lunedì 25 febbraio 2008

Le sarde c’acitu, una ncapu una sutta


Ingredienti per quattro persone:
24 sarde fresche aperte e diliscate;
aceto di vino rosso per la marinata q.b.;
il ripieno:
200 gr circa di pangrattato;
4 cucchiai di caciocavallo grattugiato;
¼ di bicchiere di aceto di vino rosso;
un mazzetto di prezzemolo;
pepe;
inoltre:
farina di grano duro per infarinare;
olio di oliva extravergine d’oliva per friggere.

Apprima, u pisci arrivava, du Castiddazzu! Proprio così arrivava dalla montagna, i carrettieri lo andavano a prendere a Carini e dintorni, poi anziché percorrere tutta la litoranea accurzavanu, facennu strati e stratuzze scognite in menzu i muntagni.
Appena, i carrettieri arrivavano in paese, chi se lo poteva permettere correva ad accattare u pisci, di solito purtavanu: scurmi, sarde, asineddi, maccaruneddu e cicireddu. U scurmu si facia o arrustutu o nto sucu, tuttu u restu ‘nfarinatu e frittu!
Ma pi diri a verità, doppu tutta sta strata, arrivava anticchia fituseddu; pi manciari pisci veramenti friscu, s’avia a scinniri ‘mpalermu, unni c’eranu i tavirnara che tu friianu pi davanti!
Ora, grazie al progresso arriva friscu, ma! Attenzione, arriva puru chiddu fitusu quello che subisce escursioni termiche a tempesta!
E non si dica che a casa mia entri pesce fitusu!
Né io né le mie sorelle possiamo comprare pesce, meno che mai mia madre, perché siamo babbe, e inesperte, perciò n’infrusano! Il pesce lo deve comprare Lui!
Quando al mattino, mia madre gli sente dire: - “vaju ad accattari du piscitedda” a dda santa cristiana ci veni un motu, intantu pi comu è a cipudda su i pisci, quindi le sue narici sensibili non possono sopportare tutto questo stress, e poi perché sa che porterà una quantità di pesce tale da sfamare un reggimentu di surdati! perché Iddu è come Giufà, che se deve andare a prendere un secchio di acqua al pozzo, porta tutto il pozzo!
Quando torna con il suo bel sacchetto pieno di “coppi” di pesce si cci avi a fari puru priu! Perché apre quei coppi di pesce con un entusiasmo ed un’enfasi che ti disarmano!
E accumincia a litania:
- Talia chi su beddi sti àmmari su senza ammoniaca!
- Talia sta siccia, è frisca frisca, ci fici mettiri u nuvuru di latu!
- Sti sardi, su na maravigghia!
- Stu pugniddu di cicireddu, mu arrialò...
Signuri meu! Puru u cicireddu!Ma se glielo regala, che fa? Ci dice no? S’affenni u pisciaru!
Col sorriso sulle labbra, e con il nirbuso nella pancia, si comincia a pensare come cucinare tutta sta roba e cosa farne dopo! Mica si può mangiare tutto in una sola volta!
L’àmmaru e u cicireddu s’hannu a friiri subbitu e si devono mangiare cavuri cavuri! Va si nò scappanu!
Con la siccia, visto che c’è pure il suo inchiostro, si fa la conza per la pasta cu nivuro che sarà congelata e consumata in un secondo momento!
E i sardi? Con le sarde mi vendico, gli faccio una sorta di ricatto psicologico, gli chiedo se gli piacerebbe se le facessi una sopra e una sotto con l’aceto, come le faceva la bonarmuzza, gli si illuminano subito gli occhi ed è questo il momento che colgo per chiedergli, con un sorrisetto ‘ntropito e ruffiano se le pulisce togliendo la lisca interna, lasciando la codina! So che lo farà, mio padre non mi resiste! La fortuna di essere a chiù nica! Ma so anche che dovrò subire la sua assistenza!
Ecco come le prepariamo:
dopo aver pulito e diliscato le sarde, si mettono in una ciotola a bagno con un po’ di aceto per farle marinare leggermente, dai cinque ai dieci minuti non di più. Intanto, in una ciotola a parte, si mette il pangrattato bene inumidito, il quarto di aceto, il caciocavallo grattugiato, il prezzemolo tritato minutamente e il pepe (chi vuole può aggiungere sale, io non ne metto) si amalgamano per bene gli ingredienti, fino ad ottenere un condimento piuttosto morbido.
Questo condimento andrà messo tra due sarde aperte e sgocciolate dall’aceto in eccesso, poi saranno infarinate per bene e successivamente fritte in abbondante olio di oliva!

Cavuri su bboni.
Debbidi su chiù bboni.
Friddi, di quantu su duci, un si ponnu livari da vucca!
(antonella gullo)

lunedì 18 febbraio 2008

U sfinciuni democraticu



C’è cu voli unciu, e c’è cu voli siccu, c’è cu voli cavuru e c’è cu voli friddu! C’è cu ci voli a sarda e c’è cu un ci nni voli! Le discussioni sono a perdere, si aprono delle vere e proprie tavole rotonde ma il compromesso, per fortuna, arriva prima che vengano sfoderati i “Cutedda”: né troppo unciu né troppu siccu, na vota nu manciamu cavuru e na vota nu manciamu friddu, menza tigghia si conza ca sarda e menza senza …questo è il vero principio della democrazia!
“Apprima avutru chi democrazia, c’era a dittatura, si facia e comu si facia era bonu, si t’appitia tu manciavi, siddu un t’appitia ti stavi diunu. Ma appitia, appitia a tutti picchi a di tempi u pitittu era forti!
A bon’armuzza da nonna u facia ogni vota, ca ni nni javamu ncampagna a fari u pani nto furno chi ligna, siccome era na fimmina fantasiusa, u facia a du ssola. U ‘nfurnava nsemmula o pani e quannu ci facia a prima affacciata nto furnu, sfurnava u sfinciuni, e du sciavuru facia grapiri u pitittu a tutta a famigghia, puru a bon’armuzza du nonnu chi era anticchia schipitignusu, (a chiddu ci aviavu a ddari a manciari sulu pasta chi piseddi)”!

Ingredienti per una teglia 40x29 cm

Impasto:
½ kg di farina di grano duro rimacinato;
20 g. di lievito di birra;
4 cucchiai da tavola di olio extra vergine d’oliva;
1 cucchiaio da tavola di zucchero;
un pizzico di sale
acqua tiepida, q.b.

Sugo:
1 lt di passata di pomodoro;
due cipolle “beddi sciacquati”
olio q.b.
sale;
pepe.

Inoltre:
per i seguenti ingredienti le dosi sono variabili a seconda dei gusti
cacio cavallo semi – stagionato a pezzetti;
cacio cavallo grattugiato;
sarda salata fatta a pezzetti minutissimi;
origano;
pangrattato.

Per realizzare una buona teglia di “sfinciuni” in primis e di preciso, dovendo andare al lavoro, “ca matinata” preparo la sua salsa che poi lascio alle amorevoli attenzioni di mia madre, che pensa ad “arriminarla” finchè non arriva a cottura. Che non si pensi che sia un momento di poesia…Anzi!
Mia madre, appena vede la “pignata ancora vacanti”, già sente “ciavuru” di cipolle, “addiventa nirbusa” e “un si cci po’ parrare chiù” (però poi “u sfinciuni ci piaci) e comincia a “sbarrachiare” i balconi anche se ci sono dieci gradi sotto zero. Chi ne paga le conseguenze è “du mischineddu di mio padre che appena si susi du lettu si sente aggilari tuttu, picchì i spifferi trasunu di cozzu e cuddaru, e santiannu santiannu arriva nta cucina ”. – “Tu mi vo fari moriri prima di mei jorna!” lei lo guarda con sguardo attonito e candidamente risponde: - “ora chiuio un ti scantari” ma lo piglia “pi fissa”, perché se prima “un ci astuta nta sarsa, i finistruna col cavolo chi i chiui”! solo quando una colonia di pinguini si sarà stabilita in casa sarà tempo di chiudere porte, balconi e finestre.
Alle due quando io e mia sorella torniamo da lavoro troviamo la casa “aggelata” ma scevra da ogni odore “nocivo” e anziché sentirci dire: - ciao come è andata oggi al lavoro o frasi di circostanza similari, ci sentiamo chiedere, avendo lei, ormai, “le nasche” assuefatte: - “trasennu ci nnè fetu di cipuddi?” La rassicuriamo dicendole che c’è un odorino di sugo che, “ a diuno” fa davvero piacere sentire! Poi le chiediamo se i Pinguini restano a pranzo con noi! Ci fa una “mala taliata e capiamo che in cuor suo ci sta mandando a quel paese”, e vabbè pazienza! Meglio fare un riposino pomeridiano, ma figuriamoci se si può dormire! Arriva mio padre dalla sua stanza che comincia: - Ntonè, nto sfinciuni c’è metteri u caciu saliatu! – si papà, lo so! – e un ti scurdari ca nto me latu c’è metteri a sarda salata! – si papà, non ti preoccupare! – e ti pari a ttia mu fai manciari friddu!
Iu Santa cristiana chi sugnu, diavulu addiventu, dicemu che accuminciu a sintirimi anticchia nirbusedda” e lui: - calmati! Io sono calmo! Ecco lo ha fatto, ha parlato in italiano, malu signu è! Va via offeso, e torna a vedere i suoi programmi preferiti in televisione!
Verso le sei del pomeriggio si impasta lo sfincione, questo è un momento delicato, intanto si devono mettere alla porta i pinguini, riscaldare l’ambiente perché l’impasto sarà soggetto ad un processo di lievitazione, che dura circa mezzora, ed è bene che ciò avvenga in un ambiente piuttosto caldo, altrimenti rischia di “acchiancare”. E poi si deve preparare “u lettu pu sfinciuni” ovvero disporre “u sciallu” col quale dovrà essere ammantata “a suppera” dove sarà ‘mpastata a farina!

Ma procediamo con metodo.
La preparazione del sugo è “na fissaria”, in poche parole si fa “a tuttu dintra”, si mette in un tegame la passata di pomodoro, con l’olio, il sale, il pepe e le cipolle tagliate a fette nel senso della loro lunghezza, si aggiunge un poco di acqua e si mette a cuocere, appena il sugo prende a bollire si abbassa la fiamma e si fa cuocere per circa due ore, avendo cura di arriminare spesso. Questo,volendo, si può fare anche il giorno prima.
Passiamo all’impasto: in una terrina mettere la farina, fare la fontana e aggiungere, lo zucchero, l’olio, (volendo anche un po’ di latte a temperatura di matri), il lievito sciolto, in una tazza con il sale e un po’ acqua tiepida e cominciare ad impastare incorporando l’acqua che deve essere più che tiepida, calda. Per impastare bisogna usare una certa energia e l’impasto deve risultare morbido (tipo sfinge di natale) ed elastico, si può ritenere pronto quando comincia a staccarsi dalla terrina e a fare le bolle.
A questo punto, si accende il forno, meglio se elettrico, al massimo della sua temperatura, si mette l’impasto nel suo letto, e si lascia lievitare, quando l’impasto avrà raddoppiato il suo volume sarà pronto per essere impostato nella teglia che è stata precedentemente unta con abbondante olio di oliva.
Impostato l’impasto nella teglia, si conza mettendo in ordine: u cascavaddu a pezzetti facendo una leggera pressione, la sarda salata a pezzetti e una bella manciata di cascavaddu saliatu. Poi si mette u sucu leggermente intiepidito ed infine una manciata di muddica per assorbire l’umito del sugo, abbondante origano e un filo d’olio.
Infornare e lasciare nel forno 20 minuti.
Attenzione non aprire MAI il forno prima che passino i 20 minuti, comprometterebbe la riuscita della pietanza! Fussi na gran pena doppu tuttu stu travagghiu!

(Antonella Gullo)

sabato 16 febbraio 2008

a tiempu di diluviu

Siamo in mezzo al caos politico ed elettorale ed in giro si sentono commenti di ogni tipo: colti ed eruditi, interessati, nostalgici, rassegnati, ermetici.
Io voglio riportarne due che ho ascoltato per caso passeggiando per le vie del centro storico di Pelermo. A Ballarò. Li definirei profondi e popolari allo stesso tempo. Figli della cultura siciliana e tornati alla mente spinti dalla contingenza italiana che vede politici incapaci confrontarsi con temi ed argomenti che non conoscono.

unu) culu ca unn'ha vistu mai a camicia, quannu si la minti si la caca

dui) a tiempu di diluviu tutti li strunza nuotanu

(la trazzera)

mercoledì 13 febbraio 2008

i cardi ovvero la minaccia!



“Duminica, o chiovi o nivica, iu vaiu in campagna e va scippu cocchi piruzzu di carduni”
Oh bedda matri Maria! Quando mio padre, dice queste cose suona come una minaccia, intanto perché lo si deve accompagnare, in quanto da solo non può più calcare la zolla; di solito si immola mia sorella, che in qualità di agronomo è più portata e si prodiga anche a dare consigli al reazionario di casa che regolarmente disattende con espressioni piuttosto colorite.
Ma la vera minaccia è insita nei cardi, “i carduni da nostra campagna, su lari di moriri: allignati, sarbaggi e amari comu u feli” cardi per uomini veri! Ma il principio è che: “i cosi amari tenili cari” e poi “megghiu di chiddi chi vinninu ca su senza sapuri!”.
E stavolta, mia madre essendo il soggetto deputato alla pulizia e alla cottura del cardo, capitola, poiché sente addosso tutta la responsabilità della riuscita dell’evento, in quanto un cardo “sarbaggio” deve essere domato (si deve togliere il germoglio interno che è il maggiore responsabile “dell’amarostico”) prima che arrivi in pentola! Una volta domato, va “squarato” in una pentola capiente piena d’acqua bollente, dove sono stati aggiunti il sale e due limoni tagliati a metà che servono a far sbiancare il cardo.
“Ci vulissi l’ultima, un sulu, sarbaggi, allignati e amari, ma puru nivuri!”
e mentre essi, lentamente cuociono vengono tenuti sotto osservazione, chi li tocca, chi li assaggia “cu ci appizza a furchetta pi viriri si su ancora allignati” quando finalmente, dopo un’ora e mezza circa sono arrivati a cottura, mia madre ne assaggia uno, guarda dritto negli occhi il suo uomo ed esclama: “chi vinniru boni”! E mio padre: “ca certu chi su boni, sunnu chiddi ri dda banna. Chiddi di sutta a casa su veru sarbaggi, i lassavu pi farici fari i “cacocciulicchi”!
A questo punto, si programma come mangiarli perché il cardo non va mangiato lesso, magari condito con un po’ di “ogghiu di chiddu bonu” no! Questa è roba per malati di stomaco!
I cardi “chiddi di campagna nostra” vanno onorati, e trattati con il massimo rispetto (ricordiamoci che sono sempre sarbaggi), “su troppu boni, chi favi a vugghiuneddu, oppure fatti a pizzudda nta paredda cu caciu e a muddica, oppure fatti a pastetta”. Ma io li preferisco fatti “muttunati e fritti” ricetta lasciata da mia nonna, Donna Nina la quale “cu picca facia pietanzi di re”!
I cardi ripieni e fritti
Le dosi sono del tutto orientative, perché quando li faccio io, uso l’occhiometro!
Ingredienti per il ripieno:
- 250 g Pangrattato;
- quattro cucchiai circa di cacio cavallo, stagionato, grattugiato;
- 100 g di cacio cavallo, tenero, a “pizzudda”;
- 2 sarde salate fatte a pezzetti piccolissimi;
- 4 pomodori pelati sminuzzati;
- mezza busta di uva passa e pinoli da ammollare in un po’ di acqua calda;
- origano q.b.;
- quattro cucchiai di olio extravergine di oliva;
inoltre:
- cardi lessi;
- olio per friggere (ma sempre “sinceru”, al massimo quello “du ggià ll’annu”);
- farina di grano duro rimacinata.

Questa ricetta richiede il pomodoro a pezzetti, mia nonna usava “u pumaroru appizzatu nta pennula” era un pomodoro piccolo (pumaroru a piriddu) che cresceva a grappolo, a fine agosto si accavallava in una sorta di telaio (a pennula) fatto manualmente con le canne di fiume, e il fil di ferro che veniva poi “appizzato”nei tetti delle case di campagna o nei solai delle case “du paisi” e per tutto l’inverno il pomodoro si conservava integro.

Poi i Francisi, si misiru a fari l’esperimenti nucleari nto deserto, e finiu u piaciri di fari u pumaroru appizzatu, picchì addiventa fradiciu ‘ntempu ca tu untu! Sti sdisonorati, ni cunsumaru, ora i cosi da campagna s’hannu a trattari chi vileni vasinnò fannu i vermi!
Perciò ci si deve accontentare del pomodoro pelato, attenzione i pelati li facciamo noi in estate! Ma procediamo con la ricetta:
in una terrina mettere tutti gli ingredienti del ripieno ed amalgamare per bene, finché si ottiene un composto compatto, se è il caso aggiungere un altro po’ di olio; adesso viene la parte più difficile, impostare in fila, sul palmo della mano sinistra, sovrapponendole un po’3 o 4 coste di cardi, mettere il ripieno, chiuderli e fare una leggera pressione affinché i cardi non diventano un tutt’uno, passare nella farina facendo sempre un’adeguata pressione per evitare che si aprano durante la cottura, e friggere in abbondante olio di oliva! Procedere fino ad esaurimento di cardi e ripieno!
Attenzione! Creano dipendenza.

(antonella gullo)

martedì 5 febbraio 2008

vastedda di carnevali




Cu a muddami di maiali e u vrocculo


Ingredienti per 4 persone
4 vastedde
1\2 Kg di muddami di maiale tritata
un broccolo
olio extravergine d’oliva
sale
pepe
semi di finocchio
(alcuni acquistano la muddami già cunzata cu Sali, i spezie e u finocchiu ‘ngranato)

Al mio paese, la vastedda cunzata ca muddami du maiali e u vrocculo, si mangia nel periodo di carnevale, mio padre racconta che il Martedì Grasso, mio nonno usciva alle sei del mattino a procacciare gli ingredienti necessari, e alla buon’ora metteva la principessa della frittura, mia nonna, a “friiri sasizza cu vrocculu e cunzari vasteddi”, ed era una vera festa svegliarsi con quell’odorino e con mio nonno che alzando il tono della voce diceva:”Cu dormi un pigghia pisci”
Ma i tempi cambiano, e adesso siamo tutti più “finuliddi” e sta mappazz,a di primo mattino non è più apprezzata, ma a pranzo o a cena… panza mia fatti capanna!
Noi la vastedda (che alcuni chiamano faccia di vecchia) di carnevali, la mangiamo la sera del martedì grasso, e già il lunedì sera si discute circa i modi e i tempi per preparare la leccornia, mentre ci si organizza con mia sorella, mia madre pensa subito al broccolo che va comprato in anticipo per avere il tempo di ”fallu vugghiutu”:
“ci aviti a diri ca u vrocculu avi a essiri beddu duru”! ora io, signorina di buona famiglia “schetta granni” con quale faccia vado dal fruttivendolo, schetto granni pure lui, a dirgli che il broccolo lo voglio bello duro? Tra i denti gli dico: mi devi dare un broccolo, che sia ben compatto! Lui mi guarda con la faccia un po’ alluccuta ne va a prendere uno di quelli giusti che tiene per i clienti giusti, e mi fa: talia chi beddu stu vrocculu! Io annuisco, pago e quando arrivo a casa, il broccolo passa al giudizio insindacabile della mamma ed io li a sudare freddo, quando lei esclama: mizza ma tu detti troppu beddu stu vrocculu! E qui tiro un sospiro di sollievo!!!
La muddami, o trito di maiali si prende da “Pireddu”, Pireddu è la ‘nciuria di una famiglia di macellai che al mio paese detiene il primato per bontà e pulizia, ma chiddu chi porta a bannera è Pireddu da Batia ! quindi la muddami (che poi in definitiva è la salsiccia senza conza) si compra alla Batia!
E la vastedda? La vastedda la prendiamo a Litria, dove c’è un fornaio che fa il pane ancora all’antica, e le sue vastedde sono le più buone in assoluto!
La preparazione della vastedda è molto semplice e richiede poco tempo:
si mette a scaldare in una padella l’olio, si aggiunge la “muddami” e si conza con il sale, i pepi e una bella manciata di semi di finocchio, quando la carne è quasi cotta si aggiunge il broccolo precedentemente lessato, a pezzetti e si lascia insaporire fino a cottura.
Di tagliano le vastedde ‘nto menzu”, si toglie un po’ di mollica (che magari si sarba e si fa siccari) si mette l’intruglio dentro, se si gradisce ci si può mettere qualche scaglia di cacio cavallo semi stagionato, e come si mangia? a muzzicuni ovviamente!

(Antonella)