mercoledì 27 gennaio 2010

(17) Il commissario Cardascio e lo spillone insanguinato

CAPITOLO XVII

Piazza Indipendenza

Franco e/o Ciccio e/o Cicciuzzo Martirano

Cazzo se gli viene pesante alzarsi la mattina. E vorrei vedere, povero picciotto, con il lavoro che fa per quattro lire dal quel tirchio dannato di Quartararo. Solo lui tiene per l’albergo: Ciccio pulisce, Ciccio prepara le colazioni (si fa per dire colazioni, al massimo un caffè vista la clientela), Ciccio va a fare le commissioni e, ancora, Ciccio risponde al telefono le rare volte che squilla per sbaglio.

Sempre pesante gli è vento alzarsi la mattina dal letto, ma negli ultimi tempi è ancora peggio. Da quando è successa la disgrazia per intenderci, Cicciuzzo trova ristoro alle sue pene solo nel sonno. Dormendo stacca la spina e per quelle ore che gli paiono sempre pochissime (pure se non è vero, visto che dorme dalle nove alle dieci ore a notte) si scorda tutto quanto e se ne sta in pace.

Ma la sveglia ha già suonato la prima e la seconda volta, quindi onde evitare seccature più pesanti assai del risveglio, Ciccio deve alzarsi dal letto.

Lo sa che a casa non c’è nessuno a quest’ora, così si può permettere di girare in mutande. Solo al mattino e, solo quando la madre e il padre non ci sono, può farlo e a lui piace farlo.

Ciccio dimostra meno dei venticinque anni che ha all’anagrafe, forse per una tradizione di famiglia. I Martirano si portano gli anni alla grande.

Eh sì i Martirano, proprio così. Vedo che siete stati attenti. Franco e/o Ciccio e/o Cicciuzzo è il figlio di Attilio Martirano, quello delle sanguinelle di Borgo Vecchio. E’ lui il figlio che al vecchio Martirano non cala per niente. E non è perché a guardarlo questo figlio gli sia venuto male. Al contrario. Ciccio non si può dire che sia un bellone, ma manco brutto. Altissimo non è e neppure pompatissimo di palestra come molti suoi coetanei (lui dove li trova i soldi per la palestra?), però è un tipo. Lo vedete pure voi, quindi non fate quei sorrisini da scemi. Intanto Ciccio è rosso di capelli e di pelo, cosa mai vista in famiglia e circostanza che ha fatto, alla nascita, dubitare Martirano padre di quella santa donna della sua signora. Poi, ha due occhi di un azzurro che pare un vikingo, due semafori che ti guardano con una ingenuità che si è conservata soltanto lì.

Cicciuzzo deve affrettarsi non tanto per la madre, che, pure tornasse in anticipo dalla messa, farebbe sì storie a vederselo davanti mezzo nudo, ma che poi si scioglierebbbe, appunto. per quelle nudità filiari che a lei, in quanto fattrice, appaiono celestiali. No, non si tratta della madre, ma del padre, il signor Attilio Martirano che, puntuale come un orologio svizzero, carattere forse appreso proprio in quel paese dove è andato, emigrato come tanti, alle dieci spaccate si presenta in cucina con la spesa. Allora sì che Ciccio vedrebbe per l’ennesima volta l’inferno. Nessuno riesce a fermarlo, neppure la moglie che ha sviluppato la capacità preziosa di non sentirlo più se non per le cose che interessano a lei. Con Ciccio il signor Martirano non va proprio d’accordo. Dice che si tratta del lavoro che il figlio si ostina a fare, spergiura che non gli piacciono i vestiti che si mette e la sua zazzera rossa e lunga sulle spalle. Ma, mai e poi mai si riuscirà a fargli ammettere il vero motivo. Quello deve restare sepolto fra le quattro mura di casa. Come se il mondo e la gente là fuori non si fosse mangiata non solo la foglia ma pure il fusto e le radici di cotanto custoditissimo segreto.

Ciccio non è che lo sbandieri ai quattro venti, ma neppure si nega nel caso in cui qualcheduno gli pone la fatidica domanda.

L’ha fatto, sono già dieci anni, la prima volta con la madre che sempre presa dal sacro furore della pulizia aveva trovato sotto il letto del figlio uno strano giornaletto. Ciccio quella volta le ha detto che sì la rivista era sua, anzi più correttamente che l’aveva avuta in prestito da un amico, che sì quelli nudi erano maschi, che, come certamente la madre sapeva, di maschi e anche di femmine come quelli lì ce n’erano tanti sparsi per li mondo, che sì - lui lo sapeva da sempre - era gay come quelli là.

Sorvoliamo sul mancamento della signora e sulla rabbia di Martirano per quell’unico figlio perduto per sempre. Da allora era cominciato il tormento, la guerra infinita fra padre e figlio costantemente alimentata dalla cocciutaggine di entrambi che mai avrebbero riconosciuto all’altro una via di fuga onorevole.

Ora che sapete tutto o almeno quanto basta, stiamo zitti e vediamo che cosa succede.

Certo che sono sciupato. Avrò perso almeno tre chili da quando è successa la disgrazia. Io non lo so più che devo fare. Sono proprio sfortunato, sarà per le maledizioni che quello mi lancia ogni giorno che apre gli occhi. Ma se ne deve fare una ragione. Tanto io così sono e non cambio solo perché a lui non gli piace. Ma a parte questa storia che fastidio gli do? Non ci vediamo mai, perchè io lavoro tutto il santo giorno e pure se ho qualche ora libera in casa non ci metto piede. Soldi non ne chiedo, perchè mi faccio bastare quelle quattro lire che mi passa Quartarano. Dovrei andarmene a stare per i fatti miei. E c’ero quasi riuscito. Bisognava aspettare solo qualche mese, il tempo di risolvere delle questioni di eredità con le figlie. Io gli dicevo che non me ne importava niente della casa che aveva, che se le figlie la volevano, la poteva pure lasciare a loro. Tanto per me l’importante era andarmene da qui e stare con lui. Ma no, cocciuto come mio padre, la buonanima. Aveva una faccenda per le mani, una cosa grossa e un guadagno ci sarebbe stato certamente. A maggior ragione, gli dicevo io perché ostinarsi con le figlie? Lasciale perdere loro e quelle quattro mura. Di case ce ne sono tante e poi tu sei dell’ambiente e non ci metti niente a trovarne una che ci vada bene. C’è stato un momento che ho pensato che tutto dovesse finire come le altre volte. Mi ha detto che c’era un problema e io avevo pensato che fosse una cosa che ci riguardava. Invece, era per quell’affare. Pensava che tutto si fosse risolto, ma era spuntato fuori quel coccio, che a me mi pareva un pezzo di coccio e basta. E, invece, era un reperto archeologico, mi ha detto, una cosa importante che poteva mandare all’aria tutto quanto. Lui si era convinto che quel reperto lì ce lo aveva messo apposta qualcuno. Sai quanti ne salterebbero fuori di antichità, se solo... Però, intanto il progetto si ferma chissà per quanto tempo, magari per sempre questa volta.

Era durato poco per fortuna, che ne so un paio di mesi al massimo ed era tornato quello di prima, a fare progetti per quando ci trasferivamo a casa sua. Perché alle figlie non avrebbe dato niente. Era ancora vivo e quindi era tutto suo, casa compresa.

Poi è successa la disgrazia.

Li avete notati pure voi vero? Sono le stesse trincee che abbiamo visto sotto casa del dottor Filippo Virgilio. Si dà, appunto, il caso che casa Martirano si affacci sulla medesima piazza Indipendenza. E vi assicuro che i rapporti fra i due finiscono lì.

Contrariamente al nostro funzionario che mal li sopporta per il fastidioso rumore e gli inconvenienti connessi, i lavori in questione hanno trovato la piena approvazione di Attilio Martirano, oltre alla sua appassionata e diuturna attenzione. Non passa giorno che il nostro pensionato non stazioni qualche oretta a sorvegliare le opere e a chiedere lumi agli operai, i quali, digerito rapidamente il diversivo rappresentato dalle chiacchere del pensionato, ora mostrano aperti segni di insofferenza. L’essere in se’ un diversivo nelle giornate altrimenti assai monotone di Martirano padre costituisce certamente una parte non da poco nell’apprezzamento da lui dimostrato per l’iniziativa. Tuttavia, la questione non si esaurisce solo lì. Ricorderete certamente quella terribile puzza che impesta la cucina del pensionato. Martirano è convinto che i lavori siano stati previsti per togliergli tale fastidio. Anzi, si è pure sbilanciato a dire e, guai a chi tenta di smentirlo, che da quanto sono cominciati il puzzo sia notevolmente diminuito.

Ovviamente, le cose non stanno affatto così.

Difatti Cicciuzzo in cucina si ferma solo un istante, il tempo di arraffare due biscotti e una tazzina di caffè, da consumare con calma nel bagno di casa che, al contrario della cucina, profuma come un giardino a primavera. Un biscotto mezzo morsicato in bocca e in mano la tazzina di caffè ormai freddo, l’erede Martirano si guarda allo specchio.

Certo che mi sono sciupato assai dopo che è successa la disgrazia. Non posso continuare così. E’ finita e quando una cosa è finita non ci si può fare più niente. Mettiti il cuore in pace Ciccio caro! Lascia perdere i bei ricordi e scordati il futuro che ti pareva già quasi presente. Sei giovane e chissà quanti ti correranno dietro. Però ci devi dare un taglio se no altro che correrti dietro, si scantano a guardati con questi occhi spiritati che hai e questo pallore e le occhiaie. Anzi, pensa ad evitare guai peggiori di quelli che già ti sono capitati. Non puoi fare un passo avanti e due indietro. C’è mancato poco l’altro giorno che il commissario ti vedesse alla villa. Ma che cazzo ti è passato per la testa? Vuoi parlarci? E parlaci allora! Vuoi continuare a giocare a nascondino con lui? Continua e vedrai come ti finisce!

Vai a sentirlo allora a tuo padre!

Gli vuoi dare ragione? Lo sai che dice di te? No? Che sei un errore della natura, che non puoi essere figli suo e per di più (vai a sapere come fa a dirlo con tanta certezza) sei pure una cosa inutile, visto che non riesci a fare fortuna come tanti di quelli come te!

Ma che gli dico al commissario?

Quello che sai gli dici!

Ma io niente so a parte che è successa una disgrazia e che nessuno ci crederà mai!

Stai tranquillo che quello ci arriva a te! Allora deciditi!

Ci devo pensare, ci devo. Non sono cose che si decidono così.

Va bene, lasciamo perdere, pensaci pensaci.

Poveretto! Deve averne passati di guai, il nostro Ciccio Martirano. Non è che si capisca granchè, è vero. Ma basta guardarlo in faccia per rendersi conto che qualche cosa di grave deve essergli successa di sicuro.

In tutto ciò il commissario Cardascio l’abbiamo perso di vista. Tutti ne parlano o ne pensano e noi che dovremmo conoscere meglio di loro le cose, non ne sappiamo più un accidenti.

Lasciamo Ciccio ai suoi tormenti e vediamo di rintracciarlo.


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