sabato 16 gennaio 2010

(14) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XIV

Piazza Indipendenza

Dottor Filippo Virgilio

Non si può dire che ci avesse fatto l’abitudine. A certe cose non penso sia possibile. Se qualcuno gli chiedeva come andava, rispondeva invariabilmente che, certo, la situazione era assai pesante. Ma cosa farci? Tutti abbiamo la nostra croce. Se davvero croce poteva dirsi badare ad una vecchia madre che, dopo aver fatto tanto per lui, ora si trovava nella necessità di dover ricevere.

Poteva negargli questo conforto?

Non si era neppure sposato per questo, puntualizzava per ogni buon conto. Detto fra noi, questa puntualizzazione ci sa di excusatio non poetita. Intendiamoci, nessuno vuole mettere in dubbio la buonafede di chicchessia, ma ci resta difficile da digerire il fatto che avere una madre inferma debba significare l’impossibilità tout court di ambire a giuste nozze. Ma ci sono madri inferme e madri inferme, potrebbe ribattere l’interessato. E bisogna convenire che la sua è davvero inferma, inferma.

Così, le notti passano in un lungo dormiveglia con l’orecchio sempre attento a captare possibili rumori o voci foriere di allarme. Di questi ultimi ce n’erano stati così tanti da apparire, ad un occhio appena appena esterno, non proprio autentici al cento per cento. Questo figlio esemplare, però, accorre sempre, senza pensare neppure un istante che quello cui tenta di porre rimedio possa essere l’ennesimo falso allarme di una ennesima notte passata in bianco.

Non diversamente dalle notti, sarebbero andati anche i giorni, se il dottor Virgilio Filippo – è lui il figlio che ogni madre inferma vorrebbe avere accanto nel bisogno - non avesse avuto un lavoro che lo costringeva ad assentarsi, suo malgrado, dal capezzale della madre.

Il dottor Virgilio, come ormai sappiamo, lavora alla Sovraintendenza ai Beni Culturali.

Ed, in effetti, è proprio quel funzionario che Cardascio ha incontrato nell’anticamera di Perez e che, in seguito, gli ha consigliato di lasciar perdere le carte che il suo gentilissimo capo gli aveva fornito.

E dagli con le piazze, direte. Sulla questione ho già detto e non voglio tornarci ancora. Non so perché tornino in ballo quasi solo piazze in questo romanzo. Non lo so e non credo sia importante saperlo. Se, poi, volete perderci il vostro tempo, sono affari vostri.

Comunque, tanto per non smentirmi, pure questa è una piazza si fa per dire. Sarebbe grande, anche per una città che alle piazze ci è abituata. Ma non è così. Ci sono dei giardinetti in mezzo dove sostano arzilli vecchietti e tutt’intorno scorazzano le automobili da mattina a sera perché è una delle zone più trafficate della città. Il motivo di cotanto flusso viario trova giustificazione oltre che negli arcani flussi del traffico cittadino, nella circostanza che in questa piazza si affaccino gli uffici pubblici più importanti: quello del Governatore, come si dice ora del Presidente della Regione e della Assemblea Regionale che, altro non è se non il consiglio regionale della Sicilia. Con la differenza però che quest’ultimo è molto più antico di tutti gli altri consigli regionali. Così tanto antico da non entrarci per niente con la Regione di oggi.

A motivo di cotante illustri presenze dimoranti in altrettanti imponenti palazzi, la piazza è quasi del tutto priva di edilizia residenziale. Tranne che su un limitato segmento, dove si affacciano alcuni palazzotti di vecchio decoro e di attuale abbandono. Al terzo piano di uno di questi, nonostante l’ora c’è ancora una luce accesa.

-Filippo, Filì. Ma che fa non ci sente? Ma che fa, dorme? Nessuno ci pensa a questa povera vecchia. Nessuno! Il Signore mi deve fare la grazia di levarci l’incommodo. Ma perché non mi piglia? Che ci sto a fare? A niente servo più. Certo prima non era così. Bastava un bai, e subito: che c’è? Di che hai bisogno figliuzzo adorato? Ma ora, ora, nessuno mi sente. Sola mi devono fare morire, sola come un cane.

Sarà stato per la stanchezza o per un abbiocco incontrollato, ma questa volta Filippo non l’ha sentita lamentarsi. Ora, però, sì, visto il volume in crescendo delle lamentazioni medesime. E meno male che accanto non ci abita più nessuno da tanti anni. Se no, chi li sentirebbe i vicini.

Il dottor Virgilio, figlio devoto, fa per alzarsi, ma si blocca, chiedendosi, per la prima volta, se è proprio necessario accorrere. Ascolta il mormorio della madre farsi sempre più flebile per poi, finalmente, cessare.

E’ possibile allora! Non è successo niente. Dorme. Certo, il più tardi possibile, quello che deve accadere accadrà. Può impedirlo lui per quanto amore ed abnegazione ci metta? Possono impedirlo le mille chiamate al 118, con i cui addetti è costretto a camuffare la voce per evitare che gli chiudano il telefono in faccia?

Però, il dubbio gli rimane e gli rode la coscienza: e se fosse davvero arrivato il momento? Posso io negarle questo ultimo conforto? Come mi sentirei dopo, se non arrivassi in tempo a darle aiuto?

Non scherzateci, per cortesia. Il tormento è grande ed è diventato così profondo che, per sua fortuna solo in pochissime occasioni, Filippo si è reso conto con un certo sgomento di non poterne fare a meno, nonostante avverta anche una rabbia che non riesce a sfogare.

Pur non sentendo più nulla, Virgilio, si alza e raggiunge la stanza della madre. La vede dormire e subito gli prende un tremito incessante, tanto che deve afferrarsi allo stipite della porta perché sente le gambe che cedono.

E’ cominciato così che saranno tre mesi ed è andato sempre peggio al punto che Filippo, ora, non riesce manco più a guardarla in faccia sua madre.

Non ha smesso di occuparsene, ovvio. Come potrebbe? Da un po’ ha assunto una badante rumena a tempo pieno, nonostante l’inferma l’avesse sempre rifiutata in passato.

La madre continua a chiamarlo la notte, ma lui da quella volta non si è più alzato.

La situazione rimane sospesa e basterebbe un niente per far precipare le cose. Virgilio se ne rende conto benissimo. è chiaro. Da allora, però, continua a ripetersi che, nonostante gli sforzi, nessuno può evitare che quello che deve succedere, accada. Non è sia granchè come consolazione, ma per ora se la fa bastare.

E come se tutto questo non bastasse, da un po’ di tempo in qua, si porta appresso un’angoscia costante che non lo molla mai un istante. Angoscia, però, che con la madre c’entra e non c’entra.

Si tratta, in effetti, del suo lavoro, cioè della sua unica libera uscita dall’inferno domestico.

Non è stato attento, si ripete, e non l’ha potuta evitare. Così ora si ritrova fra le mani la frittata che potrebbe significare la messa a riposo anticipata o peggio….

In altre parole, la fine.

Quindi, non è a causa dei malori della vecchia madre che quella luce resta accesa al terzo piano del palazzotto di Piazza Indipendenza.

Virgilio non sa più come uscirne. Ha tentato di parlarne a Perez. Ma, guarda caso, dal momento in cui il caso è scoppiato, il sovraintendente non ha avuto più tempo per riceverlo. Si è confidato con vecchi colleghi che dopo avergli dato una pacca sulle spalle se ne sono andati per i fatti loro. Di amici, amici veri, non è ha. Del resto, come avrebbe potuto farsene se non poteva uscire di casa, ne’ portarceli perché la madre non voleva nessuno fra i piedi? oltre loro due, s’intende.

C’è stato pure un momento in cui ha pensato di parlarne a lei. Ma, al solo pensiero il tremore ha ripreso a scuoterlo come una foglia, costringendolo a rinunciare.

Quel commissario?

Virgilio si rende conto che la mossa è estrema, quasi disperata. Ma, cosa gli può succedere di peggio di quello che ha già dettagliatamente previsto?

Magari, tutto si risolve in un gran polverone, di quelli che restano qualche giorno sui giornali e che poi tutti dimenticano. A lui l’avrebbero fatta pagare cara, ma non tanto, riflette, quanto l’anticipata pensione o il licenziamento e la prigione.

Un traferimento per incompatibilità ambientale? Sarebbe stato perfetto, anzi meglio in altra sede, lontano dalla città. Una sede periferica, con pochi impiegati a far niente tutto il santo giorno. E chi se ne frega!

La nomea di spione lo avrebbe raggiunto anche lì. Di questo era sicuro, ma tutto era meglio che lasciare il lavoro o peggio.

L’avrebbe chiamato domattina, il commissario. Anzi, capendo che la luce non è più quella dei lampioni, fra poche ore.

In effetti, lo strombazzamento del traffico ha ripreso alla grande. In più, da qualche giorno, si è aggiunto il rumore assordante di alcuni, oscuri lavori stradali.

Lunghe e profonde trincee attraversano la piazza. E che schifo, porca miseria! Avranno distrutto la tana di qualche numerosissima famiglia di sorci che ora scappano impazziti e qualcuno finisce pure sotto le ruote delle innumerevoli autovetture dei nostri palermitani che, baldanzosi e incazzati, affrontano una nuova giornata.



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è puramente casuale...

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