mercoledì 17 marzo 2010

(31) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XXXI
Commissario Domenico Cardascio, detto Mimì

- Altavilla, dici che questa volta ce lo danno questo benedetto scivolo?
- Sicuro, commissario. Me l’ha detto la Cherubini stamattina.
- Perché anche la Cherubini andrebbe in pensione?
- La prima, commissario! Da quello che si dice, le cose starebbero in questa maniera. Per ogni anno che le manca per il maturato pensionistico, lei avrebbe una leggera penalizzazione, dicono dell’uno per cento. Lei, com’è combinato commissario?
- Minchia, se ci ho mai capito niente di queste cose. Lasciamo perdere, dai, quando la questione quaglia allora ci pensiamo. Ciao, ci vediamo.

La questura è sempre la stessa, però c’è un nuovo questore. Avanti, non ditemi che non avete capito chi è. Sì, esatto, proprio, lui. Per il resto, non è che sia cambiato niente. Per esempio, la Cherubini è sempre al suo posto e pure Ruvolo, se è per questo. Se proprio volessimo trovare il pelo nell’uovo, diciamo che il clima che si respira è un tantino più tranquillo e rilassato. La dottoressa? Si è trattato di un normale avvicendamento. Ovvio. E’ una delle poche prefetto al femminile. No, non so in quale la città, e neppure mi interessa saperlo.
Cardascio si occupa ancora di denunce anonime ma, da quando la Antocci se ne è andata, non ne arrivano più tantissime. Direttive del nuovo questore: nell’ambito delle opportune misure, utili a meglio concentrare le risorse sugli obiettivi più sensibili per la sicurezza dei cittadini, le dununce anonime sono considerate d’ora in avanti delle fesserie.
L’ufficio è rimasto quello che già conoscete con una differenza, però, che Cardascio non finisce mai di lamentare. Vi ricordate che dalla sua stanza riusciva a vedere un pizzico di cattedrale? Beh, ora non più. Motivi di sicurezza anche questi. Hanno costruito un’enorma antenna che faciliterebbe le comunicazioni fra le varie questure e amen, non si vede più niente. Anzi, il povero commissario è costretto, pure di giorno, a tenete accesa la luce.
Questa mattina deve mettere da parte le carte che vanno all’archivio morto. Spera di sbrigarsi presto, perché ha un appuntamento con Michele Porcarello, in libreria.
Diciamo che arrunza, cioè non è molto attento a selezionare le carte. Le mette a casaccio dentro lo scatolone che gli hanno fornito, tanto visto le direttive del nuovo questore sono tutte fesserie, no?
Fra i fascicoli ha trovato pure delle fotocopie e si chiede se metterle insieme alle altre carte o strapparle direttamente. Ma, perché perderci tempo? Tutto nello scatolo e via! Gli passa per le mani la fotocopia della famigerata relazione di Pignatone. Cardascio evita di ricordare il caso del povero ragioniere Impallomeni. In effetti, non è che sia un ricordo allegro per lui, quindi, come fare a condannarlo se butta via anche quella senza pensarci neanche un attimo?

Amunì che si fece tardi e magari Michele ci resta male. Mi ha fatto la testa come un pallone con tutta quella premura. Chissà poi perchè? Comunque, qui, quello che c’era da fare l’ho fatto. Speriamo solo di non incrociare nessuno per le scale, perché con tutta questa smania che c’è in giro per i pensionamenti finisce che mi tengono a parlare tutta la santa giornata e allora addio appuntamento. Per la cronaca, in città ha piovuto. Anzi, a dire la verità ha proprio diluviato e, a parte il traffico impazzito più del solito, in giro non si vede un’anima. Ah che aria! Valli a capire i palermitani, prima si lamentano che schiattano per il caldo, poi appena cadono quattro gocce d’acqua Dio ce ne scampi! A me, invece, piace l’aria che si respira dopo un bel temporale. D’acqua ne è piovuta assai. Guarda i tombini, mai che li puliscano. Ora, mi tocca saltare di qua e di là per non infradiciarmi le scarpe. Comunque sempre meglio questo del caldo. Nonostante il temporale sia cessato da un’oretta abbondante, le strade hanno mutato il loro aspetto in turbolenti torrenti che, almeno, contribuiscono ad una casuale redistribuzione dell’immondizia accumulatasi nei giorni precedenti per l’ennesima crisi finanziaria dell’azienda cittadina di igiene urbana. Ma, un problema alla volta, l’acqua fa dimenticare il puzzo dei rifiuti, costituendo, però un ostacolo di non poco conto per i pochi, incauti pedoni che si arrischiano ad affrontare le vie delle città. Va bene, lasciamo perdere, le scarpe quando arrivo alla libreria me le tolgo. Tanto qua di saltare per evitare l’acqua non se ne parla. Finisce che mi mette sotto una macchina. Sembrano babbaluci i miei concittadini, appena piove escono tutti, in macchina ovviamente. Ci mancherebbe che il picciriddo mi cade malato o che il nonnò si prende la polmonite. Eccoci qua. Ma che fa Michele? tiene la porta chiusa?

- Cardascio, la finisci di scassarmi la porta, oltre a quell’altro che tu sai,? Ti ho sentito. Non ci sono sordo. Ancora, almeno.
- Ma se il negozio è aperto, me lo dici perché tieni la porta chiusa?
- E hai pure la faccia di venirmelo a chiedere? Dopo quello che è successo?
- Non ne so niente. Che ti è capitato?
- Che mi hanno fracassato il negozio, questo è successo. Quattro scimuniti che manco si sono portati via niente. Solo per il gusto di rompere le palle ai cristiani che lavorano.
- Ma vero mi dici? E quando? La denuncia l’hai fatta?
- Sì la denuncia, ma fammi il piacere Cardascio. Fammi la cortesia, attaccati il parrapicca, tu e tutti i tuoi colleghi.
- Mi dispiace Michè . Ma chi è stato?
- Te l’ho detto, quattro picciottelli, tre giorni addietro. Facevo una delle mie presentazioni e ti vedo arrivare questi qua. Certo non sono interessati al libro, mi sono detto. Va bene, forse vogliono approfittare del rinfresco. Per quello che c’era poi. Appena l’autore ha finito di dire quelle quattro cazzate che doveva dire, è cominciata la fine del mondo. Libri che volavano, signore che scappavano, un vero putiferio. Morale della favola, un danno di trecento euro almeno. Questo è il guadagno che ci ho rimediato. E tu mi vieni a chiedere perché tengo la porta del negozio chiusa? Che gli devo dire, accomodatevi?
- Ora calmati, l’importante è che non si è fatto male nessuno.
- Ah per questo, no solo spavento e i miei trecento euro. Lo sai tu quanto ci metto per guadagnarli trecento euro?
- Dai, e che non lo so che i libri non li compra più nessuno. Che solo i gialli si vendono. Lo so. Ma perché tutta questa premura di vedermi? Mi dovevi dire di quello che ti è successo?
- No, quello non c’entra niente. Ho chiamato tutti i clienti più affezionati della libreria. E tu mi pare che ci sei fra quelli affezionati, che ne dici?
- Ho capito, sono un cliente affezionato, e che dovevi dirgli ai clienti affezionati?
- Che chiudo, Cardascio. Ho deciso, ho quattro soldi da parte e me li farò bastare. Per quello che mi serve a me.
- Com’è che chiudi? E perché? Lo fai per quello che è successo? Ma finiscila, non fare il picciriddo. Succede sempre così all’inizio. Sei scantato, ma poi ti passa. Senti a me, poi passa.
- Ma che minchiate vai dicendo? Come al solito non mi stai a sentire. Te l’ho detto e te lo ripeto, quello che hanno fatto quei quattro scanazzati non c’entra niente. Sono io che mi sono stufato.
- Ma stufato di che cosa? Mi hai sempre detto che i libri sono stati la tua passione della vita e che la libreria era il meglio mestiere che ti poteva capitare. Te ne stavi tutto il santo giorno a leggere, che è la cosa che ti piace fare di più, e ci campavi pure. Meglio di così!
- Non me lo sono scordato quello che ti ho detto, Cardascio, e quando te l’ho detto, ci credevo veramente. Te lo giuro. Ora, però, non ci credo più, va bene?
- E con questo pensi di chiudermi la bocca? Eh no, amico caro, ci deve essere qualche altra cosa che non mi vuoi dire. Non insisto, ci mancherebbe. Sono fatti tuoi e tu sei padrone di parlarne o di tenerteli dentro.
- Non ti basta? Vuoi che ti dico tutta la verità? Allora, stai a sentire che te la dico davvero. Lo sai quanti anni ho, Mimì? Sessanta, hai capito? Ho sessanta anni e quasi quaranta li ho passati a leggere e a guadagnarci pure, come dici tu. L’altro giorno tutto quello che per una vita ho tenuto fuori dalla porta, mi è entrato in casa e ha fatto quello che ha fatto.
- Ah, lo vedi che c’entrano quei quattro farabutti!
- Ancora ci insisti! E statti zitto una buona volta! Tu e il tuo intuito di investigatore del cazzo! Stammi a sentire. Mi sono scantato, non lo posso negare. Ma, non è lo scanto che mi fa chiudere. No, guarda, se li vedo li ringrazio pure a quei tre sfasciallitti. La verità è che qua dentro è stato come vivere in un altro mondo. E tutti quanti ci venivate perché volevate chiudere gli occhi e lasciare fuori tutti quelli che non la pensavano come noi. Ma non ha stufato pure a te Cardascio questo modo di pensare e di campare?
- Ma che stai dicendo? Proprio non ti capisco.
- Ti sto dicendo che mi sono rotto la minchia a stare qua dentro a parlare con tipi come te o come tutti i miei clienti più affezionati. Voglio uscire e parlare con quelli che mi hanno scassato il negozio. Con quelli voglio parlare, Cardascio, perché se no…niente lasciamo perdere, che è meglio. Se non ci arrivi da solo, non sarò io ad aprirti gli occhi.
- E no, prima cominci un discorso e, poi, mi dici che è meglio lasciare perdere. Questo non è corretto, questo non me lo merito dopo tutti questi anni di amicizia.
- Dici che lo vuoi sapere? Va bene, te lo dico. Succede che cacheremo sangue, Mimì. L’hai capito o no? Ci ritroviamo qua ogni settimana, magari ti offro il caffè e ci diciamo che tutto quello che sta fuori è uno schifo. E allora, caro amico? Certo che è uno schifo, chi lo nega? Ma dimmi la verità, che cazzo ci stiamo a fare noi mentre finisce tutto a schifio?Oh, sì certo quando ci incontriamo siamo contenti perché ci specchiamo l’uno nell’altro e abbiamo la conferma di avere ragione. Può capitare che quando te ne esci con un libro in mano ti senti meglio per una mezzora. Il tempo di incrociare l’ennesimo porco maleducato che ha imbottigliato la tua macchina, posteggiando in seconda fila sullo scivolo per gli handicappati e, magari, anche sulle striscie pedonali. Ma, che ci abbiamo conluso fino ad ora con i nostri bei discorsi, me lo sai dire? Una fumeria è diventata questo posto, amico mio, dove ci scambiamo l’oppio a vicenda per scordarci che dovremmo uscire di nuovo per la strada, chi prima e chi dopo per capire che sta succedendo veramente, magari prima che sia troppo tardi per porci rimedio.
- Che c’è di male a fare due chiacchere con un amico che la pensa come te?
- C’è di male che stiamo facendo la muffa e le ragnatele. E a me non mi interessa più.
- Ma che cavolo sta succedendo? Non lo senti quest’ammuinio?

Succede quello che doveva succedere. Ve lo siete scordato il gatto morto che il commissario ha dovuto evitare per entrare in libreria l’ultima volta che è venuto da queste parti? Dite, che c’entra il gatto morto con tutto questo putiferio? C’entra, eccome se c’entra. Ve lo siete chiesti perché il gatto era morto? Io lo so e ora ve lo dico. Il gatto era morto avvelenato. D’accordo, succede che i gatti mangino cose che non dovrebbero mangiare e ci restino stecchiti. E’ vero, ma non è questo il punto. Il nostro gatto ha mangiato una delle esche che i nostri solerti addetti alla pubblica igiene lasciano qua e là per i topi che da queste parti abbondano. Ora, quando piove saltano i tombini, almeno qui da noi succede così. E questa volta è piovuto veramente assai, cosìcchè i tombini sono saltati proprio tutti. Detto per inciso, qui è meglio che ci mettiamo al sicuro perché finisce male e non solo per l’acqua. Li vedete i sorci che scappano dalle fogne? Sì sono davvero belli grossi, non c’è che dire. E sono davvero tanti. Gli addetti all’igiene urbana avevano voglia di spargere esche, qua ci vorrebbe l’incendio di Londra ci vorrebbe. E sono in buona compagnia, vedo. Almeno quelli l’acqua dovrebbe sterminarli, perché a differenza dei topi non sanno nuotare. Come chi? Gli scarafaggi. Ah, non ve ne eravate accorti? Sì, tutte quelle macchie scure sull’acqua sono scarafaggi. Vediamo se quella signora alla finestra ci fa la cortesia di aprirci il portone. Minchia che puzzo insopportabile. Acqua di fogna è, mica acqua di colonia!
Tranquilli, che fra un poco si rimette tutto a posto.

Visto? Che vi avevo detto? L’acqua è finita chissà dove e i sorci sono tornati alle loro tane. Finchè dura, tutto è bene quello che finisce bene, siete d’accordo?
Dite che prima ho esagerato? Che volete farci, qui noi siamo tragediatori. Che vuol dire? Vuol dire che di ogni fesseria ne facciamo una tragedia. Magari per scordarci di quelle vere.
Guardate, anche Cardascio sta uscendo dalla libreria.

Che dite? Che non abbiamo detto niente del commissario? Azzo, è vero. Però, ora ce l’avete davanti. Forza. Non vi viene niente da dire. Certo, il commissario è uno come tanti, ne’ alto ne basso, ne’ grasso ne’ magro. Ha i capelli quasi tutti bianchi, porta gli occhiali e ha i baffi. E’ poco? Pazienza che ci posso fare se Cardascio è quello che è.
Però se abbiamo fortuna, lo rivediamo un’altra volta e allora, magari, avremo più tempo per conoscerlo meglio, se davvero ci tenete. Mi hanno detto che è arrivata un’altra lettera anonima su una monaca pazza e indemoniata che starebbe in un vecchio convento di via Cappuccini.
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