mercoledì 16 dicembre 2009

(5) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato



CAPITOLO V

Via Terra delle Mosche

Hotel Mozart

L’anonimo estensore della lettera, pur essendo criptico, urbanisticamente parlando, non è stato affatto oscuro, almeno per alcuni dei miei concittadini. In breve la questione è la seguente. Dovete sapere che a Palermo ci sono faccende che non si risolvono mai, almeno nell’arco della vita di una persona che non si chiami Matusalenme. Badate bene che le faccende di cui si parla non debbono riguardare necessariamente affari eclatanti. Niente affatto, anzi sovente, si tratta di interventi urbani banalissimi, una stazione per i bus regionali o un palazzo dei congressi.


Si scatenano effimere campagne di stampa e dibattiti televisivi, politici e gruppi vari s’indignano perché le opere non si fanno oppure perché si intendono realizzare. Chiaramente, alla fine, non succede niente, salvo, in seguito, tornare a scannarsi secondo una periodicità assolutamente non prevedibile. Una di queste questioni riguarda un pezzo di terra pieno di pietre ed erbacce, sul quale sorgeva da secoli una chiesa distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra. E’ proprio nel centro della città, quindi non mi pare di chiedervi un grosso sacrificio se facciamo due passi. Dobbiamo superare le due piazze principali, piazza Politeama e Piazza Massimo, dove si affaccia l’omonimo teatro; il secondo al mondo per grandezza, almeno così dicono i palermitani. I


l secondo teatro lirico, il primo parlamento, che volete farci? Da queste parti ci consoliamo così, magari per scordarci delle passate e presenti miserie. Comunque, superata quest’ultima piazza imbocchiamo decisi la via Maqueda. Si pronuncia Macheda, ma i palermitani la pronunciano Maqueda con buona pace del viecerè spagnolo che le ha dato il nome. Arrivati al quadrivio che taglia la nostra strada, intersecando due dei mercati storici della città, il Capo e S.Agostino, proprio accanto al Vicolo delle Mandrie, c’è appunto quel muro in conci di tufo di cui parla l’anonimo. Non si vede nulla dalla strada, ma, credetemi, non è che vi perdete chissà che. Mi pare sia stato detto, dietro non c’è che una distesa di calcinacci e sterpaglie. Ma, qui è il bello. Attorno a questa landa desolata negli ultimi cinquantanni si sono dati battaglia fazioni agguerritissime.


Da un lato il proprietario della landa, la congregazione dei frati dell’Incoronazione, che per nobilitare l’investimento si è addirittura affidata ad un architetto di fama mondiale, dall’altra gli strenui difensori della memoria urbana. Risultato: il resto di niente

Non mi pare il caso di dilungarci ancora sull’argomento. Se davvero vi interessa, sulla questione esiste una vasta, ma sparsa letteratura da consultare. Ma, credetemi, almeno per quanto riguarda questa storia, non è questo il punto.

Ora fate attenzione ad attraversare e non state sempre col naso in aria a guardare di qua e di là. Se c’è qualche cosa di notevole da vedere, vi avverto io. Forse è per questo che non sentite questa puzza. Badate almeno a dove mettete i piedi. Come perché? Abbassate gli occhi, per cortesia. Ecco perché.

I cocchieri di Palermo trovano disdicevole per i loro stalloni l’applicazione dei pannoloni, quindi la merda di cavallo imbratta le strade e ammorba, con il puzzo di stallatico l’aria di questa felicissima città.

Ora però dobbiamo sbrigarci, perché Cardascio, almeno per una volta, è stato costretto ad uscire dalla sua tana per fare le indagini come ogni commissario che si rispetti. Va in quell’alberguccio di Via Terra delle Mosche, l’hotel Mozart.


Che stava a sentire quella mattina il commissario? Ah, un bello cd di Rosa Balistreri che ha trovato al solito negozio di Via Roma: un'occasione, vecchie incisioni degli anni 70. Comunque, una bella voce. E dove si trovano più voci così ai giorni d'oggi? Cantu e cuntu, cuntu e cantu/pi nun perdiri lu cuntu

Lui, Cardascio, ascolta la musica con le cuffie perché, dice che non vuole disturbare, e, cosa più importante ancora, non vuole essere disturbato. Aggiungeremo noi che magari usa le cuffie perché ascolta musica pure quando è al lavoro, ma forse Cardascio questa malignità non se la merita. L'ufficio suo è ignuniato, cioè nascosto, al terzo piano della Questura, in fondo al corridoio, salendo a sinistra. Dalla finestra si vede solo un pizzicunello di cielo e mezzo pinnacolo di Cattedrale. Ma a lui ci basta.


Appunto, mentre Cardascio stava beandosi del cd di Rosa Balistreri

- Mimì, Mimì Cardascio…

Ruvolo, e questo stava a significare ancora camurrie, nel caso specifico una telefonata dell’Antocci, che, come al solito, quando cerca qualcuno non lo trova ed è costretta a mandare l’uscere: che non lo sente il signor commissario Cardascio il telefono?

Certo che no, ovviamente, visto che ascolta Rosa Balistreri con le cuffie in ufficio. Comunque, la suddetta telefonata va a buon fine.

- Caro Commissario che piacere, che piacere sentirla!. Le rubo solo un minuto perché lo sa, vero, quante cose ho da fare. E mi creda, caro Cardascio, nessuno e dico nessuno che mi dia una mano. Tutto da sola devo fare! Ma lasciamo perdere che è meglio. Ho mandato Ruvolo per quella lettera.

- Sì l’ho ricevuta e ho appena avuto il tempo di leggerla. Mi pare strana assai.

- E perché? A me pare invece così chiara.

- Vede dottoressa, la lettera dice cose che paiono andare in due direzioni diverse.

- Ma no, ma no, lei è portato a complicarsi la vita. L’accenno a quell’albergo non le dice niente?

- Non ho ancora avuto il tempo di…

- Lei sa che qui nella mia Questura si fa solo gioco di squadra, no? E allora, Cardascio? Ci ho pensato io, stia tranquillo. Ho acquisito una ponderosa, e dico, ponderosa documentazione su quest’albergo. Denuncie non ne mancano e si tratta sempre di certe cose. Mi raccomando, sono certa che concorda con me che un sopralluogo, s’impone, e dico, si impone.


Cosa dell’Investigativa è, continua a ripetersi, pure ora, Cardascio. Invece, la Signora Questore che fà?. Manda lui e quel povero figlio di madre dell’agente Altavilla in Via Terra delle Mosche. Perché? E perché in quella fottutissima lettera si parla dell’Hotel Mozart, sul quale, è vero, il questore ha raccolto una ponderosa documentazione, dalla quale risulta che il Mozart è un albergaccio di malaffare. Da questo a fare due più due che ci vuole? Già se li vede i titoli dei giornali: “caso risolto: tragico epilogo di….”

E dai, è così chiaro. L’altra parte del messaggio è cosa troppo delicata, da evitare accuratamente.

Ma a lui, Cardascio, la dottoressa Antocci non lo piglia per il culo. Però, bisogna avere pazienza e dargli corda.

Vabbè, lasciamola cantare. Fra qualche giorno se la sarebbe scordata questa lettera anonima. Del resto, è sempre andata così, pensa il nostro povero commissario.


L'indirizzo è quello, Via terra delle mosche. Cardascio si guarda intorno. Il vicolo è stretto e buio, pure se sono appena le 10 del mattino. Solo un portone aperto, proprio quello del numero 25. Dentro non si vede un accidenti di niente. Prende dalla tasca il foglietto spiegazzato che Ruvolo gli ha consegnato il giono prima. Accidenti a lui: l'indirizzo è proprio quello, Via Terra delle mosche 25, 1° piano. Non resta che salire a vedere. Niente campanelli da suonare, non c'e niente di niente.


Altavilla mantiene le distanze. E’ ancora incazzato e si vede. Fuma, guardandosi intorno disgustato. Ma chi ce l'ha portato? Continua a chiedersi, per non pensare a cose peggiori. Per esempio, a quanto è cornuto quel figlio di buttana del commissario.

Sì, perché proprio Cardascio ce l'ha portato in questo casino, che manco c’ha la lucina rossa sul portone.

- Andiamo, Salvù. Una volta che ci siamo, vediamo di sapere se pure questa è una fesseria. Almeno così il questore si calma un poco.

Dopo quella prima visita di Ruvolo, Cardascio ha fatto quello che fà sempre. Cioè, ha preso la cartelletta con quella strafottuta lettera anonima e in attesa dei risultati dell’autopsia l’ha impilata insieme alle altre. Ovviamente, l’ha collocata in fondo alla pila, perché pure al niente, così la pensa il commissario, bisogna dare un ordine. In questo caso, però, le cose non sono andate come sempre erano andate, purtroppo. C’è stata prima la telefonata e come se non bastasse Ruvolo si è ripresentato con un biglietto, vergato a mano direttamente dal Questore in persona.


Che stava combinando il signor commissario? E che non si sapeva che tutti, ma proprio tutti in quella Questura non facevano altro che oziare tutto il santo giorno? Ma lei no, il Questore non dimenticava nulla. Ecco allora l’indirizzo di quell’alberguccio. Sicuramente il signor Commissario non si era dato la briga di trovarlo… E badasse bene che il posto era assai equivoco perché frequentato quotidianamente da notori pederasti!

A questo punto non restava altro che mettersi il cuore in pace e decidersi a farlo quel benedetto sopralluogo.

Al primo piano non si vede una minchia di niente. Ci sono tre porte, come nell’indovinello della Turandot, e manco una targhetta.

- Suona Altavilla.

- A quale maresciallo?

- A quello che vuoi. Non lo vedi che manco una targhetta di schifo ci mettono? Suona, suona.

E Altavilla suona. Niente, neppure un'arma, cioè un’anima, di cristiano.

- Suona ancora Altavì.

-Ma nuddu c'è, marescià e poi alle dodici i picciriddi mi escono dalla scuola.

Ma, ma, Cu è, cu è? A nuddu aspittamu. Itivinni; nuddu c'è, itivinni.

Deve essere una vecchia, pensa Cardascio. E pure anziana assai. La voce in effetti è fina fina, ma incazzata assai.

- Ci aprisse signora, clienti siamo.

- Ma chi signora e signora! Ma chi minchiate andate dicendo. Sono Quartararo Giovanni, fu Battista, che andate cercando?.


E la porta si apre e ne esce una tistuzza senza manco un capello, liscia liscia. Sotto la pelata, però, ci stanno due occhi neri e ancora vispi e un baffettino nivuro, sopra una bocca piccola e stretta.

- Borgiorno signor Quartararo, mi deve scusare per prima, mi sono sbagliato, capita,e me ne dispiace tanto.

-Cosa volete a quest'ora? Tutto chiuso è; nuddo c'è, come ve lo devo dire?

-Mi deve scusare, ma veniamo da lontano e ci avevano detto che qua affittate camere, pure per qualche ora. Io e mio compare, qui, siamo stanchi e ci volessimo fare un riposino. Sempre che lei ci favorisce; s'intende paghiamo, paghiamo, quello che è giusto.


Il commissario ci fa una taliata a Altavilla che diventa tutto rosso, povero figlio.

Il sorriso ci spunta allora sulla buccuzza di Quartararo, che magari una occhiata ad Altavilla ce l’ha data pure lui.

- Accomodatevi, accomodatevi. Un cafè, un bicchierino. Dite, dite, a vostra disposizione. Ci dovete scusare, è tutto ancora in disordine. E poi, e poi, una cosuzza pulitina è questa casa, Semplice, ma onesta,

E mentre li fa accomodare in un salottino scuro dal decoro banale, si volta di scatto:

- Ciccio, Cicciuzzo, veni ccà. Ci sono due signori, due clienti, porta u cafè.

State comodi, il cafè arriva subito. In che cosa posso servirvi?

Cardascio con Altavilla è stato chiaro; fammi parlare solo a me. Tu statti zitto, senza dire una parola. E difatti, Altavilla se ne sta zitto e si guarda le scarpe, assittato sopra una poltroncina di vellutino rosso. E fuma.

- Deve sapere che io e mio compare ci abbiamo un cugino, alla lontana…

- Ah che cosa meravigliosa! Sì, sì, però chi c'entra? Non siete qui per la camera?

Premura aveva Quartararo.

- Un minuto e ce lo spiego. Io e mio compare abbiamo certi affari qui a Palermo. Ma la corriera del paese parte solo la mattina presto. Così o questo o niente. E allora, che si fa? Ci siamo alzati questa mattina alle 4, e ora dobbiamo vedere un amico nostro alle 5, questo pomeriggio. Vediamo di farci una dormitina ci dissi al mio compare. E dove? risponde lui. Io allora m'arricordai di mio cugino, quello alla lontana, il ragioniere Impallomeni…


A Quartararo quel nome non gli ha fatto un bella impressione perché magari è diventato più pallido di quello che era. E ce ne vuole, giarno, com’è di suo. Però, il vecchio, che fissa non c’è, incassa e cerca di far finta di niente.

- E allora? Le ritorno a dire che c’entra? La volete sta camera sì o no?.

- Il cafè pronto è.

Cicciuzzo entra e si talia tutt'attorno. Si vede subito dalla faccia pallida che è preoccupato, e un tantino spaventato.

- Lolò, non facciamo scortesie al signor Quartararo. Pigliamoci il caffè.

Cicciuzzo ha posato la guantiera sopra al tavolinetto davanti al divano.

- Aspetta aspetta, Ciccio, per la cortesia.

Cardascio ha tirato fuori dalla sacchetta un rotolone di carte da centomila lire e, pigliato un diecimila, lo porge al picciotto.

- Assai, assai, sono; così me lo maloabbituate il ragazzo. E che fece? Per un cafè che portò? Questo lavoro suo è.


Quartararo ride, ma si capisce che sta sulle spine.

Approfittane, Mimì, si dice Cardascio. Se non lo sfruculii ora stu carusu, mai più ne avrai l'occasione.

- Ah, qui lavora il ragazzo? E che fai Cicciuzzo, che fai?

- Il cafè porto. Il cafè ai clienti. Pure le sigarette qualche volta e quello che comandano.

- Ah, ora sì che mi ricordo, pure mio cugino, il ragioniere Impallomeni, mi ha parlato di te e di quello che fai…

Ma quant’è curiusu questo cristiano, si dice Quartararo. Mezz’ora che si parla, parla e ancora non si sa se sta benedetta stanza la pigliano o no. Forse è meglio evitare. Lui a questi non li ha mai visti e da che si ricorda gente che cerca una camera per farsi un riposino qui, all’hotel, non ce n’è mai capitata. Tutta gente conosciuta o presentata. Evitiamo che è meglio.


- Arrivederci, arrivederci e scusatemi tanto, ma stanze non ce n'è. Ve l'ho detto subito che non ce n'erano. Scusate, scusate.

Cardascio che ancora parla con Ciccio, il cameriere, non se l’aspettava proprio questa uscita di Quartarano. E’ indeciso se insistere o lasciare perdere. Il pensiero della Antocci però è risolutivo. Lasciamo perdere, se proprio se ne deve occupare lui della questione è meglio andare a cercare da qualche altra parte. Vabbè, può pure essere che Impallomeni qui ci venisse, e allora?

Quartararo ha chiuso la porta e a loro non ci resta che tornarsene a casa.

Davanti al portone di Via delle Mosche 25, Lolò Altavilla, scusandosi assai, deve scappare a pigliare i figli che gli escono dalla scuola.

Signore, signore, scusasse, ma che cerca qualcuno?


Cardascio con quel buio non riesce a capire chi è che lo chiama. Sente solo la voce che ripete a cantilena ma che cerca qualcuno? ma che cerca qualcuno? Fa per s'accendersi una sigaretta. e abbassando lo sguardo verso la fiamma dell'accendino ti vede un paio d'occhi luccicanti dentro la persiana del numero 22.

Detto fatto, Cardascio legge la targhetta della persiana, ora chiusa e sprangata: Leone Teresa, CUTURIERA.


(accì)



ogni rifermento a fatti realmente accaduti
o a persone realmente esistite o esistenti
è puramente casuale...


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