lunedì 22 marzo 2010

10. TAGANGA

Caracas 19 Marzo 2010

Sono giorni forti, qui fa un caldo pazzesco come non ho mai sentito in trent’anni.

Oggi pomeriggio finalmente si sono sentiti dei tuoni, sembrava che dovesse cominciare un temporale, ed invece…solo poche gocce.

A Chacaito, ha piovuto fortissimo, eppure non è molto lontano da qui. Misteri delle pioggie tropicali! Il mio soggiorno è adesso pieno di un sacco di cose, dai libri alle cassette, aspettando persone che vengano a comprarli. A me, sembrano cose morte che, un qualche giorno, erano di fondamentale importanza.

Ho trovato delle lettere che avevo ricevuto quando ero in Colombia ed ho ricordato: nel 1977 avevo i documenti venezuelani scaduti, sono dovuta uscire dal paese e me ne sono andata in Colombia.Siccome, tanto per cambiare, non avevo quasi soldi, sono partita da sola in autobus.

Abbiamo attraversato meravigliosi paesaggi, tra cui la Guajra che è una regione al confine con la Colombia dove vivono gli Indios Guajiros.Sono tribù molto fiere che coltivano il culto dei morti e degli antenati e siccome non hanno passaporto né venezuelano né colombiano, posssono passare il confine quando vogliono, senza essere fermati. La donne indossano dei grandissimi vestiti tipo ponchos e sotto nascondono le mercanzie che passano da una parte all’altra. Droga,
armi, vestiti cibo. Sono donne severe che in alcune occasioni si tingono il volto di nero.

Le loro case sono di legno e palme e i recinti sono fatti con i cactus che in quella regione sono numerosissimi. La terra è rossa. Di notte siamo arrivati in un paese Colombiano vicino al confine, che si chiama Riohacha. E’ il paese più pericoloso di quella zona, lì opera la mafia guajira.

Sul mio autobus rimanemmo in quattro: l’autista, altri due, ed io. A quei tempi ero giovane. Avevo una paura tremenda, anche perché l’autobus si doveva fermare per la notte per permettere all’autista di riposare. Subito cominciarono a farmi delle proposte di tipo sessuale ed io ero realmente terrorizzata.

Improvvisamente mi vennero in mente queste magiche parole: sono sposata! Incredibile! tutto cambiò, mi ribaltarono un sedile, mi dettero una coperta e mi offrirono protezione. Io dormii tranquillamente fino al mattino. In Colombia, lavoravo in una fabbrica tessile, nella città di Barranquilla che si trova tra Cartagena e Santa Marta, sulla costa. Avevo affittato una stanza nella casa di un pescatore, in un paesino vicino a Santa Marta che si chiama Taganga..

La casa era di argilla e paglia e l’unico elemento di arredamento era un’amaca attaccata da una punta all’altra della stanza. Niente porta. Durante la settimana lavoravo in fabbrica, il Venerdì me ne andavo a Taganga ed il Sabato, a pescare con i pescatori. Partivano alle 3, 30 di mattina per raggiungere un’isola che si chiama la Aguja. Si arrivava dopo due o tre ore.

Appena arrivati gettavano le reti da ed alcuni salivano su una montagna da cui si vedeva la costa. Stavano lì ad osservare e, quando i pesci entravano nella rete, gridavano e quelli di sotto tiravano a riva le reti. Intanto si raccontavano magiche storie di pesca o di fantasmi o giocavano a dominò ed io, sempre rigorosamente con pantaloncini e maglietta, tra un bagno e l’altro ascoltavo le loro storie. Ero l’unica donna, ma mi rispettavano molto e non ho mai avuto problemi.

Poi appena tiravano le reti, mettevano da parte il primo pesce, accendevano il fuoco, preparavano una grande pentola con acqua di mare ed ognuno di loro collaborava con verdure: mais, yuca, gname, ocumo e preparavano una zuppa a cui aggiungevano il pesce appena pescato. Questa zuppa si chiama sancocho.*Quando era cotto, sul timone della barca adagiavano la parte solida della zuppa, sulla punta la testa del pesce. Ognuno prendeva un poco di brodo e pezzi di pesce e li mettevano in scodelle fatte con un seme leggero e grande che si chiama totumo.

Credo che è uno dei cibi più buoni mai provati. Poi si divideva il pescato e ne davano anche a me, però io non sapevo cosa farne perché era troppo, allora appena arrivati nel paese lo davo alle donne che aspettavano il ritorno della barca. Quello, è stato un periodo veramente felice della mia vita. Un giorno, sono andata a Cartagena, sono rimasta a dormire in un albergo nella “calle de la media Luna” e l’albergo si chiamava:Tropicana.

Era un albergo molto povero. Le stanze avevano la misura di un letto quasi matrimoniale, per cui appena entravi ti tuffavi. I muri di separazione tra una stanza e l’altra erano dei pannelli di
cartone tinti di un colore verde acqua e dalla mia stanza ascoltavo tutto quello che succedeva accanto. Si sentivano i rumori di prestazioni sessuali ed anche le conversazioni di un trafficante di smeraldi che ho poi conosciuto, si chiamava Cesar ed era veramente simpatico.


Oggi 21 Marzo 2010
E’ arrivata mia figlia che mi sta anche aiutando a sistemare la casa.Ieri siamo state a passeggiare nel Parco di Caracas: il parco dell' est. Ma desso Chavez ha cambiato nome e si chiama Parco Miranda. Francisco de Miranda fu un generale che a parte di avere partecipato a varie guerre, ispirò le idee di Simon Bolivar. Nel parco ho fatto queste foto. E’ un posto veramente bello, se venite a Caracas, vi consiglio di andarci. In questo momento, per la grande siccità, qui, vicino casa mia, sta bruciando l'Avila.

E' un grandissimo incendio. Speriamo che riescano a controllarlo.


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*Il sancocho è una zuppa che può essere di diversi tipi: Di carne di vacca, di pollo, di verdure, di pesce o "cruzado" cioè incrociato ed è un misto di carne rossa e carne di pollo. In alcuni posti lo fanno con le tartarughe o altri animali selvatici.

(alessandra vassallo)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Che avventure affascinanti!!
Il ricordo ed il racconto non fanno emergere la paura che sicuramente avrai provato ma solo la nostalgia di un mondo semplice e accogliente.
Spero che tu continui i tuoi racconti anche quando sarai tornata a Menfi

Valeria