sabato 20 ottobre 2012

2002 La prima volta a Cuba (11)

Giovedì 10 gennaio 2002 – undicesimo giorno
    
Siamo di nuovo ricchi

Oggi è una giornata cruciale. Non ci sono alternative: o ricchi o poveri.
Si va al Nacional con il terrore dipinto nel volto. E infatti non ci sono ancora i soldi. La tizia del Nacional ci suggerisce di andare all’oficina che risolve i problemi di questo tipo. L’oficina si trova nei pressi dell’Hotel Habana Libre. Yolanda ci dice che qui tutti fanno la nostra fine. Tutti vengono a Cuba pensando di essere ricchi e di fare i nababbi . Poi invece si accorgono che noi non siamo minchia e gli fottiamo un sacco di soldi. Ma ormai è troppo tardi e così fanno questa fine.

Comunque la cacacazzi ci mette in contatto con il servizio Visa in Italia. La soluzione c’è: basta mettersi in contatto con la mia banca e chiedere di aumentare la disponibilità della VISA. Mi! E a lei facile sembra? A noi sembra una soluzione impossibile. Da film di 007. Come minchia facciamo a telefonare alla mia banca? E quelli poi si convincono? E se si convincono, in quanto tempo faranno tutto ciò? E’ la fine. Penso che 30 anni di studio sono stati buttati al vento e non mi salveranno da questa tragedia. Comunque ci proviamo. Ma  dove troviamo il numero di telefono della mia banca?.

Lo troviamo su internet Telefoniamo. In Italia è quasi ora di chiusura e il Minchia che mi risponde dice che ci penserà domani. Come, DOMANI !? Io insisto cercando difargli capire in che situazione sono. Cade la linea e già ho speso quasi tutti i soldi per questa chiamata inutile. Le speranze si affievoliscono. Richiamo, becco il direttore che mosso a pietà dice che posso farmi una vacanza tranquilla e che ci pensa lui a me. Farà tutto in tempi brevissimi. Non ci crediamo per niente. Intanto non abbiamo più soldi . La telefonata ha esaurito tutti i nostri possedimenti (38 dollari!!)

E’ il tracollo! Se il direttore ci ha ingannati saremo costretti a dormire tre giorni all’aeroporto senza nulla dd mangiare e senza neppure i soldi per pagare la tassa di uscita. Una vergogna mondiale!
Da poveri andiamo al Malecon, ci corichiamo sul muretto e aspettiamo. Alcuni giovani avaneri33 si tuffano a mare felici. Anche loro sono poveri, ma ci sono abituati. Mica possono vivere col cutugno34 tutta la vita!
Le avanere fanno autostop per rimorchiare. Dei poliziotti, forse gelosi, le cazzìano. Abbiamo fame e ci dirigiamo verso un quartiere molto, ma molto popolare dove si dovrebbe mangiare con pochi spiccioli. Entriamo in un bar popolare. Un sandwich, una birra ed una Coca Cola locale alla spina. I baristi ballano e sono neri, quindi gelosi, come ci ha detto la cognatina.
Mentre ci gustiamo il povero spuntino al bancone, si avvicina il solito disperato e ci vuole vendere sigari, targhe di auto, passaggi con carro paricular. Noi non gli diciamo che siamo più disgraziati di lui. Non ci crederebbe mai.Torniamo al Nacional per ricontrollare se siamo ancora poveri.
     
Evviva. Siamo di nuovo ricchi!
Il mio direttore ha fatto il miracolo.. E subito ci adeguiamo al nostro stato di benestanti andando a prendere un costoso Daiquiri35 al bar del Nacional. E ci sembra pure economico :$ 3,5. Trattasi di granita i limone con rum.
Bene, si ricomincia la vita da ricchi all’Habana. Ma Nadia non demorde e costringe Pippo a tornare a casa a piedi. Decidiamo pure di invitare a cena Jolaise. Appuntamento all’Habana Libre alle 21.
Mangiamo al ristorante  xxxxxxxxxxxx che si trova proprio accanto al nostro bar preferito di scoppiati. L’ambiente è accogliente. C’è la solita guardiana triste dei cessi. Pippo mangia merluzzo, Jolaise invece porco. Nadia è fissata col vegetariano e si assuppa36 un orribile riso indiano con .. bacon! Il tutto allietato da due tristi, ma bravi musicisti con violino e chitarra. Il costo della cena è di 8 dollari a testa.

      Vogliamo continuare a divertirci e per farlo chiediamo ai passanti di indicarci una bella discoteca locale. Ci dicono di andare al “Rosalia de Castro”. E’ a due passi. In un vecchio palazzo tipo via Roma*. Al primo piano. Sembra di essere ad una festa privata anni sessanta. Una stanza lunga con tutte le sedie accostate al muro. Di diverso c’è la presenza del bar. L’ingresso 2 dollari. A Jolaise controllano il passaporto.
      Si comincia con la solita pallosa musica salsa. Poi si continua con uno show di due animatori che usano 3 disgraziati per divertire il pubblico. Che in effetti si diverte. Poicomincia la musica “disco”. E da questo momento riprende l’assalto a forte Apache. L’assalto agli europei (cioè noi) per motivi “ufficialmente” erotici, ma “realmente” economici.
Nadia è circondata da cubani e  due italiani . Pippo è conteso da tre cubane. I due però resistono e si difendono l’un l’altro. Jolaise balla bene , ma sempre allo stesso modo  qualunque musica mettano. Alle 1 e 30 si torna a casa.


domenica 14 ottobre 2012

esca viva (3)

Mio padre aveva la pistola, la notte a volte si perdeva nelle campagne e mia madre diceva stai tranquilla non è solo, c’è la sua squadra con lui. Qui ho sette/dodici anni – Mamma, la sua squadra sono quelli che mi vengono a prendere all’uscita della scuola e doposcuola con la macchina verde polizia oliva quando papà non può? 

Sì. Beh, sì, brave persone, mamma, possiamo stare tranquille. Papà li chiamava per cognome, proprio come a noi la maestra a scuola. Volevo sapere se avevo altre cose in comune con quelli lì. Mi mettevano nel sedile posteriore anche se io preferivo stare davanti e non mi appoggiavo mai allo schienale, stavo tesa dietro il sedile del guidatore e guardavo i suoi occhi dallo specchietto, con le mie braccia che gli sfioravano le spalle.

Anche tu vuoi bene al mio papà? Sì, tuo papà è buono. Devo metterti alla prova, Zamparo, ti confesso una cosa che ho fatto, se tu la dici a papà io dico a lui che non deve fidarsi di te. La vedi questa?, e tiravo fuori una biglia bellissima color cielo striata del bianco delle nuvole che non portano pioggia oppure una collanina di confetti rosa pallido – guarda, si chiama colliè – me l’ha dato una mia compagna in cambio di due ninnoli di cristallo del lampadario della sala da pranzo. Sono i ninnoli numero undici e dodici. Cooosa? Ninnoli, Zamparo, o forse tu li chiami brindoli, come mia nonna?

Bene, mia nonna. Mentre io mi agitavo al ventazzo di Trapani e decidevo di essere diventata la fidanzata di Mistretta, brigadierino american style anni settanta con la faccia di Maurizio Merli, perché veniva a prendermi in moto a scuola e alle compagne biondine veniva un travaso di bile e le suorine affaccendate per un momento sospendevano la gesticolazione ansiosa e si lisciavano le sopracciglia e pigolavano brigadiere non la vediamo mai in chiesa, se viene alla messa delle dieci, vedrà, sentirà anche il nostro coro – composto da quelle che noi chiamavamo “interne” perché vivevano lì ed erano più cresciutelle di noi, tredici o quattordici anni, nella mia classe ce n’erano due - la nonna con una specie di marito e una figlia zitella e un figlio scapolone e fimminaro viveva sempre a Palermo.

E tutti questi personaggi baldraccati mi tracimavano di vizietti, mi sollevavano in danze di giramondo, mi sciroccavano in panieri di coccole e zuccheri. Un paio di volte al mese andavamo a trovarla la nonna. Viveva in un suk, non nel senso di collocazione topografica, nel senso che casa loro era proprio un suk. 

Lunghi corridoi resi stretti dalla quantità abnorme di mobilio anticaglia stoffe alle pareti piatti di ottone perfino sopra le porte e nella stanze mobilucci scarpiere armadietti vetrinette, tutto stracolmo di roba usata stoffe recuperata da vecchi vestiti lumi con piumaggi multicolori incisi e trine di ceramica, passamanerie bronzate, fiocchi di seta, poltrone tipo bergère bottoni d’osso e savacci cuscini scarpe con struzzo e tutto fiorato quadrettato, a pois, ventagli per un occhio o per coppie, bigiotteria ingombrante e coloratissima e cappelli, una cascata di oggetti tunisini, pouf molli di cuoio umettati dell’afrore locale, caffettani cobalto o rossi con granite di pietruzze o ingigliati di fili d’oro appesi in giro per casa. 

Colori prevalenti: vinaccia, che non so esiste, sospetto l’abbia coniato lei e corrisponde a una via di mezzo tra color melanzana e bordeaux, forse oggi Harper’s Bazaar lo definirebbe color prugna, e appresso quasi tutte le tonalità di verde, da quello acqua dei suoi occhi a quello tenebroso delle fiaschette di mio nonno, e infine i viola, dal glicine all’episcopale. Tutti i suoi cappelli fin da quando era nata.

In camera da letto le coperte erano stratificate. Fiorata di base e plaid quadrettati in tinta, almeno uno per i piedi e uno per le spalle e, sopra i guanciali gonfissimi federe pastello e su quelle cuscini floreali broccati. Mia nonna dinoccolava assiepandosi in questo o quell’anfratto o indaffarandosi a cercare cose poiché non riusciva mai a trovarle nel momento in cui ne aveva bisogno. Le ritrovava dopo, le spostava sostenendo di metterle in evidenza per il prossimo bisogno ma era un rigurgito continuo, metastasi di disordine prive di ogni possibile controllo, degenerato – soggetto il disordine - soprattutto da quando mia madre s’era sposata e aveva lasciato la casa materna. 

Mia madre era disgustata, soffriva di un voltastomaco perenne di fronte alla marmellata di oggetti, papà ci rideva, io avrei voluto avere cento occhi e mille mani per non trascurare nulla di quell’adorabile brique-à-braque profumante di muffa e di sebo.
le briciole le raccoglie
chi non ha altre voglie
o ardirebbe ardire
e io che sono ardente
ho bisogno di fruire-capire-morire-tradire”,

mmmh… ”potrei mettere a posto il lampadario di mammam rubando dodici ninnolim della nonnam, la sua lumiera è somigliantem nella forma ma il colore è grigiom – cristallo fumé -, quella di mammam è invecem bella trasparentem”, mmmh…
Da questa tavolozza gitana, da questo sciame di oggetti arteriosclerotici, da questo regno di mago merlino e io ero anacleto, si passava al regno della grande mantide dormiente, alla trance che spezza gli abbagli dei colori smaniosi. Palermo-Trapani andata e ritorno. Per fortuna però mi si arrotava la fantasia, certi usignoli posati sulla placenta della luna mi tenevano compagnia, gli angeli si disponevano ad arco sul mare, monili schiumanti al sapore di zagara, un po’ scapigliati e biondissimi e campanule al collo da cui stillava un suono di clorofilla che plink plink plink, intimidiva il mare.
Come una proda sguazzata al centro di una secca metallica sono cresciuta. Mi restavano un mucchio di desideri scalzi nei pugni serrati, mi vedevo come una corteccia guardata al buio titillante lampi di resina e con il midollo brucato dai bagordi dell’immaginazione. Infine tornammo a Palermo definitivamente e ne fui felice ma un certo ramo di cattività mi era già cresciuto dentro.

rossella valentino  



giovedì 11 ottobre 2012

P R O M E T H E U S. Ridley Scott



una immagine del film
“Non c’è niente nel deserto e nessuno ha bisogno di niente”


Un’immensa cascata, la forza impetuosa purificatrice nettante dell’acqua, il bianco assoluto abbagliante.
Il primo fotogramma è il cuore magico e il messaggio ideologico del film.
La telecamera zoomma su un Uomo immenso, anch’egli candido, lo sguardo fisso su una chiara astronave che si solleva lentamente. L’Uomo beve da una sfera un liquido rosso luccicante. Quindi sullo schermo appare la via che il liquido percorre all’interno del corpo dell’UOMO.
Ciò che viene distrutto per primo: l’elica del D N A
Infine ogni parte interna del suo corpo va in pezzi. Morente, l’UOMO precipita nelle acque turbolente della cascata.
E’ il PRIMO UOMO

Distrutto da Quelli che l’hanno creato. Nessuna etica, nessuno scopo. Solo odio. O altro?
L’intreccio filmico muove dal ritrovamento, in siti assolutamente distanti tra loro e nello spazio e nel tempo, di iscrizioni rupestri: ritraggono uomini enormi a braccia levate verso piccole sfere. “I Padri dell’Umanità ci stanno chiamando. Vogliono che andiamo da loro”.
La fede nell’esistenza di Dio Creatore o l’alternativa scientifica della teoria darwiniana vengono negate in toto.
Un anziano magnate appassionato di …sapere.. o ... di immortalità, appronta un’astronave di specialisti.
L’equipaggio conta 17 esperti.
Oltre ad un Robot.
Questi, unico desto, trascorre il tempo del lungo viaggio imparando le lingue e assimilando dalla tv i comportamenti umani. Un clone desideroso di umanità?!?!
Il film rimanda spesso a citazioni già viste in Blade Runner: nella stessa maniera é proprio al Robot/Replicante, riproduzione perfetta e perfezionata dell’essere umano, ancorché priva –“purificata” e al di sopra- delle debolezze dei sentimenti e delle emozioni, che vengono affidati  e l’intervento salvifico finale del superstite e le più intense e significative frasi del film:

“Gli esseri umani si sentono al sicuro solo se interagiscono con i loro simili”

“Il respiro…una fiamma contenuta. Dispensa calore per tutti i viventi,  regala energia ai meritevoli”.

Per il resto, purtroppo il film non cela il declino dell’ormai annoso Ridley Scott, insieme al momento personale davvero difficile.
L’interpretazione etica proposta potrebbe essere duplice:
Positiva - I Creatori decidono di distruggere la propria Creatura Uomo, perché troppo perfetta, più capace e superiore di essi stessi.
Negativa - La fame di conoscenza di ulissiana memoria porta alla dannazione, sua inevitabile conseguenza.
Oppure, un suggerimento/monito a tutti noi:

Non permettiamo che la Terra degli Uomini divenga questo:
Non c’è niente nel deserto e nessuno ha bisogno di niente”

.

giovedì 4 ottobre 2012

2002 . la prima volta a Cuba (10)




Mercoledì 9 gennaio 2002 – decimo giorno 
 La pomata magica
Pippo sta  di merda e non si vuole alzare. Verso le 12 riceviamo visite- La piccola cognatina (donna di Peppone) con una amichetta. Questa è la situazione : 4 belle donne (3 cubane ed una bulgara), sul terrazzino a bere, fumare e chiacchierare. Pippo a letto malato. La cognatina spiega a Nadia tutto sul suo legame con Peppone. Dice che questi è un uomo generoso e, anche se non è bello, va bene così.
 Poi continua offrendole la casa e  la bamba31 (con pagamento posticipato). E infine una crema miracolosa che serve per non sentire dolore quando ti sodomizzano. La bulgara dice che per cominciare accetta solo la casa. Il resto si vedrà. 
              Alle 5 non ne possiamo più di carriarci* Jolaise e decidiamo di mollarla. Lei sta dove la metti. Oltre a Jolaise dobbiamo restituire anche la macchina che non possiamo più permetterci. Nadia, che è fradicia come tutti ii ulgari, ha letto sul contratto che ci devono restituire tutti i giorni non goduti. Al negozio scopriamo che il simpaticone ha scritto sul contratto 75 dollari di anticipo invece di 100. noi protestiamo vivacemente. Loro (incredibile) ci credono e accettano di restituirci 236 dollari. Pensiamo che ci saranno più che sufficienti per tirare avanti fino alla fine del viaggio. Quattro giorni. 

         Ma poi scopriamo l’inganno! Non ci danno proprio un cazzo. Ce la dovremo vedere con la VISA. Abbiamo ancora una speranza. Corriamo al National sperando di trovare il gruzzolo sulla carta di credito. Patate! La carta è sempre vuota. Siamo disperati. Pippo comincia a collaudare la povertà. Per fortuna Jolaise non graverà più sul bilancio familiare e questo ci consente di non morire subito.

Si torna a casa a piedi cercando di capire come sopravvivere per i prossimi 4 giorni. Si analizzano le possibili soluzioni (e anche quelle impossibili, come Dylan Dog32):
-       tornare subito nel vecchio continente (ammesso che ci sia posto sull’aereo)
-       vendere tutto (.. ma a chi?)
-       dormire all’aeroporto
-       chiedere l’elemosina (.. ma a chi?)

sulla via del ritorno incontriamo una chiesa. Ecco una soluzione che non avevamo considerato. Ed è forse la più realistica : chiedere il miracolo a Gesù! Qui forse Gesù il miracolo te lo fa visto che noi siamo quelli buoni e loro no perché sono comunisti. (citazione di Berlusconi in occasione della partita del Milan contro lo Steaua Bucarest n.d.r.).

C’è in atto una cerimonia che è per metà cattolica e per  metà protestante. Ci sono suonatori che suonano, ballerine che ballano, un predicatore che predica e tutti gli altri che urlano con le mani in alto e gli occhi chiusi.
Torniamo a casa sicuri che questa visita alla casa del Signore ci porterà bene.

lunedì 1 ottobre 2012

Le letterine



.. all'inizio sul parabrezza..
A dire la verità, ma proprio tutta tutta, nni stù palazzo qualcosa di magico strano arcano ci deve essere..
E pensare che  vivo lì da solo un paio d’anni quando cominciano le…. Letterine!
All’inizio sul parabrezza é solo un foglio né a righe o quadretti, solo blank, piegato alla perfezione, manca solo un po’ un alito un’idea un velo di …profumo maschile. Certamente non Drakkar. lui ..non chiede
Scrive.

Complimenti, apprezzamenti  manierati e con stile, molto …a tempo reale..:
Quel vestito nero a corolla + stivali di camoscio, che raffinatezza, come stai bene questa mattina”
Aiuto, lui mi vede e io …non so chi siaaaaaaaaa!

In fondo ad ogni  biglietto, però, devo confessarlo, sempre ripete  nome e numero di cellulare….
Mentre il mio tergicristallo fiorisce di bianco come ciliegio in primavera, le mie amiche danno di matte, cercano di appropriarsi di un biglietto, di uno solo, daiiii: “Chiama, vedi chi è, …com’éééé…”
E io: no maiiiiiiii

“Sctupita” mi rimproverano sdegnate
La tecnica, si sa, è commare stretta  del progresso e poi, che vuoi, un po’ di privacy in più…non guasta,  pertanto lo sconosciuto scrittore –u Ghost Writer, (mi passi la traduzione inesatta, ma pertinente, n. d. R.)  tenace, affina non il contenuto, sempre galante e garbato, bensì il metodo:
letterina in busta chiusa affissa fermamente con adesivo tagliato con cura al finestrino lato guidatore.
La perfezione, il Non Plus Ultra..Chissumitagghiapureammia, mi sa….
Alla perfezione,  però….!