentirà mai questo colpo di stato.
L’autista del pullman ha le maniche corte. L’hotel è lindo e carino. Sono tanti appartamentini distribuiti in palazzine a due piani. Alcuni hanno il giardinetto. Il nome dell’albergo è Hostal del Bosque.
Si cena in albergo : zuppa di zucca, pesce al cartoccio e dolce di Calafate. Pippo racconta qualche barzelletta in catanese. Giovanni replica con una delle sue. Siamo alla fine del mondo, ma le nostre origini reclamano un ruolo anche qui.
Si esce ad esplorare il villaggio della fine del mondo. La strada principale somiglia a quella di Puerto Madrin. Anzi è uguale a tante strade principali di tante parti del mondo più vicine a noi. Negozi, banche, bar , internet point e turisti imbacuccati. La fine del mondo è vicina.

mercoledì 11 giugno 2008

La Montecarlo dei Caraibi


Cuba, definita la Montecarlo dei Carabi e da Cristoforo Colombo “la terra più bella che occhio umano abbia mai visto”, è una grande realtà dei Tropici. Un’isola giovane dove molte cose sono ormai cambiate e lo stesso turismo non ha più nulla a che vedere con quello praticato prima del 1959 dove prevaleva il gioco, il fumo e la prostituzione.



Dopo decenni di privazioni i cubani possono acquistare computer, cellulari, dvd, forni a micro-onde e navigare in internet. Il popolo cubano pur vivendo con poco, circa 400 pesos che valgono appena 15 euro al mese, affronta il proprio destino con grande dignità, vivendo questa condizione con impareggiabile serenità. Tra le viuzze ci si imbatte spesso in gente che canta e balla con un volto sempre sorridente e le strade, specialmente quelle de l’Avana (la capitale), sono invase da pittoresche vetture anni Quaranta e Cinquanta, rari esemplari introvabili nel resto del mondo e divenute Patrimonio dell’Umanità.



La prima cosa che colpisce dell’Avana è la straordinaria mescolanza pacifica delle razze: s’incontrano spagnoli discendenti dai primi conquistadores; neri d’Africa già schiavi nelle piantagioni di tabacco e canna da zucchero; cinesi approdati tra ‘800 e il ‘900; americani rimasti dopo il ’56; europei che hanno trovato un diverso modo di vivere a dispetto dell’embargo cui è costretta l’isola dal 1960. Un mix di diversità sociali, di razze e naturalmente anche di religioni, dal cattolicesimo al protestantesimo fino alla pratica di riti magici africani che hanno dato origine ad un sincretismo noto, in tutto il Sud e Centro-America, con il nome di “santeria” ovvero culto dei santi.



A l’Avana coloniale, con le sue strade strette fiancheggiate da ville coloniali, si scopre la piazza della Cattedrale, le fortificazioni spagnole, la piazza dei Governatori con un esempio di barocco cubano. E poi ancora la Plaza de la Revoluciòn e la torre bianca con ai piedi la statua di Josè Mari considerato padre della patria. Interessante è vecchia città dichiarata dal governo cubano “Monumento nazionale”. Un altro capitolo estremamente interessante è la sanità che vanta uno dei migliori sistemi sanitari esistenti al mondo, nonostante la scarsa quantità di medicinali provocata dall’embargo. Un sistema di cure garantita gratuitamente a tutta la popolazione. Importante è anche l’istruzione. I cubani, anche se molto poveri, sono gente colta proprio perché la scolarizzazione è obbligatoria, nonostante al termine degli studi siano molti quelli che decidono di lavorare nelle piantagioni di tabacco, diffuse soprattutto nella rigogliosa provincia di Pinar del Rio, nel nord dell’isola. La mancanza di grossi investitori stranieri e la nazionalizzazione delle imprese ha evitato disastri ecologici prodotti dalla cementificazione delle coste e delle campagne. Nelle zone turistiche, i pochi e spettacolari alberghi costruiti sulle spiagge ancora incontaminate, sono delle vere oasi di relax.



La stessa Varadero, cittadina turistica per eccellenza, raggiungibile facilmente in auto da l’Avana somiglia molto alla Mondello estiva. Scoperta dal miliardario americano Dupont De Nemours nel 1925, vi costruì una spettacolare villa che fu costretto ad espropriare per volontà di Fidel Castro. Ma con il nuovo presidente cubano, Raul Castro, le cose cominciano a cambiare. Già la stessa pena di morte è stata commutata in condanna alla detenzione dai 30 anni in su, fino al carcere a vita. L’occidentalizzazione forzata del paese caraibico potrebbe essere uno degli effetti dell’uscita di scena di Fidel, qualora il fratello decidesse di intraprendere la via delle riforme in senso democratico e abbracciasse il verbo dell’economia di mercato.



Melinda Zacco

martedì 10 giugno 2008

in Namibia

Il silenzio, la solitudine, i gli infiniti spazi, gli animali selvaggi, il deserto più antico del pianeta, in una terra dalle linde cittadine dall'architettura montana.
Non esiste un paese così aspro, arido ed inospitale come la Namibia. La vita è difficile anche per gli animali. Si rimane storditi di fronte al silenzio assoluto, agli immensi spazi, agli infiniti paesaggi, il paese offre emozioni fra le più intense. Ogni giorno vivrete un'esperienza unica, difficile da raccontare senza cadere nel banale racconto di continue bellezze e sorprendenti emozioni. Dalle antiche dune del deserto del Namib, vellutatamente rosate e dalle forme sempre diverse. Dall'incredibile oasi delle cascate Epupa, in cui vivono gli ultimi popoli nomadi, gli Himba dipinti di ocra. Alle fredde e nebbiose coste della Skeleton, dove decine di relitti d' imbarcazioni giacciono inanimate sulle rive dell'oceano, fagocitate dalla sabbia del deserto. Vivrete l'emozionante esperienza di vedere una concentrazione di animali ad abbeverarsi tutti assieme nell'immenso e arido parco faunistico dell'Etosha. Campeggiare al suo interno vi farà vivere a diretto contatto con la natura, e vi ritroverete a rincorrere gli sciacalli che furbescamente vi hanno derubato. Arriverete a Cape Cross dove vive una colonia di ben 100,000 otarie. Godrete della vista dello spettacolare Fish River Canyon, secondo per dimensione dopo quello degli Stati uniti. Ad ogni tappa del viaggio resta il rimpianto di ciò che si è appena lasciato. Tutto è sorprendente, anche quello che sulla mappa sembra un semplice villaggio, nasconde un luogo magico, da scoprire. Viaggiare in autonomia è la cosa migliore, sarete voi a decidere i tempi e i luoghi da visitare. Vi troverete a seguire per decine di km tracce di animali, sperando di incontrare il felino da fotografare. Come bambini vi troverete a ruzzolare giù dalle dune del deserto, a guardare oltre l'infinito colore giallo ocra dell'impalpabile sabbia. Sarete proiettati nella ventosa Luderitz, sulla costa e vi sembrerà di essere in Germania. Percorrerete strade infinite in assoluta solitudine, senza incontrare essere vivente, solo il variare continuo del paesaggio vi terrà compagnia: dalle bianche distese del Sud, alla magia delle sinuose gialle curve del Namib, all'immobile grigia e nebbiosa pianura del Nord. Un paese africano che non è l'Africa, la Namibia è emozione pura, ricca di scenari straordinari.

(da un diario di viaggio)

venerdì 30 maggio 2008

La ricotta salata


Nta tutta nta stasciunata, mio padre è stato un po’ siddiateddu picchì cristianu granni e sofferenti, ha nisciutu nto piccaredda, un po’ pu friddu, un po’pi lagnusia, un ci ha spirciatu propriu intrattenere rapporti sociali, e meno male, anzi, che in campagna abbiamo tre gatti, di cui si prende cura e che a giorni alterni sente l’obbligo morale di portargli da mangiare. Altrimenti avissi passatu un’vernu davanti al televisore. Ammatula abbiamo cercato di farlo straviari, la sua risposta è sempre stata: “accamora mi siddia”.
Finalmente nta di primi di maggiu, pa scusa di cogghiri quattru nespole vanigghia, si cunvinciu ad andare a trovare mio zio, il fratello di mia madre, nel cuore della conca d’oro. Tutti e dui cugnati, un fannu avutru chi pizzuliarisi, si sfuttuno e si criticanu a vicenda.
Mio padre dal canto suo, avendo avuto la fortuna di accapitare un pusticeddu ‘mpalermu, avendo preso la licenza media, avendo letto tutti i classici, che ahimè nto spissuliddo declama, e che, appena risolto il problema delle cataratte, progetta di leggere la Divina Commedia in forma integrale, a mio zio, cristianeddu di campagna ci parra di Virgilio o di Dante, e quannu si vidi taliatu come un extraterrestre, quasi con commiserazione ci dici: “ne’ lassamu perdiri, tu un po’ capiri!”.
Mio zio che, a mio padre, non gliene resta a dare, ci ridi nta facci e u critica per le tecniche colturali che sceglie per il suo frutteto, e ci dice sempri che se usa certi prodotti piuttosto che altri, i pruna ci vennu comu azziddiri! E cosa ancora più seria, è che pensa di mio padre che sia stato un debole, sulu sulu per aver scelto di fare studiare me e le mie sorelle, e pi giunta ‘mpalermu! Per mio zio la donna, al massimo deve imparare un mestiere che le consenta di lavorare in casa, infatti lui di me e delle mie sorelle, pur volendoci un bene dell’anima, dice che avemu a lingua longa e si putissi ni turcissi u mussu! E il bello è che fa pure la mossa!
Ma tornando al nostro pomeriggio di maggio, u ziu, inchiappatu di cilerna picchì avia finutu, allura allura, di cogghiere le nespole, appena si vitti arrivare mio padre, doppo i primi convenevoli del tipo: tu facisti zappari u terrenu? St’anno pruna n’hai? Vennu sempri i burgitani a cogghiri u fruttu? Lo talia dritto negli occhi e ci dici: a isti a pigghiari a ricotta pi salarla?
Veru! A ricotta s’avi a salari! ma senza dare soddisfazione al cognato e senza lasciare trapelare emozioni dice: l’è ghiri a pigghiari all’atra simana!
All’atra simana? Io già ma salavu, - risponde mio zio con una punta di sarcasmo e con una risatina parecchio ‘ntropita – all’atra simana capaci che già i vacchi si mettunu a manciari u fenu e a ricotta porta malu sapuri!
Mio padre, pigghiatu di puntu, talia a mia sorella, che lo aveva accompagnato fin li e le intima con tono perentorio: amunì a Sagana, a pigghiari a ricotta!
La ricotta si va prendere a Sagana perché è sansera ed è fatta ancora all’antica. Inoltre u vaccaru è un amico, e gli da la migliore in assoluto ovvero la prima che raccoglie quannu comincia ad acchianare, perché la ricotta man mano che affiora diventa sempre più ruvida. E poi parranno in cunfirenza a mio padre la regala, picchì me soru è agronomo e di tanto in tanto lo aiuta a spicciari camurrie relative alla zootecnia e alle normative che la disciplinano. E duu cristianu si disobbliga na sta manera!
Ingredienti:
Ricotta di mucca;
Sale e Sole
.
Lasciare scolare la ricotta dentro la fascedda per circa due giorni, quando è sufficientemente asciutta e compatta toglierla dal suo contenitore, cospargerla di sale, metterla ad asciugare al sole per circa tre giorni, dopo di ché infornarla a temperatura molto bassa, meno di 100 gradi per circa 6 o 7 ore, affinché finisca di asciugare.
Tolta dal forno lasciarla all’aria aperta per altri due giorni sigillarla in sacchetti di plastica e conservarla in frigo, grattugiare al momento.
Mia madre, per stendere la ricotta al sole, usa come base d’appoggio le cassette di legno della frutta che mette sottosopra e le ricopre con dei panni bianchi che sostituisce almeno due volte al giorno.
(antonella gullo)

martedì 13 maggio 2008

Processione

l'incerta processione di uomini che pregano
e di donne
non svolge il lungo filo del pentimento.
E mentre trepida e indistrutta s'avanza....
per l'occhio di chi altrove guata,
non esiste.

(ninni picone)

mercoledì 7 maggio 2008

Pappo


Sabato 5 gennaio 2002 – sesto giorno

Dopo avere fatto colazione da Mercedes prendiamo la macchina che la stessa matrona ci ha affittato. Mercedes è una signorona gioviale, bassotta, colta (fa il medico), ma è tirchia…da morire.
Somiglia molto alla sua macchina. E’ una TICO piccola piccola. Come una mini “mini minor” Inoltre ha i seguenti difettucci:
a) il vetro anteriore, lato guidatore, non si alza né si abbassa. E’ li fermo a metà.. speriamo che non piova
b) la batteria c’è, ma è scarica ed il motore si accende solo a spinta
c) le portiere ne’ si aprono né si chiudono. Insomma sono completamente sfasciate
d) le ruote ci sono tutte, sono completamente lisce
e) i freni non ci sono
Capiamo subito che siamo pazzi. Dobbiamo percorrere più di 1000 chilometri con questo coso. L’unico pregio è il canone di affitto . Solo 35 dollari al giorno.
Prima di lasciare la casa di Mercedes salutiamo Giuseppe e Vittoria che ci appare affranta e affaticata certamente per colpa di Giuseppe che la stressa
ALLE 12.30 Imbocchiamo la autopista per Camaguey non prima di avere ritirato un po’ di dollari all’Hotel Nacional.
La nostra meta è Florida una cittadina al centro dell’isola dove abitano i familiari di Jolaise.
Pranziamo in un autogrill molto dignitoso: pizza al formaggio.
La autopista è grande ma ricca di buche. Il regime non ha tempo di occuparsi di queste minchiate. Alle 3 raggiungiamo Santa Clara . la città storica della rivoluzione. Qui il Che ottenne la vittoria decisiva contro l’esercito di Batista, Ed infatti c’è un intero museo dedicato all’eroe argentino oltre che un mausoleo.
Facciamo un po’ di acquisti al centro commerciale, poi delle foto davanti al monumento dello stivale bucato, poi un’altra con lo sfondo della bandiera cubana.
Dopo tante foto ripartiamo orgogliosi, ma sbagliamo strada . Pino, che conduce il catorcio, è messo a dura prova. C’è freddo , e il finestrino non si può chiudere. Poi si chiude. E ci godiamo la campagna, affascinante, e il tramonto, poetico. Ma dopo il tramonto c’è il buio pesto e la strada si vede a malapena.
Attraversiamo Ciego de Avila dove prendiamo in piena velocità una grossa buca. Temiamo il peggio. Riteniamo, infatti che il catorcio non possa reggere allo stress.
Comunque sia alle 9 circa siamo a Florida
Case povere e basse. Strade dritte tipo far west. Comincia il giro dei parenti di Jolaise. Prima dalla zia dove troviamo, tra gli altri una bella cugina che parla italiano E’ stata sposata con uno di Bergamo e poi è scappata.
Quindi a casa sua : SHOCK! È alla periferia di Florida. In mezzo alla campagna. Un agglomerato di capannoni con muri in pietra e copertura in legno che non tocca i muri.

Cioè tra il tetto e i muri c’è uno spazio enorme da cui entra di tutto dal caldo al freddo, dalla pioggia al vento……alle belve..
Attorno alla casa un cortile con galline, maiali e cavalli. Le stanze sono grandi e “arredate “ con mobili poveri stile anni 50.
Arriva il papà di Jolaise che ride. Ride sempre. Ride troppo. Sul momento non capisce chi sia il fidanzato di sua figlia , Poi capisce che il genero è Pino. La madre invece è una bambolina paffutona che ride pure. Un po’ meno del marito. Forse perché ha la responsabilità della casa.
Qui ridono tutti, sempre. Poi conosciamo il figlio di Jolaise. Un bimbo piccolo piccolo che però dorme. E per questo non ride. Ma riderà domani al suo risveglio.
Notiamo che i genitori di Jolaise sono bianchi e Jolaise è nera. Ma che cazzo ha scoperto Mendel?
Ad un certo punto spunta uno che si chiama Pappo. Anche lui è di colore nero pallido. E anche lui ride sempre. Il padre di Jolaise dice che quello ride perché è scemo! Infatti Pappo ci chiede se in Italia ci sono molti neri. Nadia lo corregge e gli dice che i neri da noi si chiamano “di colore” sennò si offendono. Pino non vuole illudere Pappo e gli dice che no, lui non è di colore è proprio nero.
Si comincia a cenare .Un pranzo eccezionale a base di porco, riso, insalata e un specie di patata che si chiama jucca. Per bere , acqua di cannolo. Per precauzione se la beve solo Pippo.
Ora si deve dormire, ma non lì. Ci hanno prenotato una casa particular in un altro punto del villaggio.
SHOCK n 2!! È una casa poverissima.
Noi lo definiremmo un tugurio da rom. Ci comunicano pure che abbiamo lo status di clandestini. La signora dice che non è in regola con la legge degli affitti e che quindi non ci dobbiamo fare notare sennò la polizia le fa un culo così. Accanto dormono degli americani.
Nadia, per lo schifo, dorme completamente vestita. Pippo se ne fotte e si spoglia come se fosse all’Hilton. I cuscini sono neri di sporcizia. E qui neanche Pippo se la sente di rischiare la scabbia caraibica. La camera è piccola e asfissiante. In pratica è una cella di isolamento. C’è pure un bidet!! Per evitare spiacevoli e imbarazzanti comportamenti azioni Pappo ci dice che lì non possiamo fare la cacca!
Noi cerchiamo di fargli capire che non ne avevamo l’intenzione. Poi ci ricordiamo che il padre di Jolaise ci ha detto che Pappo è scemo e non lo picchiamo.
Al mattino, prestissimo, Pippo si alza e vorrebbe fare la pipì, ma presto si accorge che non c’è il bagno e allora tenta di andare a fare il bisogno fuori. Ma, sorpresa, Il cancello è chiuso e non si può uscire. …….

dal diario di viaggio "Cuba on the road"

giovedì 24 aprile 2008

le polpette di sarde


In occasione di questa ultima tornata elettorale, mia sorella chidda di dda ffora, scinniu per esercitare il suo diritto al voto, con la speranza che il suo voto servisse a dare forza alla sinistra, ma con la consapevolezza che sarebbe stata molto dura! Nonostante la consapevolezza, saputi i risultati finali, si pigghiau u stissu di dispiaciri e pi du jorna s’attaccò a virrinia ‘nto ciriveddu picchì un facia avutru chi diri: “ecco questa è una data storica, è stata decretata la morte sociale del paese”. E mio patri dispiaciutu pi Casini, chi ci ja d’appressu,! “buffone – riferendosi al piccoletto – vastaso, buffone, bella fiura chi stamu facemu!”
Cori di matri e di mugghieri chi si preoccupa sempre, pigliata di appagno, pinsava sti dui si fannu accussì mi deperisciunu, ora pi falli straviari ci fazzu ddu purpitteddi di sardi fritti cavuri! Mi chiama a parti e mi dici: “Antonè, prima chi to soru parti e prima che inforza u cavuru e accumincia a tunnina, amu a fari na botta di sardi a purpette, picchì poi i sardi addiventanu lari e pi tutta a stasciuni un si ponnu manciari!
Parabola significa, tarantola abballarrina! Antonella deve andare a comprare le sarde e la responsabilità è enorme! “sta attenta si ti vinnunu l’alacci, picchì un serbunu!” la prima volta che chiesi cosa erano l’alacci mi si rispose “su i patri di sardi, pisci troppu spinusi e lari di manciari”

Le polpettine di sarde.
Ingredienti per quattro persone:
1 kg di sarde;
una manciata di pangrattato;
una manciata di caciocavallo grattugiato;
latte q.b.;
un ciuffo di prezzemolo;
sale;
pepe;
olio per friggere.

Pulire le sarde, meglio se le pulisce direttamente il pescivendolo, basta dirgli che servono per fare le polpette e lui sa come fare.
Mettere le sarde in una terrina e scripintarle con la forchetta, aggiungere il pangrattato e un po’ di latte, amalgamare e lasciare riposare per circa due ore.
Passate le due ore, aggiungere il caciocavallo grattugiato, il prezzemolo tritato, sale, pepe e se occorre altro latte amalgamare il tutto, fare delle piccole polpette e friggere in abbondante olio di oliva! (oohps....stanotte mentre tentavo di addormentermi, improvvisamente mi sono resa conto di aver dimenticato di scrivere nella ricetta, che le polpettine di sarde, prima di friggerle vanno infarinate... per favore ti puoi occupare tu di aggiungere questo dettaglio? buona domenica)
Portare in tavola ancora calde

Quelle che restano, se ne restano, all’indomani si ponnuo manciari cu anticchia di limiuni spremutu oppure si ponnu quariare ‘nto sucu! E a mia chi mi piaci manciari i cosi cavuri opto per la seconda opportunità.
(antonella gullo)

domenica 20 aprile 2008

Elan e il cigno

Puerto Madrin, agosto 2006

Anna ci narra di un re vissuto su un’isola lontana che voleva uccidere il proprio figlio Elan poiché una profezia gli aveva detto che Elan lo avrebbe fottuto e sarebbe diventato re al posto suo. Elan venne a sapere tutto da qualche muffuto e si mise alla ricerca di un posto lontano dove il padre non l’avrebbe mai cercato. Gli dissero che il posto c’era. Era una terra fredda e brulla. Una terra di merda: la Patagonia. Allora Elan si rivolse agli uccelli (!?). Un cigno, un fenicottero e uno struzzo. Ma di questi solo il cigno lo aiutò. E lo portò nella terra di merda. E allora, per punizione, il fenicottero divenne rosa e lo struzzo non volò mai più. Ma perché? Mah!
Il gruppo si ribella e mette in dubbio la veridicità di questa leggenda nel senso che pensa che se la sia inventata lei, la guida. Per i seguenti motivi: 1. la profezia è una profezia di minchia perché da che mondo è mondo tutti i figli di re prendono il posto dei padri alla morte di questi 2. Il re è un babbeo perché eliminando il figlio consegnerà il trono ad un estraneo. 3. Elan è un cretino perché fuggendo in un posto di merda dà corso, in anticipo, alla profezia e si rovina l’esistenza per sempre. 4. Le punizioni agli uccelli sono di senza senso alcuno perché, ad esempio, il fenicottero, fattosi rosa, è diventato l’uccello più bello del mondo. 5. Il cigno è l’unico uccello che doveva essere punito visto che ha portato Elan in un posto di merda con tanti posti belli che ci sono al mondo.
Anna non molla, ma cambia argomento e ci narra di altre leggende patagoniche. Inventate. Sta cedendo. Ma sa combattere. Ci racconta, per esempio, che il nome Patagonia deriva dall’esploratore Pigafetta che, vedendo questi omoni enormi, li associò ad un personaggio di un libro che aveva letto solo lei (cioè Anna). Questo personaggio si chiamava Patagon perché aveva i piedi grossi. Può essere mai??

Dal “viaggio in Patagonia” di Valeria y sus amigos

sabato 29 marzo 2008

pasta al forno


Su belli i persichi e i cirasi,
ma tinta è da panza
chi pani un ci trasi!
Quando c’è profumo di pasta al forno, mio padre a dir poco, si ‘nguttuma, perché già sa che non ci sarà un secondo. Per lui non è pranzo o cena se non mangia almeno un muccuneddu di pani.
Che siano du cuccitedda d’alivi nivuri, o un pizzuddu di cacio, u cumpanaggiu e u pani, da tavola, un hannu a mancari! Du cristianu siddu un mancia pani, si senti dipiriri sulu sulu! E ci parunu piatuse, le popolazioni nord europee, la cui alimentazione è basata principalmente sulle patate. Capaci chi su sempri giarni nta facci, propriu picchì un mancianu pani! – Nca poi, giustamente si chiede, - prima di Colombo e la scoperta dell’America nsoccu pistiava sta genti?
Contestualmente, si inorgoglisce, pensando che il nostro pane ha origini storiche molto più antiche e nobili, e che ad esso sono legati miti e leggende che affondano radici in tempi ormai lontanissimi, solo per questo iddu si sente di una cultura superiore!
Una volta, dall’alto della sua cultura greca – romana – normanna – araba – mediterranea e chi pi ne ha ne metta, fece siddiare un geologo svizzero, che ospitammo a casa, in quella occasione preparammo un contorno a base di patate, che lo svizzeretto spazzolò in un una frazione di secondo, mio padre che si assetta sempre al latu degli ospiti per accertarsi di persona che si sazino a dovere, ci cumiciò a diri: - Gianclod ti piacinu i patati! Mangè mangè, - e con la mano a cacocciolo gli faceva il segno di mettere in bocca la pietanza – Gianclod, mangè mangè, Gianclod…. prima di Cristoforo Colombo, ti insunnavi i patati! Mangè mangè!
Quel picciotto rideva, ma secondo me, anche se non capiva niente si sintia anticchia sfuttutu! Da allora non lo abbiamo più né visto né sentito sarà fuggito nella sua natale Svizzera probabilmente a smartellare le Alpi, o a cercare le sue origini gastronomiche, chissà!
Peggio pi iddu, se avesse mantenuto i contatti avrebbe assaggiato la nostra pasta al forno, che anticamente quannu alla bonarmuzza ci siddiava a camiari u furnu, sta pasta, la faceva con la carbonella: a cunzava con un ragù molto semplice e qualche pezzetto di primo sale, la incasciava nella teglia che situava sulla fornacella con i carboni ardenti, sopra la teglia appoggiava un coperchio sopra il quale metteva altro carbone acceso! A venti minuti circa, la pasta era pronta: croccante all’esterno e morbidissima dentro!
Noi, oggi la facciamo così:

Anelletti al forno
ingredienti per 4 persone.
Il ragù:
400 gr di carne tritata;
una carota;
una cipolla;
una costa di sedano;
una busta di funghi secchi;
½ bicchiere di vino rosso;
i lt di passata di pomodoro
olio q.b.
sale
pepe
una foglia di alloro.

I piselli:
1 kg di piselli freschi;
una cipolla bianca
olio q.b.
sale
noce moscata.

Inoltre
350 gr di anelletti;
un pezzetto di primo sale;
un pezzetto di cacio cavallo tenero;
un po’ di cacio cavallo grattugiato
100 gr di prosciutto o mortadella a cubetti, a seconda dei gusti.


Preparazione del ragù.
Mettere in un tegame l’olio, la foglia di alloro e le verdure finemente tritate lasciare appassire a fiamma bassissima e aggiungere i funghi precedentemente ammollati e sminuzzati, lasciare andare ancora a fuoco lento, quando il soffritto comincia ad avere un aspetto dorato, alzare la fiamma e aggiungere la carne, lasciare tostare a fiamma alta e aggiungere il vino, quando il vino sarà evaporato aggiustare di sale e di pepe e aggiungere la passata di pomodoro. Lasciare cuocere a fiamma lenta per circa due ore.

I piselli.
Tritare finemente a cipolla, lasciarla riscaldare a fiamma bassa per pochi secondi e aggiungere i piselli appena sgranati e lavati, mettere sale e noce moscata abbondante, lasciare cuocere lentamente, mescolando spesso, se nel corso della cottura si asciugano troppo, aggiungere un poco di acqua.
Appena cotti, i piselli si aggiungono al ragù e si lascia insaporire il tutto per circa cinque minuti, sempre a fiamma bassa.

La pasta.
Cuocere gli anelletti, con abbondante acqua, appena cotti, versarli in una terrina nella quale abbiamo spezzettato i formaggi e aggiunto la mortadella, amalgamiamo il tutto aggiungendo il ragù e il cacio cavallo grattugiato.
Impostare, la pasta nella teglia e ricoprire con uno strato di ragù. Fatto ciò, si mette un foglio di alluminio a mo di coperchio e si passa nel forno riscaldato precedentemente a 250° . Dopo circa 20 minuti togliere l’alluminio e lasciarla gratinare per altri 10 minuti circa.
Sfornare e portare in tavola!
(antonella gullo) torna al menù

giovedì 20 marzo 2008

Minestra con il macco di fave


U Pitittu è cosa brutta, chiù assai di un jorno un s’ammutta!

E a tempo di guerra u pitittu era forti, a volte la fantasia della bonarmuzza non bastava picchì un c’era nenti cu cui fantasticari!
Un jornu vinni a mancari a pasta, in canciu, al municipiu sparteru i carrubbi, e come sempre ci fu un “un futti futti chi Diu aiuta a tutti”, gli amministratori del tempo e i loro amici che se la scialavano sempre si incheru a panza, o restu da popolazione ci tuccò di taliare u stiddatu!
Pi dda sira, riuscirono a portare in tavola sulu una carruba e un’arancia a testa, che mangiarono con un’angosciante sottofondo: i sibili delle bombe, le cui schegge arrivavano nto finistruni!
Ma a zittu tu e zittu iu, laddove era possibile, si dissotterrava n’anticchia di frummentu, che mio nonno aveva coltivato, “sarbatu” dintra i sacchi di juta e ammucciatu sutta terra, nmenzu a pagghia p’un fallu ammuffiri!
Venuto alla luce, il “reperto”si macinava con mezzi di fortuna, traendone una farina grossolana con la quale si cci facìanu pani e tagghiarini!
Chi taggiarineddi tagghiati nichi nichi, c’anticchia di favuzzi sicchi chi s’accapitavanu sempri, cu l’ogghiceddu bonu ammucciatu nei posti giusti, cu i vurrani chi criscìanu spontanei nte campagni, e cu un cucciteddu di pumaroru appizzatu ca un mancava mai, si putia fari na bella quararedda di pasta col macco di fave, minestra chi cunfurtava i panzi vacanti! E un sulu a sira! Anche all’indomani! Ca matinata, quella che rimaneva, a quariavanu nta paredda ed era ancora chiù duci da sira avanti!
Tempi lari eranu, chiddi da guerra! Ma cu avìa a campagna, con un po’ di prudenza, riusciva a manciari!
Tempi, ormai lontani che abbiamo conosciuto attraverso i ricordi dei nostri genitori, oggi preparare una minestra col macco di fave, per fortuna non è angosciante come allora; anzi, a casa mia, a ura di priparari sti cusuzzi antichi, tra mia madre e mio padre che per costituzione s’hannu a mmiscari sempre, si fa teatrino!
Mia madre ha sempre la fissa dell’approvvigionamento degli ingredienti: i vurrani pi essiri giusti, hannu a essiri quelli che crescono al riparo dal sole, perché su meno arrabbiati, i favuzzi? Oh bedda matri chi tristezza! Chiddi chi coltivava u papà eranu bboni! Ma di necessità virtù, a denti stretti, le compriamo.
Invece mio padre si scanta si cci facemu grevi e troppo nsarsati! A ura di mittirici u pumaroru trema la terra! Pomodoro poco, giusto, misurato, mica è pasta ca sarsa! E non ci si può permettere di allontanarsi dalla cucina, i pignati, quannu su nto focu, un si lassanu mai suli!
Insomma di qua che arriva a tavola, un piatto di pasta chi favi spicchiati du voti, amu a ddiri “Signuri Ti Ringraziu”!
Ingredienti per quattro persone
il macco:
due belle manciate di fave secche sgusciate;
una cipolla di media grandezza;
due pomodori pelati;
olio q.b.;
sale;
pepe;
la minestra:
¼ di Kg di pasta o spaghetto spezzettato, o ‘ntuppateddi, o quadrucci fatti in casa;
due giummi di borragine
olio q.b.;
sale
pepe.

Preparazione del macco:
mettere le fave in acqua per dodici ore circa. Passate le dodici ore, mettere in tegame le fave, la cipolla a pezzetti piccoli, l’olio, il sale e il pepe, ricoprire d’acqua e passare sul fuoco, dopo circa 15 minuti aggiungere il pomodoro tagliato a pezzetti (pericolo! Se il pomodoro va aggiunto prima, il rischio è che le fave si azzimmano)! Appena su cotti si cci astuta!
La pasta:
mettere ‘ncapu u focu l’acqua per la pasta, appena bolle calare la borragine aggiungendo il sale, dopo pochi minuti mettere da parte un poco di acqua di cottura della verdura e calare la pasta, quando la pasta è quasi cotta aggiungere il macco, l’olio e portare a termine la cottura, se in cottura la minestra, asciuga troppo aggiungere un po’ di acqua messa da parte.
Chi vuole può aggiungere olio a crudo.

È una minestra molto suadente e per gusto e per consistenza!

(Antonella Gullo)

giovedì 13 marzo 2008

Spitineddi Arrustuti ‘nta braci!



E Ecco! È quasi primavera
e…
e su di me e la mia famiglia prevale il richiamo ancestrale “du sciavuru di…”
Spitineddi Arrustuti ‘nta braci!
Richiamo prosaico, ma non per questo meno seducente!
Così la domenica, se il tempo lo permette, prima si va dal macellaio di fiducia, ad acquistare gli ingredienti necessari e poi si va in campagna.
Ovviamente è mio padre che sovrintende all’acquisto della carne “a voli tennera, chi ssi ci avi a squagghairi ‘nvucca”. Appena arrivati, guarda negli occhi il macellaio e quasi come se fosse un segreto gli sussurra: - me ddari anticchia i carni pi fari du spitini! Il macellaio gli fa notare che quelli esposti nel suo banco, sono molto freschi. La risposta di mio padre è perentoria:
- Chiddi ti manci tu! Io vogghiu a parti da pampinedda. (la “pampinedda” è un piccolo tocco di carne che si trova nella spalla dell’animale) e poi mi l’è cunzari o miu piaciri!
Armato di santa pacenzia, il macellaio prende il tocco di carne richiesta, non arriva neanche a sfiorare la carne con il coltello che si sente intimare: Ti pari a tia ma tagghi di traversu!
Picciotto pacinsiusu è il macellaio, si fa na risatedda e continua o so travagghiu!
Raggiunto l’obiettivo primario, si procede al reperimento degli ingredienti secondari e si va in campagna, luogo dove ci si spoglia dagli abiti abituali, ci si infila in comode tute, si calzano scarpe adatte a calcare la zolla e prima di iniziare a preparare la nostra delizia, ci si sparpaglia: chi va a raccogliere verdure spontanee, chi raccoglie sciuri di Sanciuseppe, chi si dedica ai gatti e chi come mio padre, s’assetta fora a fare parole crociate, si mette o latu una cannuzza pi fari scantari i atti e un falli trasiri dintra!
Recuperato il rapporto con la natura, si prepara la brace, che sarebbe cosa di masculi ma io e mia sorella, non troviamo nessuna difficoltà a preparare u focu: ci serviamo di una vecchia carriola nella quale impostiamo i zucca d’alivi, cocchi cannuzza bella asciutta e anticchia di carta. Sutta si mettono i ligna chiù grossi e ncapu chiddi chiù sicchi avendo cura di lasciare degli interstizi che permettono il passaggio dell’aria, altrimenti u focu s’accupa e addiu ti dissi.
Intanto che mia sorella con amore e dovizia di particolari inizia l’operazione, mio padre osserva con disgusto, disapprovando ogni minimo dettaglio, picchì iddu u sapi fari megghiu! E siccome non ha più le forze, scoraggiato gira le spalle, alza le braccia al cielo, rotea le mani e si allontana dicendo qualcosa del tipo: è megghiu ca un taliu, picchì a vidiri i cosi fatti a malu versu mi fannu annirbari”! E se per caso si accorge che per addumare il fuoco stiamo usando qualche vecchia settimana enigmistica! Apriti cielo! Prima doveva verificare se c’era ancora qualche schema di parole crociate crittografate da definire e poi forse, poteva essere utilizzata allo scopo di cui sopra! Con la cultura non si babbia! Mica ci si può dare fuoco così facilmente! Neanche se fossimo i personaggi di Fahrenheit 451!
Ma insomma, appirimentata la brace e superata la crisi di famiglia, mia madre Vestale dalle mani d’amianto, capaci di pigghiari i cocci di carbuni addumati a manu nudi, resta a governare u focu e man manu chi a ligna squagghia, cogghie u carbuni pi arrustiri i spitini! Quello che resta del carbone viene spento e conservato per usarlo successivamente.
Adesso prepariamo i nostri spiedini.
Ingredienti per 4 stecche di spiedini
il ripieno:
200 gr circa di pangrattato piuttosto umido
4 cucchiai di cacio cavallo grattugiato
100 gr circa di caciocavallo tenero
100 gr di pancetta
una manciata di uva passa e pinoli
un mazzetto di prezzemolo
olio a piacere
inoltre
16 piccole fette di carne tagliate finemente
una cipolla bella grossa
foglie di alloro q.b.
olio
pangrattato per impanare q.b.

Mettere in una ciotola il pangrattato umido, il caciocavallo grattugiato, l’uva passa e i pinoli precedentemente ammollati in acqua tiepida, i restanti ingredienti tagliati in piccolissimi pezzi e amalgamare il tutto aggiungendo l’olio di oliva.
Disporre le fettine di carne su di un piano di lavoro, mettere per ognuna un po’ di ripieno, avvolgere la carne in bocconcini, infilzarla nelle apposite stecche di legno alternando una foglia di alloro, uno spicchietto di cipolla, un bocconcino e così via.
Passare la stecca in olio abbondante, poi nel pangrattato, mettere sulla brace e lasciare cuocere lentamente avendo cura di girare spesso la carne.
Ecco! È quasi primavera

(Antonella Gullo)

mercoledì 5 marzo 2008

la frittata con gli asparagi selvatici


Ingredienti per 4 persone
5 uova;
un mazzetto di asparagi selvatici;
sale;
pepe;
olio extravergine di olive per friggere.

Di tanto in tanto capita di sentirmi investita da spirito romantico e bucolico, e insieme a mia sorella, vado in giro per il territorio a raccogliere asparagi, la cui raccolta è una vera e propria guerra, una lotta perigliosa, contro i puledrini che curiosi ci vengono ad annusare, oppure contro i ramarri che “scantusi” li vedi sgattaiolare dal nulla, ma soprattutto una lotta contro le “ruette” che come guerrieri difendono il tenero virgulto, il vero imperatore delle frittate!
I ruette su chini di spine chi ti punciunu sulu a taliarle e il loro compito è proteggere l’asparago da occhi indiscreti!
Ma noi moderne Amazzoni ardimentose, con occhio allenato, armate di stivaloni di gomma e coltelli ben affilati, non esitiamo ad abbattere la “ruetta”, con una pedata ferma e decisa, attente a non ferire la creatura, che viene delicatamente recisa, e riposta “nto panaru” intrecciato abilmente ed amorevolmente dalle mani di mio padre.
“T’annu” ci sentiamo soddisfatte quando “assumma un pugniddu di sparaci pi fari na frittatedda di quattro ova”.
Sofferenti, scantate, sudaticce, le mani sanguinanti per le spine, i peri, con rispetto parlando, unci e col sudato Trofeo conquistato a suon di calci, torniamo a casa, certe di trovare approvazione dai vegliardi! Ma quannu mai! Idda, mia matre, con tono aspro e sferzante ni talia cu l’occhi di fora e ni rici: : - e l’ova unni su?
Io e mia sorella ni taliamu strammiate nta facci comu pi ddiri: - ma l’ova crisciunu puru ‘nmenzu i ruette? Ma non esterniamo il dubbio a scanso di eventuali recriminazioni!
In realtà le uova ci sono, e sono ben conservate in frigo ma sono quelle con la data di scadenza stampigliata nel guscio e non vanno bene! A da cristiana ci pari vriogna fare a frittata di sparaci frischi, cu sti ova! Su ova fasulli!
L’ova, pi fari sti cosi s’hannu a ghiri a pigghiari dda sutta, o cannulicchiu, ni chidda chi i vinni appena fatte!

Preparazione
Spezzare gli asparagi in piccoli segmenti di circa un centimetro, lavarli delicatamente in abbondante acqua, colarli e metterli nella padella, lasciare che essi asciughino a fuoco moderato, quando il residuo d’acqua sarà completamente asciugato, aggiungere l’olio.
Appena l’olio è ben caldo, prima che gli asparagi cominciano a cuocere, mettere l’uovo battuto con un po’ di sale e un po’ di pepe
Lasciare cuocere da una parte e dall’altra.

La buonarmuzza, quannu facia a frittata chi sparaci, prima sbattia u biancu a neve, e poi aggiungeva i russi c’anticchia di sali e anticchia di spiezie, amalgamava il tutto e metteva in padella.
Grazie a questo procedimento la frittata viene soffice soffice!

(Antonella Gullo)

lunedì 25 febbraio 2008

Le sarde c’acitu, una ncapu una sutta


Ingredienti per quattro persone:
24 sarde fresche aperte e diliscate;
aceto di vino rosso per la marinata q.b.;
il ripieno:
200 gr circa di pangrattato;
4 cucchiai di caciocavallo grattugiato;
¼ di bicchiere di aceto di vino rosso;
un mazzetto di prezzemolo;
pepe;
inoltre:
farina di grano duro per infarinare;
olio di oliva extravergine d’oliva per friggere.

Apprima, u pisci arrivava, du Castiddazzu! Proprio così arrivava dalla montagna, i carrettieri lo andavano a prendere a Carini e dintorni, poi anziché percorrere tutta la litoranea accurzavanu, facennu strati e stratuzze scognite in menzu i muntagni.
Appena, i carrettieri arrivavano in paese, chi se lo poteva permettere correva ad accattare u pisci, di solito purtavanu: scurmi, sarde, asineddi, maccaruneddu e cicireddu. U scurmu si facia o arrustutu o nto sucu, tuttu u restu ‘nfarinatu e frittu!
Ma pi diri a verità, doppu tutta sta strata, arrivava anticchia fituseddu; pi manciari pisci veramenti friscu, s’avia a scinniri ‘mpalermu, unni c’eranu i tavirnara che tu friianu pi davanti!
Ora, grazie al progresso arriva friscu, ma! Attenzione, arriva puru chiddu fitusu quello che subisce escursioni termiche a tempesta!
E non si dica che a casa mia entri pesce fitusu!
Né io né le mie sorelle possiamo comprare pesce, meno che mai mia madre, perché siamo babbe, e inesperte, perciò n’infrusano! Il pesce lo deve comprare Lui!
Quando al mattino, mia madre gli sente dire: - “vaju ad accattari du piscitedda” a dda santa cristiana ci veni un motu, intantu pi comu è a cipudda su i pisci, quindi le sue narici sensibili non possono sopportare tutto questo stress, e poi perché sa che porterà una quantità di pesce tale da sfamare un reggimentu di surdati! perché Iddu è come Giufà, che se deve andare a prendere un secchio di acqua al pozzo, porta tutto il pozzo!
Quando torna con il suo bel sacchetto pieno di “coppi” di pesce si cci avi a fari puru priu! Perché apre quei coppi di pesce con un entusiasmo ed un’enfasi che ti disarmano!
E accumincia a litania:
- Talia chi su beddi sti àmmari su senza ammoniaca!
- Talia sta siccia, è frisca frisca, ci fici mettiri u nuvuru di latu!
- Sti sardi, su na maravigghia!
- Stu pugniddu di cicireddu, mu arrialò...
Signuri meu! Puru u cicireddu!Ma se glielo regala, che fa? Ci dice no? S’affenni u pisciaru!
Col sorriso sulle labbra, e con il nirbuso nella pancia, si comincia a pensare come cucinare tutta sta roba e cosa farne dopo! Mica si può mangiare tutto in una sola volta!
L’àmmaru e u cicireddu s’hannu a friiri subbitu e si devono mangiare cavuri cavuri! Va si nò scappanu!
Con la siccia, visto che c’è pure il suo inchiostro, si fa la conza per la pasta cu nivuro che sarà congelata e consumata in un secondo momento!
E i sardi? Con le sarde mi vendico, gli faccio una sorta di ricatto psicologico, gli chiedo se gli piacerebbe se le facessi una sopra e una sotto con l’aceto, come le faceva la bonarmuzza, gli si illuminano subito gli occhi ed è questo il momento che colgo per chiedergli, con un sorrisetto ‘ntropito e ruffiano se le pulisce togliendo la lisca interna, lasciando la codina! So che lo farà, mio padre non mi resiste! La fortuna di essere a chiù nica! Ma so anche che dovrò subire la sua assistenza!
Ecco come le prepariamo:
dopo aver pulito e diliscato le sarde, si mettono in una ciotola a bagno con un po’ di aceto per farle marinare leggermente, dai cinque ai dieci minuti non di più. Intanto, in una ciotola a parte, si mette il pangrattato bene inumidito, il quarto di aceto, il caciocavallo grattugiato, il prezzemolo tritato minutamente e il pepe (chi vuole può aggiungere sale, io non ne metto) si amalgamano per bene gli ingredienti, fino ad ottenere un condimento piuttosto morbido.
Questo condimento andrà messo tra due sarde aperte e sgocciolate dall’aceto in eccesso, poi saranno infarinate per bene e successivamente fritte in abbondante olio di oliva!

Cavuri su bboni.
Debbidi su chiù bboni.
Friddi, di quantu su duci, un si ponnu livari da vucca!
(antonella gullo)

lunedì 18 febbraio 2008

U sfinciuni democraticu



C’è cu voli unciu, e c’è cu voli siccu, c’è cu voli cavuru e c’è cu voli friddu! C’è cu ci voli a sarda e c’è cu un ci nni voli! Le discussioni sono a perdere, si aprono delle vere e proprie tavole rotonde ma il compromesso, per fortuna, arriva prima che vengano sfoderati i “Cutedda”: né troppo unciu né troppu siccu, na vota nu manciamu cavuru e na vota nu manciamu friddu, menza tigghia si conza ca sarda e menza senza …questo è il vero principio della democrazia!
“Apprima avutru chi democrazia, c’era a dittatura, si facia e comu si facia era bonu, si t’appitia tu manciavi, siddu un t’appitia ti stavi diunu. Ma appitia, appitia a tutti picchi a di tempi u pitittu era forti!
A bon’armuzza da nonna u facia ogni vota, ca ni nni javamu ncampagna a fari u pani nto furno chi ligna, siccome era na fimmina fantasiusa, u facia a du ssola. U ‘nfurnava nsemmula o pani e quannu ci facia a prima affacciata nto furnu, sfurnava u sfinciuni, e du sciavuru facia grapiri u pitittu a tutta a famigghia, puru a bon’armuzza du nonnu chi era anticchia schipitignusu, (a chiddu ci aviavu a ddari a manciari sulu pasta chi piseddi)”!

Ingredienti per una teglia 40x29 cm

Impasto:
½ kg di farina di grano duro rimacinato;
20 g. di lievito di birra;
4 cucchiai da tavola di olio extra vergine d’oliva;
1 cucchiaio da tavola di zucchero;
un pizzico di sale
acqua tiepida, q.b.

Sugo:
1 lt di passata di pomodoro;
due cipolle “beddi sciacquati”
olio q.b.
sale;
pepe.

Inoltre:
per i seguenti ingredienti le dosi sono variabili a seconda dei gusti
cacio cavallo semi – stagionato a pezzetti;
cacio cavallo grattugiato;
sarda salata fatta a pezzetti minutissimi;
origano;
pangrattato.

Per realizzare una buona teglia di “sfinciuni” in primis e di preciso, dovendo andare al lavoro, “ca matinata” preparo la sua salsa che poi lascio alle amorevoli attenzioni di mia madre, che pensa ad “arriminarla” finchè non arriva a cottura. Che non si pensi che sia un momento di poesia…Anzi!
Mia madre, appena vede la “pignata ancora vacanti”, già sente “ciavuru” di cipolle, “addiventa nirbusa” e “un si cci po’ parrare chiù” (però poi “u sfinciuni ci piaci) e comincia a “sbarrachiare” i balconi anche se ci sono dieci gradi sotto zero. Chi ne paga le conseguenze è “du mischineddu di mio padre che appena si susi du lettu si sente aggilari tuttu, picchì i spifferi trasunu di cozzu e cuddaru, e santiannu santiannu arriva nta cucina ”. – “Tu mi vo fari moriri prima di mei jorna!” lei lo guarda con sguardo attonito e candidamente risponde: - “ora chiuio un ti scantari” ma lo piglia “pi fissa”, perché se prima “un ci astuta nta sarsa, i finistruna col cavolo chi i chiui”! solo quando una colonia di pinguini si sarà stabilita in casa sarà tempo di chiudere porte, balconi e finestre.
Alle due quando io e mia sorella torniamo da lavoro troviamo la casa “aggelata” ma scevra da ogni odore “nocivo” e anziché sentirci dire: - ciao come è andata oggi al lavoro o frasi di circostanza similari, ci sentiamo chiedere, avendo lei, ormai, “le nasche” assuefatte: - “trasennu ci nnè fetu di cipuddi?” La rassicuriamo dicendole che c’è un odorino di sugo che, “ a diuno” fa davvero piacere sentire! Poi le chiediamo se i Pinguini restano a pranzo con noi! Ci fa una “mala taliata e capiamo che in cuor suo ci sta mandando a quel paese”, e vabbè pazienza! Meglio fare un riposino pomeridiano, ma figuriamoci se si può dormire! Arriva mio padre dalla sua stanza che comincia: - Ntonè, nto sfinciuni c’è metteri u caciu saliatu! – si papà, lo so! – e un ti scurdari ca nto me latu c’è metteri a sarda salata! – si papà, non ti preoccupare! – e ti pari a ttia mu fai manciari friddu!
Iu Santa cristiana chi sugnu, diavulu addiventu, dicemu che accuminciu a sintirimi anticchia nirbusedda” e lui: - calmati! Io sono calmo! Ecco lo ha fatto, ha parlato in italiano, malu signu è! Va via offeso, e torna a vedere i suoi programmi preferiti in televisione!
Verso le sei del pomeriggio si impasta lo sfincione, questo è un momento delicato, intanto si devono mettere alla porta i pinguini, riscaldare l’ambiente perché l’impasto sarà soggetto ad un processo di lievitazione, che dura circa mezzora, ed è bene che ciò avvenga in un ambiente piuttosto caldo, altrimenti rischia di “acchiancare”. E poi si deve preparare “u lettu pu sfinciuni” ovvero disporre “u sciallu” col quale dovrà essere ammantata “a suppera” dove sarà ‘mpastata a farina!

Ma procediamo con metodo.
La preparazione del sugo è “na fissaria”, in poche parole si fa “a tuttu dintra”, si mette in un tegame la passata di pomodoro, con l’olio, il sale, il pepe e le cipolle tagliate a fette nel senso della loro lunghezza, si aggiunge un poco di acqua e si mette a cuocere, appena il sugo prende a bollire si abbassa la fiamma e si fa cuocere per circa due ore, avendo cura di arriminare spesso. Questo,volendo, si può fare anche il giorno prima.
Passiamo all’impasto: in una terrina mettere la farina, fare la fontana e aggiungere, lo zucchero, l’olio, (volendo anche un po’ di latte a temperatura di matri), il lievito sciolto, in una tazza con il sale e un po’ acqua tiepida e cominciare ad impastare incorporando l’acqua che deve essere più che tiepida, calda. Per impastare bisogna usare una certa energia e l’impasto deve risultare morbido (tipo sfinge di natale) ed elastico, si può ritenere pronto quando comincia a staccarsi dalla terrina e a fare le bolle.
A questo punto, si accende il forno, meglio se elettrico, al massimo della sua temperatura, si mette l’impasto nel suo letto, e si lascia lievitare, quando l’impasto avrà raddoppiato il suo volume sarà pronto per essere impostato nella teglia che è stata precedentemente unta con abbondante olio di oliva.
Impostato l’impasto nella teglia, si conza mettendo in ordine: u cascavaddu a pezzetti facendo una leggera pressione, la sarda salata a pezzetti e una bella manciata di cascavaddu saliatu. Poi si mette u sucu leggermente intiepidito ed infine una manciata di muddica per assorbire l’umito del sugo, abbondante origano e un filo d’olio.
Infornare e lasciare nel forno 20 minuti.
Attenzione non aprire MAI il forno prima che passino i 20 minuti, comprometterebbe la riuscita della pietanza! Fussi na gran pena doppu tuttu stu travagghiu!

(Antonella Gullo)