martedì 24 maggio 2011

Pigafetta va ad Alicante (2): la pipì prioritaria

Eccoci in volo. Il comandante tiene per il 90% del tempo il segnale di cinture allacciate, anche se voliamo sul velluto. Sospetto che sia un modo per tenere il corridoio sgombro e i passeggeri seduti, in modo da permettere al personale di bordo di passare e ripassare continuamente, offrendoti in vendita di tutto. Mi rendo conto che uno puo’ anche comprare per noia o per disperazione, perche’ vedo che questi incassano.

Mezz’ ora dopo il decollo, sicuro ormai che la spia accesa fosse una dimenticanza, provo ad alzarmi per fare pipi’. Vengo fulminato da un’ assistente di volo (assistente di chi? Dei passeggeri no di certo), che mi fa notare come il segnale sia ancora acceso. Faccio notare che e’ cosi’ dal decollo, che siamo da un pezzo in assetto da crociera, e che comunque mi scappa. Mi guarda con odio e mi respinge dicendo che di li’ a poco il segnale si sarebbe spento.

Cosi’ avviene infatti. Ma alla toilette c’è già’ la fila. Mentre attendo il mio turno in piedi il segnale si riaccende, e, “ manu militari”, io e gli altri veniamo risospinti ai nostri posti. Intanto loro ripassano con l’ ennesimo carrello, riuscendo a vendere altra roba: nessuna turbolenza.

Dopo 10 minuti via libera: di nuovo in coda, ma la toilette disponibile è solo una. L’ altra porta il segnale di occupato, ma nessuno esce , e molti si chiedono se ci siano problemi.

Finalmente la hostess la apre dall’ esterno, stiva qualcosa dentro, poi finalmente la sblocca per il suo naturale uso. Sono ormai in pole position, ma riscatta il segnale delle cinture di sicurezza. Ormai sono pronto alla resistenza passiva, ma da lì certo non me ne vado. Fingendomi sordomuto resisto ai richiami delle hostess e appena esce il signore che la occupava mi fiondo dentro. La vescica uno Zeppelin.

Godendomi la sospirata minzione, mi chiedo perche’ nell’ offerta non ci sia, magari per 5 miseri euri, anche la pipi’ prioritaria. Sarebbe certo un business, e calcolo mentalmente le royalties che potrei incassare suggerendo l’ idea alla direzione marketing della compagnia aerea.

Inutile dire che l’ unico vuoto d’ aria e’ arrivato proprio al termine della delicata operazione, con effetti collaterali che ho il pudore di non descrivere.

Raggiante per il successo del blitz, sia pure intimamente inumidito dall’ effetto collaterale, esco ma non posso riguadagnare il mio posto: l’ ultimo carosello di vendite e’ in corso, pecore di pelouche e aeroplani scala 1:16 vanno via come il pane, per non dire dell’ eau de toilette firmata dal noto stilista.

Devo sedermi dove posso e allacciare la cintura: l’ unico posto disponibile e’ inevitabilmente accanto alla signora Tyson, il cui ubertoso decolte’ e’ pieno di briciole che lei raccoglie con pazienza certosina, mettendole in bocca con rara eleganza. Mi sorride radiosa, e mi aspetto che mi offra di dividere gli ultimi avanzi, imboccando anche me. Non lo fa, e resto quasi deluso. Deve essere una donna straordinaria, non fosse altro che per i bicipiti, che le ammiro con invidia.

Tornato finalmente al mio posto, scopro che mi hanno ciulato anche il settimanale nuovo nuovo del quale avevo letto solo la vignetta iniziale: esproprio proletario? Lotta di classe contro il potere e il privilegio di una cellula di irriducibili “low costers”?

Ma siamo in fase di atterraggio, e’ quasi finita, spero solo che non arrivi l’ applauso….

E invece eccolo puntuale al primo attrito delle ruote con la pista, manco fosse il l’ acuto finale di Pavarotti ,buonanima, in “ O sole mio”. Si sente anche qualche fischio e un paio di richieste di bis.

Questo dell’ applauso all’ atterraggio, dopo Berlusconi, Riina e Frattini, e’ un motivo, sufficiente ma non necessario, per vergognarsi di essere italiano, e terrone in particolare.

Nell’ abbandonare l’ aereo, nessuno del personale saluta i viaggiatori: sono tutti impegnati in una concitata conta degli incassi: devono mancargli dei soldi, fanno conti, hanno le facce preoccupate.

La cosa mi infonde un subitaneo buonumore…

Il Pigafetta

domenica 8 maggio 2011

Pigafetta va ad Alicante (1): un capitalista dal volto umano



Sono qui per partecipare a delle regate veliche. In onore al mio pseudonimo, amo navigare. Per la prima volta ho viaggiato con una nota compagnia aerea “low cost”. Con la quale si fa tutto on line. Il primo rigo dell’ offerta, pubblicato sul web, propone un prezzo davvero interessante.


Decido di fare la prenotazione. Man mano che scorro le procedure per confermare il booking, mi accorgo che ad ogni passaggio il prezzo iniziale va lievitando. Tasse aeroportuali. Bagagli . Pagamento con credit card. Posto preassegnato. Di “low” rimane ben poco, ma a questo punto mi lancio nello spendere altri 15€ aggiuntivi per l’imbarco prioritario; crepi l’ avarizia, viaggero’ da signore! Ma attenzione: questo non mi esime dal rispetto delle rigorose procedure, e delle precise limitazioni, previste dalla compagnia.


Gli sgarri si sistemano solo pagando pronta cassa. Esempio: se fai la prenotazione e il pagamento on-line, ottenendo conferma, ma non stampi la tua carta d’ imbarco da presentare al check-in, l’ addetto ti dà un bigliettino e tu vai alla cassa e paghi 40€ di penale ( e’ successo a un bel po’ di gente davanti a me). Inoltre, Il tuo bagaglio a mano deve misurare tassativamente quanto un volume della Treccani, e pesare la meta’.


Non e’ ammesso portare nessuna altra borsetta, neanche la macchina fotografica a tracolla. Il bagaglio in stiva puo’ pesare invece ben 15 kg, perdinci! Tutto è regolato da un ponderoso documento scritto piccolo piccolo come una polizza assicurativa.


Confesso che, anche se mi sono sciroppato la polizza e mi sento preparato, una certa tensione da esame universitario(ricordi remotissimi) si impadronisce di me, man mano che la mia fila al check- in procede.


Calcolo che uno su tre torna dal banco con un bigliettino in mano e un’ imprecazione in bocca, sia pure nelle lingue piu’ disparate. Soprattutto bergamasco e calabrese .Passo davanti a un baldacchino con gabbietta, che serve a misurare dimensioni e peso del bagaglio di cabina. Sicuro di me, inserisco il mio trolley, all’ uopo acquistato( € 39), nella gabbia, che d’ ora in poi chiamero’ la Stronza.


Ma il sangue mi si gela: E’ più spesso della Stronza, e per 1 o 2 cm non ci entra! Provo a forzare con nonchalance, per non dare nell’ occhio, mentre mi sento aggredito da un senso di colpa. Non entra. E’ quasi il mio turno, sto gia’ sudando, non voglio essere punito… Do un colpo tale al trolley che si incastra a perfezione dentro la Stronza, che pero’ piomba a terra col suo traliccio pubblicitario di sostegno, fra un clangore di ferramenta.


Nonostante gli sguardi attoniti della folla, il mio primo istinto e’ di indicare a tutti che il mio bagaglio e’ a posto, mentre la security prontamente accorsa rimane incerta se aprire il fuoco: ma si vede che come attentatore non li ho convinti. Anzi, mi hanno aiutato a disincagliare il trolley, ma non e’ stato facile, la Stronza e’ un osso duro.


Supero indenne anche la prova bagaglio grande, e felice della mia impresa vorrei esultare come Miccoli al Barbera: ma qui non c’è la curva sud.


Rido al pensiero di tutte le paranoie che mi sono fatto e riacquisto fiducia in me stesso. Ma di li’ a poco mi accorgo che non sono paranoie, ma sintomi di una patologia sociale che colpisce i volatori low cost.


Alcuni passeggeri, infatti, nel corso dei 90 minuti di attesa causa ritardato arrivo dell’ aeromobile(diventati 110 all’ arrivo), mi riferiscono di incubi notturni a partire da una settimana prima del volo, e di costi aggiuntivi dovuti all’ acquisto di metri laser e bilance ad altissima precisione.


Uno tizio strano mi dice addirittura che una volta moglie e figli, stivato l’indispensabile per loro,gli hanno lasciato a disposizione 1760 grammi e pochi decimetri cubici. Ha ovviamente sforato e pagato multa da 30€. Da allora coltiva la scienza del bagaglio “low cost”, e, illustrandomi misteriose teorie geometrico-matematiche, si vanta di non aver mai più sgarrato, da venti voli a questa parte. Senza considerare”-dice un altro filosofeggiando– “le ore perse a ricombinare all’ infinito i propri effetti personali, nel mix bagaglio grande- bagaglio piccolo, per decidere cosa far rientrare e cosa sacrificare alle implacabili leggi del volume e del peso.-“Dopo interminabili selezioni si va nel pallone, e ci si trova al mare con i mocassini di vernice e un solo cambio maglietta per 15 giorni ”- afferma un altro, indosso al quale e’ difficile immaginare scarpe di vernice ( e magari si cambiasse maglietta ogni 15 giorni!).


Solidarizzo genericamente,innervosito dal ritardo, mentre il discorso dei forzati del low cost si sposta sulle strategie per raggiungere i posti migliori prima degli altri. Scopro che esistono personaggi mitologici che riescono sempre a occupare la prima fila, pur avendo speso 20 € in tutto.


La fila all’ imbarco e’ gia’ lunghissima. Sono li’ da un’ ora e mezza. Me la rido, i miei 15 € sono stati un ottimo investimento! Finalmente chiamano il volo. Mi aspetto di trovare una fila apposita per l’ imbarco prioritario, ma mi spiegano che non c’ è: devo scavalcare tutti e raggiungere la prima fila. Ma sarebbe come fendere una folla di talebani al grido di “ Viva la Madonna”!


Non ho il coraggio. La mia autostima precipita ai minimi, non posso essere cosi’ codardo!


Dopo breve iperventilazione, parto sventolando la carta d’ imbarco e urlando “Priorita’!”. La strategia sarebbe di darmi un contegno deciso ma non altero, e sembra funzionare: sia pure fra sguardi torvi e lampi d’ odio, avanzo indenne per 3/4 della fila, con la faccia da pirla di quello che in fondo solidarizza, pur essendo un privilegiato.



Ma anch’ io ho un cuore: arrivato dietro a una famigliola (genitori e 3 bambini tutti e 5 grassissimi), non me la sono sentita di scavalcarli (non ci sarei mai riuscito, la signora sembrava Tyson), e mi sono accodato: in fondo sono un capitalista dal volto umano.


...continua


il Pigafetta

sabato 7 maggio 2011

Come Don Backy rovinò una festa!

Un posto magnifico, la Tonnara Bordonaro di Palermo; un clima terso; un gruppo di amici riuniti per festeggiare il 50° compleanno di una donna vivace e raffinata; un menù delizioso pieno di sorprese e di succulenti delizie preparate dal mitico chef Nando Napoli.
Tutto filava liscio, mannaggia! Quando qualcuno (ma chi, poi?) sfodera una domanda , buttata lì tanto per parlare, per fare lo spiritoso, o per chissàcheccosa: quale è il vero nome di Don Backy?

A voi pare una fesseria, ma improvvisamente tutta la gente in festa si concentra su questa futile e storica domanda. Iniziano così a spuntare gli eperti degli anni '60. Ma questi esperti ben presto scoprono di non essere tanto esperti . Conoscono il nome dei 4 Cetra, lo pseudonimo di De Andrè (Faber) il vero nome di Patty Pravo (Nicoletta Strambelli), di Bobby Solo (Roberto Satti) , il nome della moglie e dell'amante di Walter Chiari (Alida Chelli e Ava Gardner), ma nessuno, proprio nessuno sa come diavolo si chiama all'anagrafe Don Backy, neppure chi si vantava persino di avere assistito ad un suo concerto a Sciacca.

La festa è andata a rotoli, e tutti mogi mogi sono tornati a casa tristi.
Il presente , lo sappiamo, non lo domina più nessuno dei neo cinquant/sessantenni. Ma il passato, quello non lo aveva mai messo in dubbio nessuno. E scoprire che non si conosce il vero nome di Don Backy è stato veramente, ma veramente un triste risveglio!

... Don Backy si chiama Aldo Capone!

p.s.
un commentatore ci ha giustamente corretti: Aldo Caponi

martedì 3 maggio 2011

Pasta chi vrocculi arriminata


Circa due anni fa, doppu na sciarra cu me matri, mio padre, nivuru comu a pici ci dissi a mia sorella a menzana che voleva chiedere il divorzio, me soru, spiciusa e panza lenta ci u iu a cuntari a un suo amico nonché avvocato il quale, ancora chiù ‘ntropitu di me soru, ci disse che per il giudice sarebbe stato un problema capire a chi dovevamo essere affidate noi figlie, per farla breve ci fu na simanata di teatrino.
L’ardua e farraginosa questione, per fortuna, dopo poco tempo s’allentò, ma tuttora i due piccioncini, che cinquant’anni di matrimonio non li devono più fare, oltre a tubare, continuano a pizzuliarisi picchì me patri sostiene che mia madre un sapi cociri e ogni tanto lo dichiara in presenza di testimoni, accussì cu un u voli sapiri un u sapi! Ovviamente, dda cristiana si offende, ci rispustìa,e pi na picchidda di jorna fa una sorta di guerra del silenzio, mio padre si chiude nello studio a leggere o a stunarimi aricchi con le sue ragioni, mia madre, di contro, da brava fimmina di casa, assolve si ai suoi doveri coniugali, ma in maniera ridotta assicurando solo il sostentamento e la pulizia del coniuge, per il resto gli vota la grevia, diventa sfrigiusa, sadica di moriri e a ddu puntu ci prepara pi manciari cosi che sicuramente non gli piacciono, siddu i voli si mancia siddu un i voli si sta diunu!

In maniera particolare mio padre odia broccoli, sparaceddi e affini l’unica cosa che mangia di gusto è la pasta cu vrocculu arriminata purché sia bianca! .

L’atra volta, dopo una piccola questione mia madre mi ha chiesto di comprare un broccolo, o per meglio dire un cavolfiore, raccomandandomi di scegliere il più grosso, ebbene glielo ha cucinato in tutti modi possibili e immaginabili tranne che arriminatu ‘nta pasta!



Ingredienti per 4 persone:

un cavolfiore
quattro sarde salate
una cipolla rosa
una busta di passolina e pignola
350 gr di bucatini o mezze penne rigate
Olio
Sale



Preparazione

Lessare il cavolfiore in abbondante acqua salata, nella quale dopo si andrà a calare la pasta, intanto che il cavolfiore cuoce soffriggere la cipolla avendo cura di non farla bruciacchiare, farla imbiondire e toglierla dal fuoco per scioglierci le sarde salate.

Appena il broccolo è ‘ngriddu tirarlo fuori dalla pentola con un mestolo forato e metterlo nella cipolla soffritta, aggiungere l’uvetta e i pinoli precedentemente messi in acqua calda, e lasciare andare a fiamma molta bassa, intanto calare la pasta nell’acqua di cottura del cavolfiore, appena cotta, ma non molto, scolarla per arriminarla nto tianu dove abbiamo preparato la conza cu vrocculu, ultimare la cottura a fiamma vivace regolando la consistenza con un po’ di acqua di cottura a seconda se piace asciutta o un po’ più succulenta.



antonella Gullo