mercoledì 30 dicembre 2009

(9) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO IX

Piazzetta Tarzana

Antica Osteria Sagone Serafina


Eccolo lì, Cardascio, seduto ad un tavolo appartato dell'Antica Osteria Sagone Serafina. Pur avendo davanti un bel piatto di bollito di manzo bollente al punto giusto, il commissario è intento a prendere appunti.

- Allora, allora riassumendo:

1 La lettera anonima non era una minchiata.

2 All'albergo di Quartararo Impallomeni c'è stato. Però, la dottoressa Antocci ha ragione ad insistere solo su questo?

3 E come la mettiamo con l'affare dell’area edificabile?

4 Di quest'altra questione, a parte le quattro cose che mi ha detto Michele, non si sa altro. Approfondire, approfondire!

In conclusione? … va bene, chiudiamola qui.

E sì, è proprio meglio finirla, pure perché il piatto di bollito non fuma più. E il bollito freddo, a meno di trasformarlo in insalata, è davvero immangiabile.

Capita che Cardascio ogni tanto si perda nei propri pensieri. L'occhio spalancato e alloccuto, la bocca stretta, come a non volere fare uscire le parole che va rimuginando. E a che pensa in quei momenti il commissario Cardascio? Proprio a questo volevasi arrivare.

E' quasi finita un’altra giornata. Un'altra giornata, che manco mi ricordo com’è cominciata. Quante giornate mi restano? Ho passato i cinquant’anni. Fumo assai e mangio altrettanto. E per catasmuovermi dalla sedia dell'ufficio ci vogliono le camurrie che raramente porta Ruvolo. Se no, patate che mi muovo.

Ma tanto prima o poi tutti si deve morire! Si ripete per consolarsi. La gente s'arrimina, corre, s'affancenda. E perche? Per quattro soldi in banca, per il palco al Massimo o per il villino a Mondello? Negli ultimi anni ci ho pensato assai alla morte. Anche se mi rendo conto che è una perdita di tempo, magari stupida. Ma se prima era solo spavento, ora ci ho fatto come l'abitudine. Niente santi o paradiso. Niente. Forse è l’età e succede a tutti così. Col tempo è come se ci si pigliasse confidenza e uno se lo scorda. Poi, però, senza un motivo apparente succede che il pensiero ritorni e batta come fa la lingua su un dente cariato. Le prime volte che è capitato, era come cadere dentro un buco nero, dove tutto perdeva consistenza e importanza. Ora, invece, l'unica cosa che sento è un brivido che mi fa battere i denti, come quando mi piglia la febbre. Allora, per un attimo, ritorna in vita il Mimì picciriddo, che, spaventato, chiama la mamma e piange disperato perchè lei non viene più a consolarlo.

Non vi dovete fare un’idea sbagliata del nostro Commissario. Certo che sentendo quello che gli passa per la testa, torto non ne avreste. Ma, non è così, ve lo assicuro.

Anzi, Cardascio è conosciuto come persona spiritosa. Ogni tanto, magari esagera con le sue battute senza stare a riflettere più di tanto sul fatto che possano ferire l’amor proprio degli altri. Però, la gente che lo conosce, di solito, ride e ne cerca la compagnia. Magari c'è qualcuno che è convinto che filosofeggi un po’ troppo e che abbia proprio la testa int’allaria, come si dice qui per uno che ha la testa fra le nuvole. Ma non è corretto. Cardascio non ha la testa sulle nuvole. E' che ancora non gli è passata la voglia di capire povero figlio. E capire per lui è sinonimo di complesso. Hai voglia a dirgli che ci sono stati uomini nel passato - e ancora oggi qualcuno ce n’è - che hanno praticato tutt’altra strada con soddisfazione, vivendo felici e contenti. Ma lui no, è cocciuto. Però, pur nel suo essere testa int'allaria, Cardascio non dice quasi mai castronerie. Questo no. Al contrario, molto spesso, alcuni che conoscono questa sua abitudine a ingarbugliare le cose e a complicarsi la vita, lo provocano apposta, perché sanno che dal suo arzigogolare ne trarranno sfumature trascurate, elementi dimenticati, nessi neppure intravvisti. Col risultato, frustrante per il commissario, di ritrovare in bocca ad altri conclusioni a cui lui era arrivato molto, ma molto prima.

- Sì, sì, propriamente di Impallomeni parlarono…Ah, sì… e che ne so io? sempre qui dentro chiuso sto, manco ca fussi in galera…Eh, che dite?…Ah, ho capito, va bene… Ma, a mia sbirri mi parsero…

Quartarano, appena chiusa la porta, è corso, si fa per dire, al telefono. E’ ancora agitato perchè la corsettina bene non gli ha fatto. Ma ora, si vede che è più tranquillo: assittato nella poltrona grande del salottino, fuma beato il sicarro.

Ciccio ha sentito tutto. Con ancora in mano una tazzina di caffè appena lavata, ha ascoltato di nascosto la conversazione. Ha la faccia triste e pare manchi poco che si metta a piangere. Perché? E perché? Boh? Forse qualche cosa in più di noi lui l’ha capita dalla telefonata di Quartararo.

Ma quello non è il cameriere dell’hotel Mozart? Si chiede Cardascio appena uscito dall’antica trattoria.

- E’ rimasto soddisfatto, signor commissario? Era buono il bollito?

La signora Serafina Sagone ci tiene al nostro commissario e si vede. Il tempo di un saluto e di un complimento veloce veloce, perché se no la signora ci resta male, che il picciottello è sparito. E' stato solo un attimo. L’ha intravvisto che passava quasi correndo nel vicolo e gli è rimasta un’impressione strana. Gli è parso che il ragazzo stesse piangendo.


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sabato 26 dicembre 2009

incipit (4) : Il mercante di Venezia


In questa rubrica della trazzera in terza vogliamo dedicarvi le frasi iniziali (incipit) di alcune tra più famose opere letterarie di ogni tempo.
L'inizio di un libro è una delle parti più importanti e più difficili da scrivere ed è spesso quello che ci spinge al suo acquisto o alla sua lettura.

Antonio:
Non so spiegare questa mia tristezza; mi stanca; anche voi dite che vi stanca; ma come io l'abbia presa, trovata, assorbita, di che è fatta, di dove venga, vallo a sapere......

(Il mercante di venezia di William Shakespeare)
Traduzione di Sergio Perosa - ed Mondadori I Meridiani

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venerdì 25 dicembre 2009

(8) il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO VIII
Via Terra delle Mosche
Teresa Leone, Cuturiera

- Un minuto, un minuto, mi scusasse, ma mi trovo in desabbigliè.
- Signora, guardi che non mi pare proprio il caso. Si è fatto tardi. E' quasi l’ora di pranzo e non vorrei disturbare.
- Ma che disturbo e disturbo. Lei non cerca a qualcuno? E allora aspetti che la faccio entrare.
Cardascio capisce che non c’è modo di evitarsela e aspetta che la donna lo faccia entrare.
- Signore? Signore? A lei dico, ma che fa non ci sente?
Il commissario che per l’intanto si era accesa una sigaretta sente questa vocina, ma, l’abbiamo detto più di una volta, non riesce a vedere chi sia che lo chiama perché la strada è assai buia. Gira la testa a destra e a sinistra e non vede niente.
- Signore? Signore? A lei dico, ma che non fa non ci vede?
Intanto, qualcuno lo tira per la manica e lo costringe a guardare in basso. Da dove è uscita questa qui? Cardascio si ritrova davanti una vicchiuzza piccola piccola che si appoggia ad un bastone, mentre con l’altra mano continua a strattonargli la manica della giacca.
- Ah finalmente, orbo e sordo è per caso?
- Mi deve scusare signora ma ero sopra pensiero e non mi sono accorto. Ha bisogno di qualche cosa?
- Io non ho bisogno proprio di niente. A me mi pare che lei, invece…
- Non si incomodi, non ho bisogno di niente.
- E allora che ci fa qui impalato? Ma che gli pare che non l’ho sentita quella che lo chiamava prima?
- Chi signora?
- Come chi, la Za Trisina. Non è a lei che aspetta?
- Guardi signora che io neppure la conosco la sua vicina di casa.
- Ma quale vicina e vicina, quella non c’entra niente con me. La lasci perdere, se ne vada per dove deve andare. Quella, si lasci pregare, ci gode a sparlare dei cristiani.
E con questo, Cardascio, che si era appena distratto per dei rumori che ha sentito da dietro la persiana, non avverte più quel peso leggero che premeva fino ad un istante prima sulla sua manica, sente, flebile, come una cantilena che si allontana.
- “Io a lei non la conosco a lei…va bene?” “Io a lei non la conosco a lei…va bene?” “Io a lei non la conosco a lei…va bene?”

Beh, a questo punto, forse è meglio che vi dica qualche cosa, se no non vi ci raccapezzate più. Dunque, la nominata Za Trisina in realtà si chiama Teresa Leone. Di mestiere fa la sarta, ma più per passione di curtiglio, che per bisogno in quanto vedova reversibile del defunto marito Pasquale. Abita da una vita al numero 22 di Via Terra delle mosche, proprio di fronte al 25, dove si trova l’hotel Mozart. La sua casa è un basso che si affaccia direttamente sulla strada e la nostra signora è una delle poche indigene che vive ancora in queste decadute magioni, oggi, generosamente locate dalla brava gente del posto a tamil o immigrati in genere. Questi ultimi, così si dice, vi si trovano così bene che pagano ben volentieri gli esosi canoni di locazione. Ma, tornando alla nostra sarta, dico solo un ultima cosa. E' conosciuta come il Giornale di Sicilia della Vucciria perché niente e nessuno sfugge alla sua curiosità. E ora se ci spicciamo riusciamo ad entrare insieme al commissario.

- S'accomodasse, prego, prego. La casa è in disordine. Ma deve sapere che ieri sera facemmo tardi. Si maritò la figlia della signora Annamaria. Quello che mi ha fatto passare , voi non lo potete immaginare. Pidocchi arrinisciuti sono. Sapesse che pretese che hanno! Ma il vestito, modestia a parte è venuto magnifico. Allora le stavo dicendo che al rinfresco, niente di speciale... Spendono e spandono e poi si confondono per le fesserie...ero assittata allo stesso tavolo della signora…
Cardascio, per esperienza maturata nei commissariati quando faceva ancora il commissario commissario, capisce subito com'è fatta la signora Teresa. Intanto, nonostante l'età, è ancora piacente: bassina, biunnitta e florida, con un paio di minne che non finiscono mai. Nell'occasione indossa un kimono, forse accattato quando era signorina e magrolina, perchè oggi proprio non ce la fa a contenerla tutta. A meno che...
Il nostro poliziotto, un poco per la premura, un po’ per cercare di farle di impressione, si è presentato subito: commissario Cardascio, Questura.
A Teresa Leone, però, la rivelazione che di sbirrume si trattava, invece di indurla ad un più morigerato riserbo, sembrò spronarla a più estesi e dettagliati resoconti su tutto e su tutti.
- Veniamo al dunque signora Leone. Lei poco fa mi ha invitato ad entrare perché avrebbe capito che cerco qualcuno. Non è proprio così. Non cerco qualcuno in particolare, ma mi piacerebbe sapere, visto che lei è tanto gentile, che tipo di gente ci viene all’albergo del numero 25.
La Leone, da perfetta commediante qual'è - Ma per chi prende commissario? Io i fatti miei mi faccio. Non dò confidenza a nessuno.
Pazienza, pazienza, si dice Cardascio, che ci arriviamo, ci arriviamo.
E difatti, dopo un caffè (un altro!), un bicchierino di rosolio, perché la frutta di martorana da sola non si può mica mangiare, la Leone - Mala gente ci viene. Brutta assai. Signorine e signorini. E poi travestiti, che non c'è più mondo.
- Solo questo tipo di gente ci viene?
- E che vi devo dire commissario ormai stiamo diventando vecchi. Non è più come una volta che mi ricordavo tutto.
- Magari si ricorda di un signore anziano, ben vestito.
- Fatemici pensare. Sì, sì, ora che me lo dite qualche cosa me la ricordo perché quei due mi hanno fatto impressione. Niente a che fare con la malagente che si vede entrare e uscire tutti i giorni dall'albergo. Era tardi, le sette o le otto di sera, sotto il portone di fronte, uno anziano, distinto e ben vestito proprio come avete detto voi, stava insieme a un giovanottino. Commissario, non me lo chieda. Sapesse le porcherie che si devono vedere di questi tempi. Di più non posso dirle perché bene bene non li ho visti. Però, mi sono sembrate facce conosciute. Quello anziano viene regolarmente una volta a settimana. Mi pare il martedì, di pomeriggio. L'altro, il picciottello, potrebbe essere il cameriere dell'hotel, quel ragazzino che chiamano Ciccio. Brutti tempi, commissario! Se non l'avessi visto coi miei occhi non ci crederei . Si baciavano come nei film! Poi, la luce il Comune quando ce la mette è sempre tardi.

I sospetti nati, parlando con Quartararo, trovavano conferma nelle parole della Leone, che ci aveva messo pure il carico di Ciccio, il cameriere. Cardascio, a malincuore, deve ammettere che la Antocci sulle frequentazioni di Impallomeni ci ha visto giusto. Quello che continua a non digerire è l'insistenza del questore a voler seguire solo quella pista. Il commissario è persona onesta, ma ostinata a volere ragionare con la propria testa, puvirazzo, nonostante i guai che questo modo di fare gli ha procurato nel passato. In più, per onestà, bisogna aggiungere che, intuitivo com'è, spesso e volentieri, vede ed ascolta poco. Così, mette agli atti le scandalose – ma pericolose ? - inclinazioni del defunto ragioniere e pensa a quell'altra oscura indicazione della lettera anonima, che più gli solletica il naturale istinto sbirresco.
Intendiamoci con questo non è che vogliamo prendere un partito piuttosto che un altro. Non sarebbe corretto nei vostri riguardi. Almeno io la penso in questo modo e mi comporto di conseguenza. Se preferite altrimenti, nonostante siate ancora a pagina 31, potete lasciare perdere e rivolgervi ad altri che la pensano diversamente.
Ora, chiudiamola qui con queste divagazioni e torniamo a Cardascio.
Fra caffè, rosolio e pastarelle assortite si sono fatte le tre. Che ci torno a fare a casa a quest'ora? Si chiede il commissario. Badate bene che in quel tornare a casa è sottinteso un per il pranzo e, visto che il pranzo dovrebbe prepararselo lui, possiamo capirlo, perchè è notorio che Cardascio ai fornelli fa veramente schifo . E non è tutto. Infatti, girato il cantone c'è una vecchia osteria che fa ancora il bollito come si preparava una volta e al commissario il bollito piace moltissimo. Però, santo cristiano, ma come cavolo fa a mangiare così? Il bello è che si lamenta di avere la pressione alta e il colesterolo a mille. Inutile, comunque, farglielo notare. Tutti quelli che ci hanno provato sanno già la risposta; Cardascio invariabilmente tira in ballo il nonno materno, morto alla ragguardevole età di ottantotto anni, che ai medici e parenti raccomandanti morigeratezza, rispondeva che è “megghiu moriri sazio che diuno”.


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martedì 22 dicembre 2009

(7) il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato




CAPITOLO VII
Vicolo Catari
Michele Porcarello libraio

Non credo che succeda solo a Palermo e solo ai palermitani. Penso che accada dappertutto. Quando ci sono pochi soldi e molto bisogno di apparire sulla stampa e sulle tv ci si inventa qualcosa che costi poco e che dia il massimo di visibilità. La zona che stiamo attraversando è servita ad un’operazione del genere proprio qualche anno addietro. Quest’intrico di stradine e vicoli è solo il rimasuglio di quello che diversi secoli fa era la giudecca della città. Il luogo prendeva il nome di Meschita e ci abitavano, per l’appunto, ebrei. Come vi dicevo, qualcuno, ha avuto la brillante idea di cambiare la toponomastica di questa parte della città, riscrivendola in italiano, ebraico e arabo. Salvo poi a dimenticarsene il giorno dopo che gli articoli sui giornali cittadini erano usciti e le interviste alle televisioni passate nei vari notiziari. Oggi, i pochi palermitani che ancora abitano queste strade continuano a chiamare le vie coi loro vecchi nomi. Se gli immigrati hanno approfittato o meno di questa favorevole opportunità concessagli dall’amministrazione comunale per chiamare le stesse strade con i loro idiomi nativi, sinceramente non lo so. Ovviamente se proprio dovesse interessarvi potete chiederglielo, tanto ne incontremo parecchi cammin facendo.

Vi dicevo che questa zona della vecchia città è stata quasi totalmente abbandonata dai palermitani. Capisco, quindi, perfettamente, che possa risultarvi poco comprensibile trovare una spiegazione per questa gita improvvisata. Ma, ho pure sottolineato più volte che solo quasi tutti i locali si sono trasferiti. Ed è proprio uno di questi sopravvissuti che il nostro commissario ha deciso di andare a trovare.

Non si tratta, come capirete cammin facendo, di una visita improvvisata, quanto piuttosto di una consuetudine. Cardascio si reca da queste parti almeno una volta a settimana. Di solito lo fa per suo piacere e, riteniamo, anche per piacere dell’ospite. Lo fa innanzitutto con la scusa di acquistare libri perché il nostro palermitano superstite fa proprio questo, il libraio, in Vicolo Catari. Un po’ stramba l'idea di aprire una libreria in un vicolo. Apparentemente sì. Considerato, però, che nelle altre zone di Palermo i prezzi degli affitti sono impossibili e che il nostro libraio ha una clientela di aficionados consistente, la scelta di Vicolo Catari, alla fin fine, se non lo ha reso milionario, almeno gli ha consentito di esercitare l'unico mestiere che conosce e che gli è sempre piaciuto.

Ah, non fatevi venire in testa chissà che cosa riguardo al nome del nostro vicolo. Non si tratta della tragica eresia, quanto più modestamente di secchi. Sì, cataro, in idioma locale, stava per secchio e in quel vicolo si concentravano appunto gli artigiani che li fabbricavano.

La vetrina della libreria è senza insegna per colpa dei balzelli comunali che, nonostante quello che possano pensare gli amici che abitano un po’ più a Nord, negli ultimi anni, sono lievitate in maniera iperbolica e direttamente proporzionale al degrado dei servizi forniti.

Il discorso sull’argomento sarebbe lungo e non mi pare questo ne’ il momento ne’ luogo più adatto per farlo. Vediamo intanto di non perderci Cardascio.

Che ve ne pare? Per l’età che ha il commissario,si muove ancora come un ragazzino e per di più non si fa impressionare da niente. Eccolo lì, un saltello e ha guadagnato l’ingresso della libreria senza pestare quel gatto morto.

Cercate di evitarlo pure voi, per cortesia.

- Ciao Michè

- Ah, ciao Mimì, che ci fai qui oggi, che è martedì?

- Perché è proibito? Mi pare che la libreria la tieni aperta sei gioni a settimana, o mi sbaglio?

-E che fai? te la prendi? Babbiavo e, comunque, di solito tu vieni il sabato mattina, quindi… Per caso devi usare la toilette?

- Va bene che ogni tanto ti chiedo la cortesia di usare il bagno, ma questo mica significa che ho scambiato la libreria per un pisciatoio.

- Pensavo che visto che eri qui vicino per affari tuoi, magari potevi avere urgenza …

Il libraio, Michele, e Cardascio si conoscono da una vita e mai, dico mai, che nei loro discorsi vengano subito al sodo. Al contrario, amano alla follia tampasiare e ciolliare, termini gergali per dire quello che ho detto prima con più effetto.

Prima di andare avanti, un minimo di presentazioni sono dovute. Michele Porcarello, cinquantasette anni, libraio, è un tipo secco secco e alto di statura. E, come succede a tutte le persone con troppi centimetri fra testa e piedi, tende a stare un poco curvo, quasi fosse una forma di cortesia per gli ospiti solitamente, almeno quelli della sua generazione, più bassi di lui.

Un bel paio di baffi, curatissimi, e un paio di occhiali da miope con lenti molto spesse completa il quadro.

Se ne sta tutto il giorno appollaiato su un trespolo dietro la cassa, in una posizione strategica che gli consente di vigilare sull’intero negozio, che poi non è così ampio. Conosce vita, morte e miracoli della vita cosiddetta culturale della città. Un po’ perché è uno che si è sempre appassionato a queste faccende, un po’ perche i tanti che non hanno le entrature giuste finiscono invariabilmente per venirlo a cercare se devono organizzare qualcosa di culturale, appunto: un dibattito, la presentazione di un libro, una mostra.

Lui non si nega a nessuno e non pretende di guadagnarci nulla o quasi. Così tutti, apparentemente, lo rispettano e lo stimano.

Che camurria questi scarafaggi. Mi fa schifo schiacciarli, ma non sopporto di vedermeli passeggiare sulle scarpe.

- Allora Michè, novità?

- Niente Mimì, che novità ci devono essere…poi qui, in questo buco sperduto di vicolo che vuoi che debba succedere: un tamil ubriaco, la vecchia del piano di sopra che urla come un’addannata perché non la fanno dormire in santa pace e…ah, questa sì che è una grossa novità: l’altro ieri sono passati gli spazzini.

- Fai pure lo spiritoso, ma guarda che la munniza mica ce l’avete solo qui. Anzi, a dire il vero, qua mi pare paradiso. Ma, veniamo a noi. Non è che ti trovi qualcosa su un certo progetto di recupero urbanistico che risale ad un trentina di anni addietro? L'ha fatto un architetto famosissimo, ma io il nome non lo ricordo.

- Da quand’è che ti interessi di architettura, Mimì? Lo sai che è arrivato l’ultimo di Manchette? Ne ho preso due copie, una l’ho messa da parte per te.

- Grazie, Michè. Certo che lo piglio. Hai fatto bene. Incasinato come sono per ora magari mi sfuggiva.

- E che successe? Non c’è stata una volta, dico una, che negli ultimi dieci anni non ti sia lamentato che ti hanno messo di lato e che non fai un cazzo di niente tutto il giorno.

- Ma, niente, fesserie, di che cosa mi posso mai occupare io? Di fesserie. Questa volta, però, la fesseria in questione pare che interessi al Questore. Proprio per questo ti chiedevo poco fa di quell’architetto. Dai, lo so che ci arrivi. Minchia se è brutta la vecchiaia Michè. Il nome dell'architetto ce l'ho proprio sulla punta della lingua, ma, cavolo, se viene fuori. Però, ricordo bene che il progetto prevedeva il recupero di quell'area abbandonata dove, prima dell'ultima guerra, c'era la Chiesa di Santo Spirito. Ce l’hai presente?

- Come no? Ho settanta anni e mia nonna mi ci portava a messa la domenica mattina in quella chiesa.

-Aspè un minuto che ti do qualche altro elemento. Il terreno sta in via Maqueda, proprio accanto al Vicolo delle Mandrie e alla chiesa di sant’Onofrio piluso.

- Ah quello! Sì qualche cosa dovrei averla. Ma, a proposito, ti capita di leggerli i giornali? Guarda che neppure tre mesi addietro La Repubblica ci ha fatto su un’articolone di una pagina intera. Parrebbe che i proprietari, i frati dell'Incoronazione, non vogliano più realizzarlo il progetto. Anzi avrebbero deciso di vendere tutto il pacco, terreno e progetto.

-Dici sul serio? Ma, dimmi una cosa, quest’affare non era morto e sepolto ormai?

-E ci torna! L’articolo diceva che ormai i permessi ci stanno tutti.

-Per trent'anni su quel terreno c'è stata la guerra di tutti contro tutti, poi, quando la faccenda si è risolta. i vincitori si ritirano. Non ti sembra strano Michè?

-Per essere strano, è strano, ma, fammi capire una cosa Mimì, che c’entra questa storia con la fesseria che ti ha affidato il questore?

Non mi pare il caso di tormentarvi ammatula con il riassunto delle puntate precedenti, dato che non ci pagano a cartella. Quello che è giusto è giusto, quindi sorvolerei sul prosiego della conversazione, Una cosa, però, mi pare valga la pena di stare a sentire.

- E così ci sono andato. Che altro potevo fare? Come volevasi dimostrare, Impallomeni frequentava l’hotel Mozart. E con questo? mi sono detto. Resto convinto che in questa faccenda il puzzo di bruciato viene da tutt’altra parte.

- Ma come fai ad essere così sicuro che il ragioniere c’è stato in quell’albergo?

- Quartararo non mi mi ha detto niente, ma, dopo che sono uscito, ho fatto quattro chiacchere con una signora che abita proprio lì vicino



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venerdì 18 dicembre 2009

(6) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato



CAPITOLO VI


- Io, a quella non la capisco proprio.

- Sentiamo, Che ha fatto di così grave da farti scapicollare qui?

- Te l’ho detto che la lettera, che tu sai, l’ha data a Cardascio?

- Sì, l’hai detto e mi pareva che fossimo d'accordo sul fatto che non c’era di che preoccuparsi. Anzi, ho puntualizzato che la cosa non mi dispiace per niente. Quindi, ancora con questa stramalettissima storia mi stai a camurriare?

- Mi ricordo tutto, non c'è bisogno di prendersela tatnto. Ma, anche a rischio di farti incazzare un'altra volta, ti ripeto che io ancora non l'ho capito che gli passa per la testa alla Antocci.

- Stai sereno, che non mi incazzo, però, una volta per tutte, me lo fai capire perchè stai tanto sulle spine?

- Se hai la pazienza di seguire il mio ragionamento, provo a spiegartelo. Mi pare che per certi versi la faccenda vada per come deve andare. Esattamente per come l’hai pensata tu. Difatti, il questore l’ha mandato da Quartarano.

- Chi?

- Cardascio.

- Ah bene.

- E lui ci è andato con un altra cosa inutile della Questura, l’agente Altavilla. Pare che per prendere per il culo Quartararo abbiano fatto una sceneggiata tutta da ridere. Fingevano di essere andati al Mozart per fottere. Quartararo, che stupido non c'è, gli ha dato spago e poi li ha mandati a fare in culo.

- Ho capito, ho capito e allora?

- Allora, non mi convince lo stesso. Perché l’ha data a Cardascio quella fottutissima lettera? Lo sai com’è strambo quello. Mai che si butti sulle cose semplici. Si attizza solo cercando il pelo nell'uovo. E poi – non finirò mai di ripetertelo - perché infilarci pure quell’altra storia dentro la lettera?

- Quando uno nasce con la testa tonda mai che può morire con la testa quadrata. Tu sei così, ti incornutisci su una cosa e non ci bastano tutti i santi del paradiso per togliertela dalla testaccia dura che hai. Eppure cretino non lo sei, se no stai fresco che stavi qui a rompermi il cazzo!

- Mi devi scusare, ma mi conosci meglio di me. Niente, niente, non ci torno più.

- E finisce così?

- Che cosa finisce così?

- Vieni qua - che non ci dovresti venire, e lo sai - mi fai la testa tanta e poi basta che uno ti si fa buu! E ti ritiri in buon ordine? E parla, santo cristiano! Dillo quello che ti passa per la testa.

- E, allora, te lo ripeto: quella non mi convince. Quella vuole giocare su tutti i tavoli.

- E tu lasciala giocare, falle montare la testa, che più si monta più si fa male quando cade.

Può essere che siano gli stessi di prima, però la mano sul fuoco non ce la metterei manco ammazzato. Qualche cosa mi pare di averla capita, ma non ne sono tanto sicuro e quindi non vi dico niente. Di certo c’è che questi, chiunque essi siano, sanno cose che magari non dovrebbero sapere. Addirittura le sanno prima di noi.

Per come si scrivono i romanzi ai giorni nostri, non dovrei farci una tragedia. Vi confesso, però, che questo andazzo un po' mi fa incazzare. Fare la figura del cretino non è mai piaciuto a nessuno, o mi sbaglio?


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mercoledì 16 dicembre 2009

(5) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato



CAPITOLO V

Via Terra delle Mosche

Hotel Mozart

L’anonimo estensore della lettera, pur essendo criptico, urbanisticamente parlando, non è stato affatto oscuro, almeno per alcuni dei miei concittadini. In breve la questione è la seguente. Dovete sapere che a Palermo ci sono faccende che non si risolvono mai, almeno nell’arco della vita di una persona che non si chiami Matusalenme. Badate bene che le faccende di cui si parla non debbono riguardare necessariamente affari eclatanti. Niente affatto, anzi sovente, si tratta di interventi urbani banalissimi, una stazione per i bus regionali o un palazzo dei congressi.


Si scatenano effimere campagne di stampa e dibattiti televisivi, politici e gruppi vari s’indignano perché le opere non si fanno oppure perché si intendono realizzare. Chiaramente, alla fine, non succede niente, salvo, in seguito, tornare a scannarsi secondo una periodicità assolutamente non prevedibile. Una di queste questioni riguarda un pezzo di terra pieno di pietre ed erbacce, sul quale sorgeva da secoli una chiesa distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra. E’ proprio nel centro della città, quindi non mi pare di chiedervi un grosso sacrificio se facciamo due passi. Dobbiamo superare le due piazze principali, piazza Politeama e Piazza Massimo, dove si affaccia l’omonimo teatro; il secondo al mondo per grandezza, almeno così dicono i palermitani. I


l secondo teatro lirico, il primo parlamento, che volete farci? Da queste parti ci consoliamo così, magari per scordarci delle passate e presenti miserie. Comunque, superata quest’ultima piazza imbocchiamo decisi la via Maqueda. Si pronuncia Macheda, ma i palermitani la pronunciano Maqueda con buona pace del viecerè spagnolo che le ha dato il nome. Arrivati al quadrivio che taglia la nostra strada, intersecando due dei mercati storici della città, il Capo e S.Agostino, proprio accanto al Vicolo delle Mandrie, c’è appunto quel muro in conci di tufo di cui parla l’anonimo. Non si vede nulla dalla strada, ma, credetemi, non è che vi perdete chissà che. Mi pare sia stato detto, dietro non c’è che una distesa di calcinacci e sterpaglie. Ma, qui è il bello. Attorno a questa landa desolata negli ultimi cinquantanni si sono dati battaglia fazioni agguerritissime.


Da un lato il proprietario della landa, la congregazione dei frati dell’Incoronazione, che per nobilitare l’investimento si è addirittura affidata ad un architetto di fama mondiale, dall’altra gli strenui difensori della memoria urbana. Risultato: il resto di niente

Non mi pare il caso di dilungarci ancora sull’argomento. Se davvero vi interessa, sulla questione esiste una vasta, ma sparsa letteratura da consultare. Ma, credetemi, almeno per quanto riguarda questa storia, non è questo il punto.

Ora fate attenzione ad attraversare e non state sempre col naso in aria a guardare di qua e di là. Se c’è qualche cosa di notevole da vedere, vi avverto io. Forse è per questo che non sentite questa puzza. Badate almeno a dove mettete i piedi. Come perché? Abbassate gli occhi, per cortesia. Ecco perché.

I cocchieri di Palermo trovano disdicevole per i loro stalloni l’applicazione dei pannoloni, quindi la merda di cavallo imbratta le strade e ammorba, con il puzzo di stallatico l’aria di questa felicissima città.

Ora però dobbiamo sbrigarci, perché Cardascio, almeno per una volta, è stato costretto ad uscire dalla sua tana per fare le indagini come ogni commissario che si rispetti. Va in quell’alberguccio di Via Terra delle Mosche, l’hotel Mozart.


Che stava a sentire quella mattina il commissario? Ah, un bello cd di Rosa Balistreri che ha trovato al solito negozio di Via Roma: un'occasione, vecchie incisioni degli anni 70. Comunque, una bella voce. E dove si trovano più voci così ai giorni d'oggi? Cantu e cuntu, cuntu e cantu/pi nun perdiri lu cuntu

Lui, Cardascio, ascolta la musica con le cuffie perché, dice che non vuole disturbare, e, cosa più importante ancora, non vuole essere disturbato. Aggiungeremo noi che magari usa le cuffie perché ascolta musica pure quando è al lavoro, ma forse Cardascio questa malignità non se la merita. L'ufficio suo è ignuniato, cioè nascosto, al terzo piano della Questura, in fondo al corridoio, salendo a sinistra. Dalla finestra si vede solo un pizzicunello di cielo e mezzo pinnacolo di Cattedrale. Ma a lui ci basta.


Appunto, mentre Cardascio stava beandosi del cd di Rosa Balistreri

- Mimì, Mimì Cardascio…

Ruvolo, e questo stava a significare ancora camurrie, nel caso specifico una telefonata dell’Antocci, che, come al solito, quando cerca qualcuno non lo trova ed è costretta a mandare l’uscere: che non lo sente il signor commissario Cardascio il telefono?

Certo che no, ovviamente, visto che ascolta Rosa Balistreri con le cuffie in ufficio. Comunque, la suddetta telefonata va a buon fine.

- Caro Commissario che piacere, che piacere sentirla!. Le rubo solo un minuto perché lo sa, vero, quante cose ho da fare. E mi creda, caro Cardascio, nessuno e dico nessuno che mi dia una mano. Tutto da sola devo fare! Ma lasciamo perdere che è meglio. Ho mandato Ruvolo per quella lettera.

- Sì l’ho ricevuta e ho appena avuto il tempo di leggerla. Mi pare strana assai.

- E perché? A me pare invece così chiara.

- Vede dottoressa, la lettera dice cose che paiono andare in due direzioni diverse.

- Ma no, ma no, lei è portato a complicarsi la vita. L’accenno a quell’albergo non le dice niente?

- Non ho ancora avuto il tempo di…

- Lei sa che qui nella mia Questura si fa solo gioco di squadra, no? E allora, Cardascio? Ci ho pensato io, stia tranquillo. Ho acquisito una ponderosa, e dico, ponderosa documentazione su quest’albergo. Denuncie non ne mancano e si tratta sempre di certe cose. Mi raccomando, sono certa che concorda con me che un sopralluogo, s’impone, e dico, si impone.


Cosa dell’Investigativa è, continua a ripetersi, pure ora, Cardascio. Invece, la Signora Questore che fà?. Manda lui e quel povero figlio di madre dell’agente Altavilla in Via Terra delle Mosche. Perché? E perché in quella fottutissima lettera si parla dell’Hotel Mozart, sul quale, è vero, il questore ha raccolto una ponderosa documentazione, dalla quale risulta che il Mozart è un albergaccio di malaffare. Da questo a fare due più due che ci vuole? Già se li vede i titoli dei giornali: “caso risolto: tragico epilogo di….”

E dai, è così chiaro. L’altra parte del messaggio è cosa troppo delicata, da evitare accuratamente.

Ma a lui, Cardascio, la dottoressa Antocci non lo piglia per il culo. Però, bisogna avere pazienza e dargli corda.

Vabbè, lasciamola cantare. Fra qualche giorno se la sarebbe scordata questa lettera anonima. Del resto, è sempre andata così, pensa il nostro povero commissario.


L'indirizzo è quello, Via terra delle mosche. Cardascio si guarda intorno. Il vicolo è stretto e buio, pure se sono appena le 10 del mattino. Solo un portone aperto, proprio quello del numero 25. Dentro non si vede un accidenti di niente. Prende dalla tasca il foglietto spiegazzato che Ruvolo gli ha consegnato il giono prima. Accidenti a lui: l'indirizzo è proprio quello, Via Terra delle mosche 25, 1° piano. Non resta che salire a vedere. Niente campanelli da suonare, non c'e niente di niente.


Altavilla mantiene le distanze. E’ ancora incazzato e si vede. Fuma, guardandosi intorno disgustato. Ma chi ce l'ha portato? Continua a chiedersi, per non pensare a cose peggiori. Per esempio, a quanto è cornuto quel figlio di buttana del commissario.

Sì, perché proprio Cardascio ce l'ha portato in questo casino, che manco c’ha la lucina rossa sul portone.

- Andiamo, Salvù. Una volta che ci siamo, vediamo di sapere se pure questa è una fesseria. Almeno così il questore si calma un poco.

Dopo quella prima visita di Ruvolo, Cardascio ha fatto quello che fà sempre. Cioè, ha preso la cartelletta con quella strafottuta lettera anonima e in attesa dei risultati dell’autopsia l’ha impilata insieme alle altre. Ovviamente, l’ha collocata in fondo alla pila, perché pure al niente, così la pensa il commissario, bisogna dare un ordine. In questo caso, però, le cose non sono andate come sempre erano andate, purtroppo. C’è stata prima la telefonata e come se non bastasse Ruvolo si è ripresentato con un biglietto, vergato a mano direttamente dal Questore in persona.


Che stava combinando il signor commissario? E che non si sapeva che tutti, ma proprio tutti in quella Questura non facevano altro che oziare tutto il santo giorno? Ma lei no, il Questore non dimenticava nulla. Ecco allora l’indirizzo di quell’alberguccio. Sicuramente il signor Commissario non si era dato la briga di trovarlo… E badasse bene che il posto era assai equivoco perché frequentato quotidianamente da notori pederasti!

A questo punto non restava altro che mettersi il cuore in pace e decidersi a farlo quel benedetto sopralluogo.

Al primo piano non si vede una minchia di niente. Ci sono tre porte, come nell’indovinello della Turandot, e manco una targhetta.

- Suona Altavilla.

- A quale maresciallo?

- A quello che vuoi. Non lo vedi che manco una targhetta di schifo ci mettono? Suona, suona.

E Altavilla suona. Niente, neppure un'arma, cioè un’anima, di cristiano.

- Suona ancora Altavì.

-Ma nuddu c'è, marescià e poi alle dodici i picciriddi mi escono dalla scuola.

Ma, ma, Cu è, cu è? A nuddu aspittamu. Itivinni; nuddu c'è, itivinni.

Deve essere una vecchia, pensa Cardascio. E pure anziana assai. La voce in effetti è fina fina, ma incazzata assai.

- Ci aprisse signora, clienti siamo.

- Ma chi signora e signora! Ma chi minchiate andate dicendo. Sono Quartararo Giovanni, fu Battista, che andate cercando?.


E la porta si apre e ne esce una tistuzza senza manco un capello, liscia liscia. Sotto la pelata, però, ci stanno due occhi neri e ancora vispi e un baffettino nivuro, sopra una bocca piccola e stretta.

- Borgiorno signor Quartararo, mi deve scusare per prima, mi sono sbagliato, capita,e me ne dispiace tanto.

-Cosa volete a quest'ora? Tutto chiuso è; nuddo c'è, come ve lo devo dire?

-Mi deve scusare, ma veniamo da lontano e ci avevano detto che qua affittate camere, pure per qualche ora. Io e mio compare, qui, siamo stanchi e ci volessimo fare un riposino. Sempre che lei ci favorisce; s'intende paghiamo, paghiamo, quello che è giusto.


Il commissario ci fa una taliata a Altavilla che diventa tutto rosso, povero figlio.

Il sorriso ci spunta allora sulla buccuzza di Quartararo, che magari una occhiata ad Altavilla ce l’ha data pure lui.

- Accomodatevi, accomodatevi. Un cafè, un bicchierino. Dite, dite, a vostra disposizione. Ci dovete scusare, è tutto ancora in disordine. E poi, e poi, una cosuzza pulitina è questa casa, Semplice, ma onesta,

E mentre li fa accomodare in un salottino scuro dal decoro banale, si volta di scatto:

- Ciccio, Cicciuzzo, veni ccà. Ci sono due signori, due clienti, porta u cafè.

State comodi, il cafè arriva subito. In che cosa posso servirvi?

Cardascio con Altavilla è stato chiaro; fammi parlare solo a me. Tu statti zitto, senza dire una parola. E difatti, Altavilla se ne sta zitto e si guarda le scarpe, assittato sopra una poltroncina di vellutino rosso. E fuma.

- Deve sapere che io e mio compare ci abbiamo un cugino, alla lontana…

- Ah che cosa meravigliosa! Sì, sì, però chi c'entra? Non siete qui per la camera?

Premura aveva Quartararo.

- Un minuto e ce lo spiego. Io e mio compare abbiamo certi affari qui a Palermo. Ma la corriera del paese parte solo la mattina presto. Così o questo o niente. E allora, che si fa? Ci siamo alzati questa mattina alle 4, e ora dobbiamo vedere un amico nostro alle 5, questo pomeriggio. Vediamo di farci una dormitina ci dissi al mio compare. E dove? risponde lui. Io allora m'arricordai di mio cugino, quello alla lontana, il ragioniere Impallomeni…


A Quartararo quel nome non gli ha fatto un bella impressione perché magari è diventato più pallido di quello che era. E ce ne vuole, giarno, com’è di suo. Però, il vecchio, che fissa non c’è, incassa e cerca di far finta di niente.

- E allora? Le ritorno a dire che c’entra? La volete sta camera sì o no?.

- Il cafè pronto è.

Cicciuzzo entra e si talia tutt'attorno. Si vede subito dalla faccia pallida che è preoccupato, e un tantino spaventato.

- Lolò, non facciamo scortesie al signor Quartararo. Pigliamoci il caffè.

Cicciuzzo ha posato la guantiera sopra al tavolinetto davanti al divano.

- Aspetta aspetta, Ciccio, per la cortesia.

Cardascio ha tirato fuori dalla sacchetta un rotolone di carte da centomila lire e, pigliato un diecimila, lo porge al picciotto.

- Assai, assai, sono; così me lo maloabbituate il ragazzo. E che fece? Per un cafè che portò? Questo lavoro suo è.


Quartararo ride, ma si capisce che sta sulle spine.

Approfittane, Mimì, si dice Cardascio. Se non lo sfruculii ora stu carusu, mai più ne avrai l'occasione.

- Ah, qui lavora il ragazzo? E che fai Cicciuzzo, che fai?

- Il cafè porto. Il cafè ai clienti. Pure le sigarette qualche volta e quello che comandano.

- Ah, ora sì che mi ricordo, pure mio cugino, il ragioniere Impallomeni, mi ha parlato di te e di quello che fai…

Ma quant’è curiusu questo cristiano, si dice Quartararo. Mezz’ora che si parla, parla e ancora non si sa se sta benedetta stanza la pigliano o no. Forse è meglio evitare. Lui a questi non li ha mai visti e da che si ricorda gente che cerca una camera per farsi un riposino qui, all’hotel, non ce n’è mai capitata. Tutta gente conosciuta o presentata. Evitiamo che è meglio.


- Arrivederci, arrivederci e scusatemi tanto, ma stanze non ce n'è. Ve l'ho detto subito che non ce n'erano. Scusate, scusate.

Cardascio che ancora parla con Ciccio, il cameriere, non se l’aspettava proprio questa uscita di Quartarano. E’ indeciso se insistere o lasciare perdere. Il pensiero della Antocci però è risolutivo. Lasciamo perdere, se proprio se ne deve occupare lui della questione è meglio andare a cercare da qualche altra parte. Vabbè, può pure essere che Impallomeni qui ci venisse, e allora?

Quartararo ha chiuso la porta e a loro non ci resta che tornarsene a casa.

Davanti al portone di Via delle Mosche 25, Lolò Altavilla, scusandosi assai, deve scappare a pigliare i figli che gli escono dalla scuola.

Signore, signore, scusasse, ma che cerca qualcuno?


Cardascio con quel buio non riesce a capire chi è che lo chiama. Sente solo la voce che ripete a cantilena ma che cerca qualcuno? ma che cerca qualcuno? Fa per s'accendersi una sigaretta. e abbassando lo sguardo verso la fiamma dell'accendino ti vede un paio d'occhi luccicanti dentro la persiana del numero 22.

Detto fatto, Cardascio legge la targhetta della persiana, ora chiusa e sprangata: Leone Teresa, CUTURIERA.


(accì)



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è puramente casuale...


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sabato 12 dicembre 2009

(4) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato


CAPITOLO IV

Sempre in Piazza Vittoria

Domenico Cardascio, detto Mimì

A lui, Cardascio, la posta arriva, come a tutti in Questura, dall’archivio generale. Tranne quando si tratta di cose delicate, camurrie cioè, perché allora viene Ruvolo. E chi è Ruvolo? Ruvolo è il commesso del Questore.

Funziona così. La signora Cherubini, ve la ricordate, no? Riceve la posta della giornata. La apre, la spiega per bene e la sistema per l’esame del Questore. Di norma, si tratta di burocratiche fesserie. Ma, di tanto in tanto, qualche cosa di interessante si trova. Comunque, la Cherubini entra con la sua bella carpetta nella stanza del capo e ne esce con una serie di camicine, all’interno delle quali la posta è stata sapientemente smistata. Da quel momento le carte prendono strade diverse per finire in tavoli altrettanto diversi gli uni dagli altri. Tavoli imponenti e rococò e tavoli di metallo mezzi scassati.


Non tutto quello che arriva, però, prende così rapidamente le strade di cui sopra. Succede che qualche foglio rimanga a macerare sul tavolo del Questore. Che deve rifletterci.

A questo punto torniamo a Ruvolo. Il commesso ha il compito di recare personalmente ai funzionari le carte, appunto, interessanti. E lui, da venticinque anni e nove questori, lo fa con scrupolo e senza lasciarsi scoraggiare dalle eventuali assenze dei destinatari. Non li trova? Ritorna.

E così è stato anche questa volta.


Ruvolo ha trovato Cardascio e gli ha lasciato una cartelletta di contenuto ignoto, ma, senza dubbio, assai delicato.

- Il Signor Questore tanto si è raccomandato che il dottore la guardasse bene la pratica e che vedesse cosa si poteva fare. Ah, poi, si raccomandava pure che tutto si doveva fare di premura, ma senza levate di ingegno.

Nella cartellina c'è una busta gialla, con su scritto a stampatello QUESTURA PIAZZA VITTORIA, 90110 PALERMO. All’interno contiene un articolo del Giornale di Sicilia del 15 settembre e una lettera scritta a macchina, la solita lettera anonima.

La notizia di nera è davvero striminzita: il cadavere di un uomo dell’apparente età di sessanta anni era stato trovato in un vicolo della Vucciria. Di nome faceva Vitangelo Impallomeni, vedovo e pensionato della Regione. L’uomo, ben vestito e senza nessun segno di violenza, a parte l’ovvio danno letale provocato dall’arma del delitto, giaceva riverso dentro l’androne di un vecchio palazzo abbandonato. Ambienti della polizia riferivano che ad ucciderlo sarebbe stato uno spillone appuntito, di quelli che un tempo si usavano per appuntare ai capelli i cappellini delle signore.


La lettera, invece, diceva:

Dovete sapere che non sempre quello che appare è vero. Perchè se così fosse non avreste ora per le mani questo foglio. E un povero cristo, come appare, non sarebbe morto com’è morto.

Se vi fate una passeggiata in via Maqueda e prendete la direzione del Teatro Massimo, prima di arrivare all’ingresso di Via Bandiera, sulla destra, ci trovate un muro di tufo. Non è un muro storico; sta lì da una trentina d’anni. E dietro questo muro non c’è niente. Quattro pietre, mozziconi di palazzi diroccati, erbacce e munnizza. Cosa vi pare che sia? Un altro ricordo dei bombardamenti dell’ultima guerra, direte. Non avete torto. Infatti, la zona è stata sì bombardata, ma non solo.

Allora perché questa lettera, perché tanto mistero? Perché accostare quel povero cristiano ammazzato alla Vucciria con queste rovine? Ma che ho detto prima?

Ah, quasi me lo scordavo…c’è un alberghetto un poco, come dire, particolare. Come si chiama? Sì, Albergo Mozart.

Si dice che il fu Impallomeni ci andasse. E’ proprio dietro la Via Chiavettieri. Non lo conoscete? E fatele ste indagini, per cortesia!


E’ cosa dell'Investigativa, non c’è dubbio, impreca in silenzio il commissario. Con la lettera in mano non lo vede, ma sa che Ruvolo è ancora lì. E Infatti c’è, in piedi davanti alla scrivania perché non ha ancora finito di rferire tutto quello che gli è stato ordinato di riferire.

- E ora che si sbrigasse che la dottoressa Antocci aspetta urgentemente gli sviluppi dell’indagine.

-Ho capito Ruvolo, va bene. Riferisci al Questore che me ne occupo subito.

Minchia, che premura! La lettera l’ha letta una volta sola e di primo acchitto gli pare che dica almeno due cose. Quello che non lo convince è il perché siano state messe lì, una dietro l’altra, senza un apparente collegamento. Cardascio sa che la dottoressa non ama i dubbi. Vuole, anzi pretende, certezze e soluzioni. Quindi deve darsi da fare e, magari pure questa volta, se la cava con la solita relazione di una paginetta. Ma subito.


- Ciao Pignatone, novità ce n’è?

- Non mi fare santiare di prima mattina, Cardascio! Da me le vieni a cercare le novità? Ti sei scordato del mestiere che faccio o ti va di babbiare?

- Appunto, appunto, caro Peppino, del tuo mestiere mi interessano le novità. Ce l’hai tu quel pensionato della Regione che hanno trovato alla Vucciria?

- Sì perché, ti interessa?

- Fosse per me lo sai Peppino…ma la Antocci mi ha passato stamattina una lettera anonima che riguarda proprio quello lì.

- Ah le tue solite lettere anonime. Va bene, ma di norma non le, diciamo così, passi all’archivio morto che tieni nel cestino sotto la scrivania? Scusa, ma me l’hai proprio tirata di bocca la battuta.

- Mi conosci Peppino, eccome se mi conosci. Ma, si da il caso che il questore ha una premura del diavolo e io non so che cavolo riferire.

- Ahi, ahi, bella spicchia la Antocci.

- Lasciamo perdere Peppì. Allora ce l’hai tu questo morto ammazzato della Vucciria, si o no?

- Sì, sì, e a chi lo dovevano dare questo figlio di nessuno?

- Quindi?

Quindi che cosa? Ah, va bene. L’autopsia non l’ho ancora fatta, ma qualche cosa te la posso dire pure ora.

- E dilla Peppino che a quella non gli piace aspettare.

- Dunque, allora, morto fra l’una e massimo le tre del 14. Un corpo contundente sottile e appuntito gli ha bucato l’occhio e ha raggiunto il cervello. Morto sul colpo e amen.

- Come un corpo contundente? Ma se pure il giornale dice che l’hanno trovato con uno spillone infilato dentro un occhio?

- Appunto, uno spillone è un corpo contundente. O no?

- Ma vai dove sai tu, Pignatone, fammi il piacere. Un corpo contundente. Va bene, non è che sia granchè, ma almeno qualcosa la so. Grazie Peppino a buon rendere.

- Aspetta, aspè. Ci sarebbe dell’altro…

- E che aspetti a dirmelo?

- Si tratta di cosa delicata.

- E io sono la direttrice dell’educandato delle Orsoline. Peppino…

- Allora, sembra proprio che prima della morte il tizio avesse intrattenuto rapporti sessuali, come dire, particolari.

- Particolari in quel senso lì?

- Esattamente.

- Ah, ricevuto Pignatone.

- Del rapporto dell’autopsia che devo farne, lo mando a te?

- Ma che ne so Peppì, forse è meglio che fai come di solito: segui le vie gerarchiche. Può essere che per me la cosa finisce subito.


Non ditemi che ve lo siete già scordato. Ve ne è ho parlato solo poco fa. Come di chi? Del commissario Domenico Cardascio, detto Mimì. Ecco, appunto, è proprio lui quello che Ruvolo è andato a cercare per portargli la lettera anonima per conto del Questore. Perché, come vi ho detto prima, Cardascio si occupa di denuncie anonime. D'altro Cardascio non s'occupa e, sottolineo, non si deve occupare. Denunce anonime e basta. E perché? tornate a chiedere voi. E perché? A parte il fatto che siete curiosi assai, perché è un galantuomo. Non vi basta?

E va bene, state a sentire.


Il commissario Domenico Cardascio, detto Mimì, non si è sempre occupato di denuncie anonime. Ha avuto anche momenti buoni; momenti che lasciavano presagire una folgorante carriera. Commissario ad appena 31 anni, stimato dal questore pro tempore – e non perché sia figlio di chi sa chi -, Cardascio si è fatto da solo. Lo so che è una brutta espressione e che fa storcere il naso a tanti (ma non sufficienti direi), ma non è che possiamo andare avanti all’infinito con la storia personale del commissario.

Comunque, alla fine qualcosa è successo. Per il fatto stesso che successe quello che successe dovreste capire che, in fondo, Cardascio non era proprio destinato a fare carriera. Non lo capite? Va bene, tento di spiegarvelo brevemente, anche, se so che dovreste averne fatta esperienza pure voi. Dunque, secondo voi chi fa carriera?

Ve lo dico io: non quelli che fanno, ma quelli che evitano le camurrie.

E Cardascio non aveva intuito che una questione apparentemente banale era una camurria colossale. Aveva tentato di risolverla, ma senza capire che non si voleva che si risolvesse e, così facendo, era diventato il capro espriatorio che tutti cercavano.


Bisogna rendere merito al nostro commissario del fatto che non aveva ceduto di un millimetro. Non si era abbassato le braghe, in sintesi. Tuttavia, la faccenda si era chiusa lo stesso alla maniera de L’assassinio sull’Oriente Express.

Erano stati tanti, ma così tanti a decidere che, alla fine, non aveva deciso nessuno e Cardascio era stato trasferito dove l’abbiamo trovato.


(accì)


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