venerdì 1 gennaio 2010

(10) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato



CAPITOLO X
Via Pasquale Calvi

Sovrintendenza ai Beni Culturali e Ambientali

Che ve ne pare? Sembra di stare in un'altra città, vero? In effetti, lo è. E se avete un poco di pazienza ve lo spiego. La via dove ci troviamo ora, è una traversa del Viale della Libertà, la zona chic di Palermo. Si tratta di un’espansione al di là di quelli che erano stati, per diversi secoli, i confini cittadini. C’era bisogno di aria nuova e di nuovi palazzi per quel ceto che aveva soppiantato la vecchia nobiltà, rimasta a piangere le antiche e dissipate fortune negli enormi e scomodi palazzi del centro antico. I nuovi padroni - bene o male, ancora quelli di oggi con una dose in più di cafonaggine – leggono e si tengono aggiornati su quello che succede nel resto del mondo. E che ti vedono? Vedono gli sventramenti della Parigi che fù, i nuovi boulevard e le square alberate. In più ci sarebbero piccioli da guadagnare e, come dicono gli antichi, pecunia non olet. Quindi, si fanno costruire case e palazzi alla moda di Parigi e di Roma. Gli architetti di grido strizzano l’occhio pure al passato locale, ma, di certo, non alle magioni barocche e rococò di principi e baroni, perché quella è una stagione chiusa, ostile al progresso delle arti e dei commerci. Gareggiano in originalità e stramberie. Dura poco ovviamente, datosi che anche a Palermo il tempo ha cambiato il suo ritmo. Basta una guerra, l’ultima, e l’arrivo di un po’ di gente arricchita da fuori, dalle provincie babbe, che babbe, al contrario, non sono, ed ecco che in una notte i nuovi arrivati ti radono al suolo la qualsiasi. Ma, agli occhi di quella gente, gente pratica e affamata, per quanto già ricca, un bel palazzone di sette o dieci piani vale di più di qualche arco arabeggiante o di inutili pinnacoli.

Praticamente fanno piazza pulita. Qualche edificio è rimasto, non si sa perché. Come ad esempio, quella stramba costruzione dove Cardascio è appena entrato.

Ho capito, ho capito. Visto che questa è zona di ricchi, vi eravate illusi di potervi rilassare e camminare con la testa in su, facendo i turisti. Perfetto, vi siete sbagliati! Guardate, proprio a destra dell’ingresso del palazzo che ho appena finito di indicarvi. Lo vedete quello strano trispito di ferro battuto a forma di H? Bene, quell’aggeggio serve proprio per il caso vostro. Pulitevi per bene le suole delle scarpe ed entriamo pure noi. Spero che abbiate imparato la lezione. Guardate sempre dove mettete i piedi, perché anche i palermitani amano tanto i cani.

Cardascio sta parlando con un signore seduto dietro un bancone. Gli fa compagnia una nutrita schiera di colleghi, o, forse, di amici, impegnati nelle attività più disparate, come la lettura dei quotidiani sportivi, una chiacchierata al telefono col collega del cuore, o la catatonica osservazione dello schermo di un computer

- A chi cercate?

- Il signor sovraintendente è in sede?

- Ce l’avete l’appuntamento?

- No, perché, è indispensabile?

- Le disposizioni che abbiamo, egregio signore, sono queste. Mi dispiace.

- Davvero lodevole non c’è che dire. Complimenti. Ora, però fatemi la cortesia di annunciarmi al sovraintendente.

- Ce l’avete l’appuntamento?

Da qui non se ne esce, si dice il commissario. Sembra la Svizzera! Comunque, lasciamo perdere. Per una volta che si incontra uno che rispetta le regole in questa città…

- Ecco il mio tesserino. C’è il sovraintendente?

Al commesso gli si accende immediatamente una lucina negli occhi: finalmente a quel cornuto! Tempo ci hanno perso..

Ah, alla Regione quelli che una volta erano gli uscieri, ora si chiamano commessi. Non si capisce il perché ma gli hanno cambiato nome e, cosa ancora più rilevante, le mansioni, cioè non far niente tutto il santo giorno in attesa che arrivi qualcuno come Cardascio che, in quanto sconosciuto, va fermato, interrogato e scoraggiato, a meno che non si tratti di un amico, dell’amico di un amico o di persona, comunque, importante.

- Chiamo subito signor commissario. Per esserci c’è. L’ho visto arrivare stamattina. Io non ci posso parlare direttamente, ma chiamo subito la segretaria. Lei intanto salga pure: terzo piano, entrando a destra, la terza porta. Non si può sbagliare.

E mentre Cardascio fa per entrare nell’ascensore, un urlo prorompe nell’androne.

- C’è, c’è. Non si faccia pigliare…dalla segretaria. Per esserci c’è.

E’ già seduto nell’anticamera da più di un quarto d’ora. Di fronte ha la scrivania della già citata segretaria, una quarantenne molto truccata e nervosa. Le visite si susseguono e il telefono non smette mai di squillare. Di norma la risposta è sempre la stessa: Il dottore è riunito e non può rispondere. Vuole dire a me di che si tratta? Sì certo, capisco, allora faccia così, riprovi verso le undici, undici e mezza. Certamente, riferirò.

Su un lussuossimo divanetto, stravaccato a leggere il giornale c’è un omone, l’autista del sovraintendente. E’ un personaggio molto ricercato, e si vede. Non c’è minuto che non si affacci qualcuno per richiamare la sua attenzione. Lui, in risposta fa qualche smorfia, come a dire: stai tranquillo, tutto sotto controllo. Appena c’è l’occasione… ci mancherebbe.

Rarissime volte, al richiamo del postulante di turno, l’omone si riscuote e agilmente, per un uomo di quella stazza, guadagna la porta, per tornare pochi minuti dopo con dei post it gialli che ripone dentro un capiente e consunto portafoglio.

Nell’anticamera del sovraintendente attende di essere ricevuto un altro, distinto signore in giacca e cravatta che tiene in mano un paio di camicie grigie - le camicie - in burocratese, le cartellette dove si mettone le carte d’ufficio- .

- Dottore, lei ancora qua sta? Non sa quanto mi dispiace, ma lo vede com’è questa mattina. Le avevo assicurato che, quando il sovraintendente la poteva ricevere, l’avrei chiamata io. Vuole lasciare a me le sue carte? Lo apostrofa la zelante segretaria.

Quello, come riscuotendosi dal profondo torpore ingenerato dalla lunga attesa: Non si incommodi signora. Aspetto. Sa, non vorrei che finisse come l’altro giorno. Dopo avere atteso tutta la mattinata, per colpa di quella telefonata non sono riuscito più a parlargli. Ma lei ha riferito che si tratta di cosa della massima urgenza?

Le telefonate continuano a ritmo serrato. Ma, ce n’è una che fa attisare le orecchie al nostro commissario. La segretaria, nonostante il fard, gli pare arrossisca un pochino e poi qualche cosa la sente pure lui. Una frase del tipo: c’è ancora quello?

- Signora, guardi, ho tutta la comprensione di questo mondo per il lavoro del sovraintendente. La mia, del resto, era una pura e semplice visita di cortesia. Ma, visto che non è possibile, allora le farò avere domani una convocazione in questura, va bene?

- Sono desolata commissario. Ma aspetti ancora un attimo perchè la linea è occupata. Però, guardi, lo sa che faccio? ci vado io direttamente ad annunciarla al signor sovraintendente.

La porta imbottita si apre e si richiude rapidissimamente per farne alla fine sortire il sorriso radioso della segretaria.

- Vede? che le avevo detto? Si accomodi, si accomodi.

La stanza è enorme coi tetti altissimi che traboccano di puttini e ghirlande di fiori e frutta. In fondo, proprio davanti ad una vetrata da chiesa, una scrivania modernissima, tutta in vetro, sgombra di carte, un pc di ultima generazione spento e un paio di telefoni. Ma non c’è anima viva, così almeno sembra a Cardascio mentre si guarda intorno. E proprio quando, per un attimo, si distrae ad ammirare il pavimento - è come camminare su un tappeto di petali di rosa, va pensando fra se’ e se’ il commissario - la parete sulla sinistra si apre. Ha appena il tempo di vedere un grosso scarafaggio, evidentemente, schiacciato qualche tempo prima, che:

- Ah vedo che ha notato il famoso pavimento della marchesa! Opera notevolissima, seppure artigianale, ma notevolissima. Tutti questi futili distinguo su che cos’è arte e cosa, invece, no, io non li condivido affatto, mi deve credere. Comunque, la nostra missione è mantenere integro il grande patrimonio che i nostri antenati ci hanno lasciato perché tutti ne possano godere nei tempi a venire. Purtroppo, i fondi sono pochi, pochissimi. Facciamo quello che si può fare, ma il compito è arduo, mi deve credere, molto arduo.

Cardascio capisce che deve metterci un punto a quella tiritera, se no l’accapo se lo può scordare. Infatti, l’omino che ha di fronte continua imperterrito a sproloquiare di questo e di quello. E’ un tipetto bassino che avrà superato da poco i sessanta, anche se gli anni se li porta che è un piacere. Perfettamente allicchittato, come si dice dalle nostre parti per dire vestito elegantemente, sfoggia un’unica estrosità, un papillon giallo, che, comunque, non stona affatto con l’ottima stoffa inglese della giacca e con l’immacolata e inamidata camicia azzurra.

- Piacere, commissario Domenico Cardascio, Questura di Palermo. Il dottor…?

- Piacere mio commissario, cavalier Francesco Paolo Perez, sovraintendente ai Beni Culturali e ambientali per la provincia di Palermo. Ma, venga, si accomodi, gradisce qualcosa? Un caffè, una bibita?

- Guardi non è proprio il caso. Si tratta solo di pochi minuti, non si incommodi.

Francesco Paolo Perez, però, è già al telefono e impartisce le istruzioni del caso alla segretaria.

- Intanto mi deve perdonare per l’attesa. Lungi dalle mie intenzioni recarle offesa. Ma, come le dicevo, qui l’attività è assai intensa, i fondi scarsi e la gente che lavora pochissima. Inutile chiedere altro personale. Si sa come va a finire in questi casi. Chi ha qualcuno che lavora se lo tiene stretto e non gli pare vero di potersi sbarazzare della zavorra, mi deve credere. Spettacolo invero indecente, ma che farci? Bisogna fare di necessità virtù, come si dice. Ma ho visto che ha notato lo splendido pavimento della stanza. Deve sapere che questa era, per l’appunto, la stanza da letto della marchesa. Splendida donna, come oggi non se ne vedono più. Il marito, illustre personaggio della nostra città, le fece omaggio di questo pavimento, realizzato da esperti artigiani campani, facendolo trasferire qui da un padiglione dell’esposizione Nazionale.

Da principio, Cardascio, è stato incerto se il dottore Perez ci sia o ci faccia. Ora, però, è sicuro che c’è. Quindi, senza ulteriori divagazioni.

- Le dice niente il nome di certo Impallomeni Vitangelo? Era un ragioniere che ha a lungo lavorato qui da voi, prima di andare in pensione.

- Ora come ora, non ricordo. Vede nonostante la sede del nostro uffico sia magnifica ma, in fondo, piccola, mi ritrovo in organico duecentocinquanta impiegati. Non posso ricordarmi di tutti, ne conviene? Tuttavia, se ha la compiacenza di lasciare un appunto alla mia segretaria, sarà mia cura di interpellare il responsabile del personale. Anche se, forse una complicazione potrebbe sorgere. Lei ha appena finito di dire che questo tale ragioniere Impallomeni sarebbe andato in pensione. Beh, non è detto che conserviamo i fascicoli del personale in quiescenza, perché trasferiamo tutto al competente ufficio di altro Dipartimento.

Questo si è messo in testa di prendermi per il culo, si dice il commissario. Se continuiamo ancora con le formalità, qui facciamo notte.

- Avete letto l’edizione del Giornale di Sicilia del 14 settembre?

Indicando il fascio di quotidiani che giace su una poltrona

- Come vede commissario, i giornali non mi mancano, rivolto alla stessa pila di giornali E’ il tempo che manca, il tempo, mi deve credere.

- Beh, se proprio non l’avete letto, ve ne faccio io una rapida sintesi, almeno per quanto ci interessa. L’Impallomeni è stato trovato morto, in un vicolo del centro storico.

- Buon Dio, che tempi ci tocca vivere commissario! Che tempi infelici e tormentati.

Pare, continua imperterrito Cardascio, che la morte possa in qualche maniera essere collegata a questione che il ragioniere poteva avere trattato qui prima di andare in pensione. Ci chiedevamo allora se si potesse avere qualche lume sulla sua attività in questo ufficio.

- Ma, ecco i caffè, prego, prego, commissario, venga che si freddano.

Fuori ha preso a piovere. Fosse per lui, Cardascio non se ne preoccupererebbe più di tanto. Contrariamente al comune sentire dei palermitani, la pioggia non costituisce per il commissario un grande problema. Ma, ha sotto braccio un paio di grossi faldoni di fotocopie, gentilmente fornire dal dottore Perez e, ovviamente, nessun ombrello a portata di mano. Quindi aspetta, insieme a tanti altri, pure ombrello muniti, all’ingresso del palazzo. Perez, ah ecco che si ricorda perché gli è subito suonato conosciuto il cognome del sovraintendente, Francesco Paolo Perez, quello della Beatrice svelata . Pare che l’abbia scritta lui la frase sul frontone del teatro Massimo “L’ARTE RINNOVA I POPOLI E NE RIVELA LA VITA…” e un po’ gli viene da ridere. Chissà, poi, perché, vallo a capire.

- E’ tempo perso, mi dia retta. Che se le porta a fare quelle carte inutili?. Da quelle, sempre che alla fine ci capisca qualcosa, non ne caverà il resto di niente.

E silenziosamente come era arrivato, l’uomo se ne va sotto la pioggia.

Cardascio ha fatto appena in tempo a capire che si tratta del funzionario che aspettava con lui di essere ricevuto dal sovraintendente.


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