mercoledì 10 febbraio 2010

(21) Il commisario Cardascio e lo spillone insanginato

CAPITOLO XXI

Don Raffaele Cimò

Addubba!

- Ma che cosa mi venite mai a raccontare benedetto cristiano! Che ne capisco io di queste faccende, vecchio come sono!

- E’ che, padre reverendissimo, io non so più che partito prendere.

- Se lo dite voi! Non eravate tutto contento che non è passato neppure un mese? Tutto risolto era. I problemi della congregazione, ringraziando il Cielo, potevamo considerarli finiti. Ora, perché venite a lamentarvi di questo commissario che neppure conosco e di quell’altro mischino, che Dio l’abbia in gloria? Pace all’anima sua! Che brutta fine, che brutta fine!

- Reverendo padre, ho cercato di spiegarle che forse è meglio che ci parliamo con il commissario.

- Che gli devo dire io che non so niente di niente? No, don Raffaele, questa cortesia me la dovete fare per carità di Dio. Ve lo chiedo come un padre, consideratela una preghiera. Mi ci vedete a parlare con un poliziotto?

- Non mi sono spiegato bene e me ne scuso padre priore, ma non era mia intenzione. Su questo potete stare tranquillo.

- Ah grazie Don Raffaele, per un momento ho pensato che voi….ma che volete, è la testa, caro fratello, la testa che non mi regge più. Non vedo l’ora di lasciare questo peso e le vostre mani sono sicuramente le più adatte a riceverlo.

- Non mi confondete, per carità. Non è questo il momento per parlare di certe questioni. Mille anni di buona salute deve concedervi il Signore. Mille anni ancora. Tuttavia, sul punto, padre santo, come mi devo comportare? Pensate che sia opportuno quest’abboccamento con la polizia?

- Voi, l’avete detto, caro don Raffaele. Che sappiamo noi di quel povero disgraziato? Niente, assolutamente niente. Però che ci abbia aiutato in questi ultimi anni è un fatto che è inutile nascondere. Nascondere poi per quale motivo? Comportatevi secondo coscienza e opportunità, figlio caro.

- Proprio sull’opportunità ero venuto a chiederle….

- Secondo coscienza e opportunità, badate bene, don Raffaele.

Perché prendersela. Era stato un tentativo destinato al fallimento ancor prima di essere messo in atto e questo lui lo sapeva bene. Dice di essere vecchio e di non starci con la testa. Sì vabbè. C’è sempre da imparare a starlo a sentire il reverendo padre priore. Sapeva e non sapeva. Era stato informato, ma non sapeva che avviso è stato preso.

Alla fine mi ritrovo senza ombrello, come sempre del resto. Ho sbagliato io a chiederglielo.

Don Raffaele si sente più vecchio degli anni che ha. Non tanti considerando l’età dei confratelli. Appena cinquantadue. Alto, con un leggero accenno di pancia, dovuta più che alla gola alla prolungata attività alla scrivania. Gli sarebbe piaciuto occuparsi dei giovani. Ne girano tanti lì attorno al convento. Non è stato possibile perché non c’era nessuno che potesse occuparsi di quelle questioni pratiche che tenevano in vita, precariamente, la sua piccola comunità. Don Raffaele si è accontentato di quello che Dio o il destino – a volte gli capita anche di fare cattivi pensieri- hanno deciso per lui. Non è rassegnato però. Questo non lo si può dire di lui. Resiste il nostro frate nonostante le sirene cantino ogni giorno più forte. Tutto attorno a lui lo indurrebbe a mollare, la pavidità dei suoi superiori, la stanchezza dei confratelli, la situazione disperata della congregazione che fino a ieri contava soltanto sulla realizzazione del progetto non dico per rinascere, ma almeno per mantenere ancora in vita la sua tradizione. Poi è successo quello che è successo. Don Raffaele si è incupito e non ha più voglia di sedersi al suo tavolo di lavoro. Ha pregato e cercato conforto ma non è venuto altro che l’ennesima esortazione a smetterla con quella lotta disperata. A volte, si chiede se questa sua ostinazione non sia in fondo solo superbia e non già eroismo, come per molto tempo ha voluto credere

Gli altri, neppure il caso di pensarci. Sempre a raccomandare prudenza e pazienza, salvo poi, quando gli si fa presente che non possiamo durare a lungo in questa situazione, cambiare discorso. E il priore che parla di lasciarmi il suo incarico. Lasciare che cosa? La cura di quattro vecchi che non riescono più a badare a se’ stessi? I debiti che si stanno magiando tutto? Che cosa? Sia fatta la volontà di Dio!

E visto che aiutati che Dio t’aiuta, almeno quest’incontro col commissario era meglio farlo e farlo in fretta prima che magari a quello gli venga la bella pensata di venire qui in convento. Dio ce ne scampi! Così ha deciso alla fine don Raffaele. E non mi pare che sbagli. Cosa può fare da solo pover’uomo? Da qualunque parte si giri non trova nessuno disposto non dico a dargli una mano, ma neppure un consiglio. E’ andato da ogni parte don Raffaele. Bisogna dargli atto che si è comportato egregiamente. Nessun passo falso, almeno fino ad ora. Nessuna negligenza o disobbedienza nei confronti dei suoi superiori. Una sottovalutazione del rischio che comportava mettersi in casa un tipo come il ragioniere? Forse. Ma pure dopo quello che è successo, nessuno si è azzardato a muovergli un appunto. Solo abbracci e pacche sulle spalle per la disgrazia. Nient’altro. Impallomeni, povero cristo. Gli è capitato diverse volte nelle lunghe ore passate nella stessa stanza a lavorare di alzare gli occhi e guardarlo. Un mistero è stato per lui il ragioniere. Alla sua età, dopo una vita passata nel lavoro e nella famiglia, cosa mai lo muoveva in modo così violento verso quelle sue innaturali inclinazioni? In un modo che ne metteva a rischio la onorabilità, la pace familiare? Impallomeni non si è mai aperto, neppure in confessione. Per questo sacramento sceglieva il più anziano dei frati e il meno dotato di misericordia. Ma ad ogni confessione, nonostante il viso acceso e l’aria tirata, il ragioniere ne usciva come fortificato nelle sue decisioni. Ovvio che le voci correvano. Una delle sue figlie era venuta a trovarlo, scongiurandolo di metterci una buona parola, anche, per evitare guai più seri. Don Raffaele non si era negato, provando a prendere il discorso con Impallomeni ma, quello, ogni volta, trovava sempre un argomento per sviare la discussione. Il progetto, sempre di quello parlava, non si stancava mai. Pure questo era un mistero legato, forse, alla vita passata del ragioniere, ma, oramai se l’era portato nella tomba per sempre. Neppure i più anziani dei frati del convento che avevano avuto modo di conoscere Impallomeni da giovane, qualcuno pure da bambino, aveva saputo aiutarlo a capire.

Sentirli, poi, quegli altri! Che ci state a pensare ancora don Raffaele? Non è più cosa che si possa reggere, meglio finirla qua quando ancora c’è tempo! Evitare lo scandalo. Ma ci pensate voi, pignoramenti, sequestri? E quei poveri vecchi che avete sulle spalle? Ne morirebbero senza dubbio!

La fanno facile loro. Cinquecento anni, dico cinquecento, da quanto quel sant’uomo del fondatore ha cominciato la sua opera con l’aiuto di Dio! Conventi sempre troppo piccoli per ospitare i frati e sempre la necessità di costruire nuove case per ospitare i novizi che bussavano alle porte. Cosa rimane ora? Lui, quattro poveri vecchi e un priore rassegnato e impaurito che non vede l’ora di ritirarsi da qualche parte. Questo rimane!

La decisione è presa e non vale la pena perdere tempo. Dire quello che sapeva, tutto qui. E quello che sapeva era ben poco. Impallomeni si occupava solo di una questione, il progetto. Non chiedeva niente in cambio e gli è parso sempre sincero e disinteressato. Don Raffaele lo sa che quell’aiuto è arrivato proprio sull’unica cosa che abbia un certo valore fra quello che è rimasto della fortuna della congregazione. Da questo a pensare….No e perché poi? Cosa ci avrebbe guadagnato Impallomeni? Il terreno è dei frati. I vantaggi economici che se ne potevare ricavare sarebbero andati pure quelli ai frati. I lavori? No, neppure a pensarci. Nessuno fra di loro, Impallomeni compreso, ci avrebbe avuto a che fare. I soldi li avrebbe messi e gestiti la Regione, come previsto dall’ultima modifica al progetto, proposta proprio dal ragioniere.

Sicuramente il commissario le sapeva queste cose. Aveva fatto le sue indagini. Perché non incontrarlo allora? Gli avrebbe detto tutto quello che sapeva. Magari gli avrebbe fatto vedere pure le carte, se proprio ce n’era bisogno. Non c’era niente da nascondere.

Gli piange il cuore doverlo ammettere. Senza Impallomeni non avrebbe potuto starci appresso al progetto e senza il progetto non restava che farla finita per il bene di tutti. Il Signore lo deve perdonare ma sente pure rabbia. Un peccato grave di cui pentirsi per non perdersi. A volte l’attaccamento, pure alle cose più sacre, significa non accettare quello che il Cielo ha deciso per noi. E quello che il Signore decide è sempre per il meglio, anche se questo significa far cessare una tradizione di carità e di eroismo durata cinquecento anni. Il lavoro non sarebbe mancato neppure in quest’occasione. Gli hanno detto di prepararsi, ma ogni volta che li ha dovuti ascoltare, Dio lo perdoni, ha sentito montargli dentro quella rabbia.

Ma se così era scritto così sarebbe stato.


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o a persone realmente esistite o esistenti
è puramente casuale...

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