mercoledì 3 marzo 2010

(27) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XXVII
Caffetteria Rizzo II
Don Raffaele Cimò

- Reverendo padre, venga, venga. Non si faccia problemi. Si accomodi. Qua per fortuna si sta benone, non crede?
- Grazie, grazie, signor commissario, gentilissimo. Anzi, mi faccia la cortesia di accettare i miei più sentiti ringraziamenti per la squisita sensibilità dimostrata in quest’occasione che, le confesso, un certo imbarazzo ce la crea.

Don Raffaele, seduto sulla poltroncina del bar, non è tranquillo. Si liscia in continuazione la tonaca, manco se questa ne avesse di bisogno inamidata com’è. Ma, oramai dovreste conoscerlo pure voi. Don Cimò non ci è abituato a trovarsi in un bar, o in un altro posto qualsiasi, a parlare con un poliziotto. Non è un prete di mondo, se mi concedete la battuta scadente. E in più non conosce Cardascio. Se magari sapesse qualcosa di lui, state pur certi che sarebbe molto più rilassato di quanto adesso non sia. Ma che farci? Dovrà passare sulle spine la sua brava mezzora di colloquio con la giustizia.
O Signore! Non ci si può credere! Da quant’è che il cameriere ha passato lo straccio? Vedete? E guardate bene! Cardascio deve avere pestato lo sterco di qualche cavallo per strada. Come che ci fanno i cavalli per strada? E le carrozzelle che sostano proprio qui accanto non le avete notate? No, non ce l’hanno il pannolone i cavalli qui da noi. Dite che dovrebbero avercelo? Sì, forse, avete ragione voi. Qualche ordinanza sindacale su questa questione ci sarà. Uh, non sapete quante ne fanno i nostri sindaci di ordinanze. Sì, va bene, ho capito, poi non le rispetta nessuno. Quella sui pannoloni dei cavalli pare proprio di no, ma non è questo il problema. C’è solo che il nostro povero Don Raffaele, a parte lo scanto, dovrà sorbirsi anche il fastidio della puzza. Se la sentiamo noi da qui, immaginatevi lui che ha sotto il naso la scarpa sporca del commissario.

- Ma non c’è di che, reverendo padre. Quando si può fare una cortesia perché rifiutarsi? Le ribadisco, comunque, che qui, ora, non stiamo facendo un interrogatorio. E’ solo una chiacchierata amichevole e niente di più.
- Mi avevano parlato della sua gentilezza commissario e ora ne ho la riprova. Grazie, grazie.
- Allora, Don Raffaele, cosa vi ha spinto a chiedermi questo colloquio?
- Beh, certo voi saprete che il povero ragioniere Impallomeni, dopo la pensione, ha collaborato con la nostra congregazione.
- In effetti mi risulta.
- E saprete pure che Impallomeni ci dava una mano per portare avanti quel vecchio progetto della riqualificazione dell’area di vicolo delle mandrie.
- Sì, ho avuto modo di apprendere la cosa.
- Ed essendo che il progetto ha, indubbiamente, dei risvolti economici certamente non trascurabili, abbiamo pensato che la fine tragica del nostro povero ragioniere potese, come si dice, entrare nelle indagini della polizia.
- Mi pare una considerazione sensata, reverendo.
- Saprà di certo che l’area in questione appartiene da sempre alla nostra congregazione. Allora, vede commissario, si fa presto a fare due più due, e non vorremmo essere, come si dice, tirati in ballo in questa brutta faccenda.
- Non mi pare che sia il nostro caso, don Raffaele. Avrà avuto modo di apprezzare che la polizia non ha lasciato trapelare nulla delle indagini in corso.
- Di questo vi siamo immensamente riconoscenti. Deve sapere che la nostra congregazione vive, come si dice, un momento particolarmente delicato. Che vuole, commissario, i tempi sono quelli che sono e, a quanto pare, il carisma del nostro santo fondatore non sembra attirare così tante vocazioni, diversamente da quanto avveniva un po’ di tempo addietro.
- Capisco e me ne dispiace, ma ho qualche difficoltà a collegare i fatti. Mi spiego, cosa c’entra questo momento delicato con la nostra questione?
- Mi rendo conto che il collegamento tra le due cose non è ne’ semplice, ne’ immediato, ma, le assicuro, che non è così campato in aria. Le dicevo che la nostra congregazione da diversi anni ha iniziato un declino che, mi duole dirlo, ormai pare proprio irreversibile. Lo sa, commissario, che non abbiamo un novizio da almeno dieci anni? Neppure dalle terre di evangelizzazione ne arrivano. Ci siamo ridotti solamente in questa terra, la patria del nostro santo fondatore e viviamo difficoltà, soprattutto, finanziarie considerevoli. Perché se è vero che siamo rimasti davvero in pochi, il patrimonio immobiliare della congregazione è molto vasto.
- Com’era nella tradizione del passato, don Raffaele, certo. Ma non vi aiuta questo vasto patrimonio a lenire, per così dire, le difficoltà di cui mi ha appenna accennato?
- Al contrario, commissario, proprio quel patrimonio è la pietra al collo che ci sta trascinando a fondo. Le spiego. A parte l’area che lei sa, per il resto si tratta di chiese, di conventi abbandonati da tempo, di lasciti sparsi qua e là, che per renedere qualcosa richiederebbero somme ingenti che la congregazione non ha a disposizione. L’unica speranza è l’area di vicolo delle mandrie. Spero di averle chiarito il collegamento col povero Impallomeni.
- La ringrazio, padre, lei sta dimostrando una collaborazione davvero lodevole. Le confesso che non ero al corrente della situazione precaria della congregazione, ma, sa, alla fine, le cose vengono a galla. Capisco, quindi, il suo scrupolo. Ora, tuttavia, avrei qualche domanda da farle sul nostro ragioniere.
- Sono qui per questo commissario, dica pure.

Non mi sembra il caso di perdere tempo ad ascoltare quello che si dicono. Tanto la storia la conosciamo. Don Cimò non sa niente di niente. Si è trovato in mezzo a questo ambaradam e sta cercando con encomiabile zelo di evitare che la sua congregazione ci venga trascinata dentro. Ci mancherebbe solo questo e il quadro sarebbe completo per i nostri poveri frati. Non mi pare che Cardascio gli abbia ancora chiesto di quell’inclinazione particolare che il nostro defunto ragioniere aveva scoperto e, a quanto pare, praticato in età matura. Mi dispiace per don Raffaele. Vedo già il suo imbarazzo e vedo anche riaffiorare l’ombra di quell’imprudenza di cui si accusa. Che farci? Le cose oramai sono quelle che sono e dovrà inghiottire anche questo rospo. Di altro non vedo cosa possa chiedere Cardascio. Forse, dell’imminente scioglimento della congregazione con tutto quanto ne consegue. Ma, Don Cimò ne ha già parlato e Cardascio non sembra avervi colto chissà che indizio. Sempre che di indizio si tratti. Facciamo conto, allora, che il nostro frate abbia fatto per intero il suo dovere e la chiudiamo qui. Che ne dite? No? Dite che vi interessa stare a sentire ancora? Non c’è assolutamente problema, ci mancherebbe. Siamo qui per questo, per venire incontro ai vostri desideri.

- Quindi, riassumendo, escludereste nella maniera più assoluta che Impallomeni possa avere avuto un qualche interesse personale nella questione della riqualificazione dell’area. Interesse, caro padre, tale da fargli fare la brutta fine che ha fatto?
- Non è per contraddirvi, commissario, ma su questo punto non mi sento di affermare ne’ di scludere niente. Ho conosciuto Vitangelo Impallomeni e mi sento di dirle che, a mio parere, era una brava persona. Le ho poi spiegato ogni cosa sul finanziamento che la regione ci ha concesso e ritengo che i fatti possano parlare da soli.
- Va bene. Guardi, solo per scrupolo, non pensi sia una questione importante. Ci risulta che il ragioniere Impallomeni frequentasse ambienti,come dire, equivoci. Cosa può dirmi al riguardo?
- Era inevitabile che anche questo fatto increscioso venisse a galla. Può comprendere il mio imbarazzo a trattare una questione così delicata, ma non nego che eravamo al corrente della particolare inclinazione del nostro defunto collaboratore. Non che Impallomeni ce ne abbia mai fatto cenno. Però, che vuole commissario le voci, specialmente quelle più cattive, fanno presto a girare. Le posso assicurare che Impallomeni da noi ha sempre tenuto un comportamento irreprensibile. Posso riferirle solo una circostanza che sta a lei valutare. Negli ultimi mesi, di tanto in tanto, veniva a trovarlo un ragazzo. La cosa mi ha colpito solo perché il giovane ha un aspetto davvero singolare, almeno rispetto ai caratteri più comuni presenti qui da noi. E’ rosso di capelli e ha gli occhi chiari.

Certo che per Cardascio non c’è proprio da scialare. Arrivati a questo punto, un altro si sarebbe arreso all’evidenza. Scava e riscava da quella maledetta area da riqualificare non viene fuori niente di utile all’indagine. E’ vero c’è la faccenda del coccio fasullo riferita dal dottor Virgilio. Però, è troppo onesto il nostro commissario per pensare che possa riaprire una pista che sembra proprio non portare da nessuna parte. E a maggiore scorno di Cardascio tutti, o quasi, tornano sull’altra faccenda, quella della inclinazione, o come cavolo si dice, di Impallomeni. Quindi, non mi pare che resti altro che ammettere con onestà - e Cardascio onesto lo è - che se all’inizio, magari, si poteva pensare che la lettera anonima volesse buttare fumo negli occhi accennando alle frequentazioni di Impallomeni, ora dopo avere sentito pure don Raffaele, proprio non è possibile negarne l’evidenza. Ma una cosa è ammettere la possibilità che a motivo di tali frequentazioni Impallomeni sia stato ammazzato, altra cosa è limitare la ricerca dell’assassino a quegli ambienti come pretenderebbe la Antocci.
Quello che Virgilio gli ha detto può servire quanto meno a ritardare l’archiviazione del caso. Questo, pressappoco è quello che pensa il commissario, se lo conosciamo bene, come riteniamo di conoscerlo.

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