martedì 19 giugno 2012

“I compromessi ossimori”

Corre l’anno 12.

Un fianco lambito dal torbido fiume Oreto, la città porge grembo e viscere al mare, adusa ormai agli annosi stupri, e di molteplici etnie, che da esso giungono.

Ad essi si sottopone ormai senza sorpresa o lacerazione alcuna, né ferita o reazione, nel suo passivo adattarsi di specie in involuzione - movimento darwiniano all’incontrario.

L’epidemia trasuda dalle vie e dai muri delle case e palazzi e silenziosamente penetra nel sangue degli indigeni dormienti, inconsapevoli.

In una bella ampia via, tagliata dritta dritta dal porto al Teatro Politeama, muscolo cardiaco cittadino, sorge un antico magazzeno, volte altissime, soffitti a intelaiature lignee, muri in pietra a faccia vista, che ancora odorano di agrumi e delle ceste e delle casse che li hanno contenuti per generazioni.

Al mattino presto, al portone orlato in pietra sostano le carrozze ricolme di limoni e aranci trainate da cavalli. Tutta la strada profuma di mandarino. Gli operai caricano a labbra serrate: il mandarino, si sa, è “sbirro”.E’ mattino inoltrato: sull’uscio si presentano i Bravi. In due. Credenziali mostrate a Zù Abbondio, minacciosi minacciano dazi ammende punizioni corporali e torture psicologiche.

A meno che…sì, che fortuna, la soluzione esiste, basta che Zù Abbondio obbedisca “spontaneamente”e senza frapporre indugio, alle loro legittime, e legittimate dall’uniforme + distintivo e quant’altro, richieste.

E riconsegni il”maltolto”. Che fare, dunque?

Rivolgersi ad un Azzeccagarbugli , o alla “Benemerita”, o niente – po’ – po’ – di – meno - che al Primo Cittadino ( Lui sa il da farsi,lui sì che lo sa fare..)

Ma la concessione..é in regola…..” obietta in un sussurro Zù Abbondio

Quale licenza e licenza” -tuonano i Bravi- “La Legge siamo noi!”Dura lex, sed LEX! E il “fuorilegge” tremante balbetta il proprio assenso, spontaneo….

Rimuove il fastidioso, -di più! altamente nocivo!! - cartello di passo carrabile, rilasciato con licenza oltre un secolo fa, tributo regolarmente sempre puntualmente pagato, e dapprima lo cela, orrido oggetto!, alla vista degli innocenti.

Che non torni a turbare alcuno, mai più!Quindi, il capo chino, lo riconsegna alle “autorità” costituite.Che la Legge -e i suoi giusti emissari- trionfino!

Nota: Dov’era l’ Innominato? Dormiva, forse, beato, il sonno dei Giusti?


oscuria

antologia di oscuria

lunedì 18 giugno 2012

Io, lui, l’altro e la tunnina


St’annu, tunnina se ne è vista molto poca.

Ho appreso, nel corso di una passeggiata ‘ncapu u caicco, da un prufissuri dell’università degli studi di Palermo, di biologia marina o chiss’acciu iu, che a curpa non è dei giappunisi, noti manciatari di tonno crudo, ma nostra, na manciamu tutta e ora a tunnina si sta estinguendo.

E mentri mi ammaraggiavo costa costa e anelavo la terra ferma, chiancìa: unu picchì prigioniera ‘nmenzu u mari un putìa scappari, due picchì, mi pirsuarivu che presto, u sapuri da tunnina sarà solo un ricordo di vecchi nostalgici comu a mmia.

Sulla tavola di casa mia il tonno rosso è sempre comparso a fine aprile, e in occasione della festa del SS Crocifisso che si celebra il 3 maggio, si è sempre mangiato, a pranzo pasta chi pisidduzzi frischi e a cena, tunnina ca cipuddata.

St’annu nenti! Giustu st’annu, ca c’era l’ospite d’onore.N’appimi accuntintari sulu da pasta chi piseddi, pa sira fici na frittata ‘nto sucu A tunnina era ancora a mmari! Ma iu, chi sugnu licca, un ci vosi rinunciari, e cu l’ospite d’onore, ca è puru liccu di tunnina, e camurriusu come a me patri, ninni amu a Trapani a ciccalla.

Dopo aver setacciato na poco di pescherie trapanesi, e recitatu preghieri a sant’Onofriu u pilusu, emu a scuppari in una pescheria a Paceco, che alla parete, esibiva un bellissimo poster raffigurante la mattanza di Favignana, dove spiccava la riccioluta chioma bionda del mitico Clemente, noto tonnaroto favignanese.

Il pescivendolo, un picciotto troppu graziusu, avia un tunnu appina piscatu. Dopo una breve chiacchierata, come cucinare il tonno, come trattarlo se si desidera mangiarlo crudo, u picciotto, cu falari ‘nsangatu e a mannaia ‘n manu, mi taliava ‘nta l’occhi e mi dicia: signò è un priu parrari cu llei, si viri ca nni capisci di cucina, chi ffa tagghiu?

Scossa da quella visione e da quella richiesta, stringendo forte la mano dell’ospite d’onore che cull’occhi mi faceva coraggio, ci rispunnemu all’unisono: Ca taghiassi!Ni ficimu tagghiari, na para di fedde di surra pi falla arrustuta, cocchi fedda da parti da spadda pi fallu ca cipuddata, e un pocu di spezzatinu pi fallu cu sucu.

Con la borsa termica piena di tunnu chi facia pazziari, io e l’altro, ci siamo messi in macchina per affrontare il viaggio di ritorno. Arrivata a casa, tutta priata con la preda in saccoccia (accattata cu tutti i dinara), mi accingevo, in cucina, a selezionare e congelare, e intanto, arrivava Lui, me patri, che catammero catemmero, enunciava: ma chi ci accatti sti cosi? Tu avìa accattari u cunigghiuni! ‘Nca beddamatri! Lì per lì mi parsi na parulazza! Papà! Queste cose non si dicono!

– Scimunita! U cunigghiuni è a parti da cura, a chiù morbida e menu grassa, picchì u tunnu usa a cura comu timoni, e con la mano mi faceva vedere come, e quindi travagghia sempri. I musculi chi travagghianu assai su sempri i chiù pregiati, mittitillu ‘nto ciriveddu testa di lignu! Sempre grazioso, mio padre! Avrei voluto reagire, ma pi un sapiri né leggiri e né scriviri, mi stetti zitta per evitare che la discussione si protraesse fino a notte fonda, e poi avevo testa a come fare lo spezzatino se al sugo, o chissà magari mi sarei inventata una ricetta! Sulla base delle mie conoscenze gastronomiche sia messinesi che trapanesi che palermitane mi sono inventata un sughetto molto buono, col quale si può anche condire la pasta.

Spezzatino di tonno alla mia maniera

In gradienti:spezzatino di tonnocapperi dissalatipassolina e pinoli ammollati in acqua caldapomodoro liscio tondo a grappoloaglio, menta, olio, sale e pepe

in una padella di alluminio, ho soffritto due spicchi di aglio (rigorosamente rosso l’altro tanfa) dove poi ho rosolato appena il tonno che ho tolto per aggiungere il pomodoro, spellato e tagliato molto finemente. A metà cottura ho aggiunto, al pomodoro, i capperi, i passolini e i pinoli, aggiustandolo di sale e pepe. Appena il pomodoro ha cominciato a far odore di cotto, ho aggiunto il tonno già rosolato che ho portato a cottura, tre secondi prima di spegnere ho aggiunto foglie di mentuccia appena spiccate dalla pianta che ho nel balcone. Modestia a parte, è venuto fuori un sughetto così delizioso che nni liccamu puru i piatta.




venerdì 15 giugno 2012

Palermo, dove per mangiare si paga poco (11)


11- Da Don Ciccio si mangia bene, via Malaspina 44

Dal 1960 ad oggi si sono susseguite tre generazioni nella gestione di questa conosciuta trattoria cittadina. Ha iniziato Don Ciccio (Francesco Paolo), quindi il figlio Erasmo, da tutti chiamato Orazio (chissàpperchè). Oggi è Calogero (nipote di Don Ciccio) a mantenere alto il prestigio della tradizione.

In origine la taverna di Don Ciccio ospitava i carrettieri, gli operai che lavoravano alla costruzione della ferrovia, nel periodo in cui la città si espandeva verso nord ( ?!) e quelli che lavoravano nella fabbrica Omsa di ferro e cemento (quella delle calze era un'altra). Omsa.. che ferro!

2 sale con 15 tavoli che ospitano fino a 70 clienti. Le sedie sono le nostre amate Thonut, tavoli con tovaglia rosso sugo con sopra una bel quadrato di carta bianca. Stile impeccabile, insomma.
Le pareti sono tempestate da una miriade di quadri e quadretti (foto 1). Se alzate lo sguardo potrete anche ammirare le opere della pittrice (e amica di Calogero) Sara Morghese che ha affrescato le volte delle due sale con soggetti del folklore siciliano.
Ma cosa si mangia da Don Cicco? Ecco il menu:
Antipasti: involtini di melanzane, polpette di sarde, sarde a beccafico,caponata alla siciliana,bruschette alla romana,insalata di musso,antipasti caldi.

Primi piatti: spagnetti bolognese, alla glass, capricciosa, carbonara. Caserecce alla Norma o alla Don Ciccio (con salsiccia e funghi) o con pesce spada. Risotto alla marinara. Linguine allo scoglio. Margherite all'anciova. Bucatini con sarde alla Palina.
Secondi piatti: bollito con patate al forno, trinca di maiale,costata di vitello, spiedini alla siciliana,salsiccia arrosto, arrosto panato alla palermitana, scaloppine al limone, spezzatino.
Secondi di pesce: fritto misto, orate o spigole alla griglia, gamberoni,calamari,baccalà fritto.
Come dolci tre sono le scelte: torta di mele, tiramisù o cassatelle.

Da bere all'ampia scelta si preferisce (di solito) il sempre amato vino sfuso da taverna. nella speranza di scoprire gusti e sorprese che gli imboittogliati non possono offrire. La conduzione è familiare. Ad aiutare Calogero ci sono spesso la madre e la moglie. Ma per lui anche i 4 storici impiegati sono parte della grande famiglia.

La clientela è variegata..."dalla A alla Z", tutte le categorie di questa città hanno avuto un rappresentante seduto a questi tavoli.
Volti noti di avventori dell'osteria sono stati gli attori del vicino teatro Lelio : Anna Oxa, Claudia Koll, Stefania Sandrelli e sua figlia Amanda.

Per un pranzo completo si spendono dai 10 ai 18 euro. Sono accettate tutte le carte.

Aperti tutti i giorni a pranzo dalle 12 alle 15, a cena solo il venerdì e sabato. Giorno di chiusura domenica.

Tel: 091\6814097
sito web: www.dadonciccio.it





lunedì 11 giugno 2012

Palermo, dove per mangiare si paga poco (10)


10. Trattoria l'Orsacchiotto, via Calcante 21 (Tommaso Natale)

Andate alla piazza di Tommaso Natale, svoltate verso Mondello. Dopo il passaggio a livello e il rione Marinella svoltate a destra per la via Calcante, proprio davanti la fabbrica alimentare Elenka. Al n 21 si trova la trattoria l'Orsacchiotto.

Per l'entrata dovete fare ancora 5 o 6 gradini ed ora siete proprio di fronte la trattoria. In effetti la sua presenza è ben indicata lungo le strade del quartiere con evidenti cartelloni che offrono "menù fisso a 7 euro".
Poi vi accorgerete che il menù fisso, per la verità molto soddisfacente, ha comunque il costo di 10 euro. Che sempre poco è! Le porzioni, infatti, sono molto generose!

All'ingresso una stanza allungata con un interessante bancone del Bar demodè e 4 tavoli e panche in legno da Birreria. Poco più in là si entra in un grande e spaziosissimo salone con 20 e più tavoli, pronto ad accogliere anche 100 clienti e forse più.

Come indicato sullo stemma e sul logo, l'osteria è stata fondata nel 1985 da Pino Paletta che ci accoglie con un gran sorriso sotto i suoi folti e bianchi baffoni. Con lui lavora il figlio Rosario (che con il papà si occupa dei clienti) mentre in cucina travagghianu gli altri componenti della famiglia.

Sulle pareti trovate un pour pourit di oggetti , dai quadri religiosi (uno di S Benedetto il Moro donato 20 anni fa dall'allora sindaco Orlando), alle locandine di film di Totò, a vecchie foto d'epoca, puzzle fatti con monetine, cucchiai di legno giganti, l'acrostico P.I.N.O O.R.S.A.C.C.H.I.O.T.T.O eccetera, eccetera. Da notare, sotto i cucchiaioni di legno, la finestrella con davanzale che collega il salone alle cucine , da cui passano i piatti pronti per i clienti e quelli sporchi per il lavaggio.

Pino ci racconta che in effetti il primo Orsacchiotto era al numero 19 della stessa via , ma il locale era stretto ed allora dopo pochi anni (correva il 1990) si è preferito spostarsi qui al civico 21. Per inciso, continuando sulla via Calcante si giunge allla vecchia area industriale della ICEM dell'ex presidente del Palermo calcio Parisi.

Sulla prima pagina del menù , a grandi caratteri, l'offerta del pranzo a prezzo fisso.
tra i primi una scelta enorme e gustosa: pasta alla fiorentina (!), con pesto genovese o trapanese, taglitaelle fresche con pomodoro e melanzane, spaghetti con zucchina fritta, con sugo di pittinicchi, alla grassa, pasta con le sarde (non sempre), al nero di seppia, con asparagi e gamberetti, al ragù di cernia, gnocchi freschi al pomodoro, risotto di mare, pennette salsiccia e funghi e la specialità della casa: penne Zia Masina (tritato , piselli, prosciutto bacon e panna),

Tra i secondi di carne
: spezzatino con patate, pettinicchi al sugo, pollo grigliato, puntine alla palermitana, spiedini alla palermitana, cotoletta di pollo o di carne vaccina, arrosto misto, arrosto panato, salsiccia arrostita, bollito.

Tra i secondi di pesce: frittura mista, calamaro, spada o gamberone alla griglia, maccarroncello fritto. Una scelta che varia in funzione del pesce che arriva da Mazara del Vallo. Che ogni tanto riserva piacevoli e gustose sorprese. Da bere del buon vino sfuso bianco o rosso proveniente dalle cantine di Alcamo. Oltre ovviamente la birra ed i soliti soft drink (coca, aranciata ecc)

Per un pranzo completo non spenderete più di 12 - 18 euro, inclusi frutta e bevande.

Presi dall'appetito e dalla voglia di sapere gastronomico, chiediamo a Pino come mai a casa il bollito non viene mai così buono come in trattoria. Lo stesso mistero riguarda le panelle (quelle fatte in casa parinu piatusi) o le patatine fritte. E qui la sapienza culinaria di Pino ci illumina. Per panelle e patatine il migliore gusto dipende anche dalla maggiore quantità utilizzata: l'unione fa la forza. Più sono in padella, più gustose vengono. Per il bollito, invece, il trucco è mescolare, tra i pezzi scelti, anche ginocchia e petto dell'animale.

Pino ci racconta anche che, sebbene ubicato in periferia , questo locale è stato frequentato da diverse celebrità tra cui Leoluca Orlando, il cantante Tony Colombo e la star del pop Samuele Bersani.

La trattoria è aperta solo a pranzo dalle 12 alle 17 di tutti i giorni domenica compresa. La cena, invece, si serve solo il sabato. Accettate tutte le carte. recapiti telefonici:
091 9826901-cell 3389078859-3899846141

Pippo Vinci, Laura Picone, Ninni Picone, Mari Vinci, Daniela Vinci

venerdì 8 giugno 2012

l'enigma del Tatanka

Serate intere trascorse fra amici a commentare, ciascuno a dare la propria chiave di lettura, o a domandare lumi ad altri, fra le grida irate di chi non l'ha visto ancora, qui si vuole raccontare de: THIS MUST BE THE PLACE, di Paolo Sorrentino, interpretato da Sean Penn.
Meglio, costruito intorno a Sean Penn, senza il quale -precisa il regista- il film non si sarebbe potuto fare
Incipit spettacolare su paesaggi very British, rasserenanti, quindi stacco a contrasto sull' uomo: parrucca nera ed enorme ad opprimere la testa, il viso viene truccato mascherato pesantemente, epperò con minuziosa precisione, come da dita di donna.
Spiccatamente, fastidiosamente quasi, evidente la componente femminile del protagonista Cheyenne: dalla competenza per una lunga tenuta del rossetto, lezione impartita in ascensore a giovani stupefatte, al modo "femminile" di fare l'amore con la moglie che, per l'appunto, di mestiere fa il vigile del fuoco (professione tipicamente maschile).
La musica -splendida (David Byrne e i Talking Heads, i Pieces of Shit) non fa da sottofondo, piuttosto "si lega" strettamente, aderendo quasi allo svolgersi dell'intreccio, é esemplificatrice sottolineatura dell'azione, filo narrante.
Magistrale, primissima fra prime, la macchina scenografica anni sessanta e il brano di David Byrne. Illuminante il dialogo Cheyenne/Byrne sul rock, il possente impatto, a volte persino distruttivo, sulle giovani generazioni.
Il canovaccio é il viaggio "on the road", più Auster che Kerouac, alla ricerca -con relativa vendetta- dell'aguzzino del padre nel campo di concentramento.
Solo un riferimento en passant al glorioso passato remoto di famosa rockstar -"E' Mick Jagger che ha suonato con me"-, appena un lieve accenno al passato recente -"Che hai fatto negli ultimi vent'anni? "Eroina"- per giungere al presente, il viaggio alla ricerca dell'ufficiale nazista per lavare l'onta paterna.
Attraverso un' America tanto bella quanto semideserta, all'obiettivo iniziale si sovrappone e si mescola, in un unicum, il valore del percorso interiore, il viaggio all'interno del "sé", la ricerca di un "io" perduto, da ritrovare e riscattare anch'esso, a cui fanno da puntini di interpunzione, modificandolo e arricchendolo, i perfetti cammei di deuteragonisti e personaggi dalle apparizioni brevi, ma intense ed esplicative.
Simbolico, a volte addirittura criptico, il film ha anche il merito di avere radunato un simposio di rinomati psichiatri miranti alla decodifica! dei misteriosi significati : dal disabile in nave, al pellerossa autostoppista, silente nel suo abito formale giacca cravatta -figli di un Dio minore?-, al trolley (il fardello del passato?) che il protagonista porta sempre con sé e di cui -addirittura!- incontra l'inventore. E molti altri ancora.
Abbandonerà il trolley strada facendo. E fin qui, il senso é di facile interpretazione
La ricerca del vecchio nazista si conclude con successo. Durante l'incontro, il bellissimo monologo confessione di questo.
La magnificenza dell'odio e la fascinazione che risiede nella centralità della persecuzione: le lettere che riceve dal padre "torturato", le forze, la linfa vitale che lo hanno tenuto in vita
Inutile l'arma, Cheyenne costringe l'aguzzino ad uscire, nudo, nel paesaggio di montagne innevate
L'umiliazione dell' uno, il Male. Il riscatto dell'altro, il Bene
Il ritorno a casa vede Cheyenne privo di trucco e parrucca, i capelli corti e ben pettinati, mani infilate nelle tasche e aria serena, camminare verso la casa del ragazzo appassionato di rock sparito misteriosamente.
La madre, che Cheyenne va a trovare ogni giorno, oggi é alla finestra e gli sorride, mentre il brano finale canta: "My face, your face. My face...is ..yours"
Ops, dimenticavo il "tatanka", parola pellerossa per dire "bisonte"
Localizzata la baita precedente residenza del vecchio nazista, deserta, Cheyenne vi trascorre la notte. Uno sbuffo appanna il vetro: appare la testa di un enorme bisonte
I due si guardano, a lungo
Ipotesi descrittive/decrittanti, le più varie, ed aperte: un tempo alimento e risorsa fondamentale dei pellerossa, come questi figlio di un Dio minore, specie semiannientata e in via di estinzione -come il nostro protagonista, d'altronde- indole immobile ma selvatica e dunque visibile a pochi- primi -privilegiati; oppure, proposta interpretativa più difficile ma ben più suggestiva: il senso del dentro e del fuori, lo scambio continuo, chi sta dove chi sta dove ....Ma ve ne possono anche essere altre...
Oscuria

venerdì 1 giugno 2012

2002, la prima volta a Cuba (7)


Domenica 6 gennaio 2002 – settimo giorno

Il succo di canna fa schifo

Alle 8.30 ci alziamo. Ci sentiamo molto bene, tutto sommato abbiamo dormito con serenità.

Quindi le comodità del capitalismo sono inutili e costose. In casa c’è un tipo nero che somiglia molto a Mike Tyson. Però già dal nome fa meno paura : Candito. Deve essere il marito della padrona di casa. Fuori mi mostra una di quelle meravigliose macchine americane. E’ una Crysler del ’56. Pippo e Nadia chiedono se possono fare un giro. Candito li conduce in giro per il villaggio.

Poi Pippo osa e chiede a Candito se gliela può fare guidare e Candito lo accontenta. Diciamo che è meravigliosa anche se a guidarla ci vuole un po’ di pazienza. Per fare le curve bisogna girare il volante due incroci prima.

Per fare colazione, invece, si va in una specie di ospedale per bambini con cucina da campo all’aperto e si mangia cotognata di wayawa. Poi anche Pino vuole guidare il casciabanco del 56.

Il nostro status di clandestini finisce qui.

Portiamo i bagagli in casa di Jolaise. E qui scopriamo un mondo diverso. La casa si è riempita di vicini, parenti, curiosi e bambini a tonnellate, nonché aspiranti fidanzate. Poi un anziano vicino ci racconta cose senza senso. Pippo si sente molto vicino al popolo cubano e alle sue galline e infatti da’ da mangiare ai polli ruspanti. Poi si va a fare la spesa.


Pippo e Pino decidono di finanziare il settore bevande del pranzo e ne comprano una quantità esagerata.

Poi si va in giro per il villaggio e il papà di Jolaise, che ci fa da autista col cappellino rosso di Nadia, decide di offrirci una bevanda tipica di Cuba:il succo di canna. Così ci porta da un rivenditore di succo di canna. Che è anche produttore Ha infatti una macchina tipo strizza panni del 1950. Con tutti gli ingranaggi fetenti e arrugginiti. Il “Cannaro” infila la canna lunga com’è nel macchinario e la strizza. Dalla canna esce un liquido giallognolo e torbido.

Ce lo offrono. E ce lo dobbiamo bere. Nadia lo vuole buttare sul marciapiede. Io le dico che è pazza solo a pensarlo. I comunisti non buttano niente. In effetti però la porzione è da cammello. Sarà circa mezzolitro a testa. Io e Nadia lo assaggiamo e capiamo che sarà disgustoso. Quasi quasi lo voglio buttare anch’io, ma non possiamo non berlo anche perché il papa di Jolaise ride sempre di più. Ed è sicuro di averci fatto un piacere enorme. Lo beviamo. E’ vomitevole , ma non ci fa niente è sempre una cosa nuova. Pippo se ne beve anche mezzo di Nadia. E non vomita solo perché è comunista

A casa di Jolaise mangiamo porci come i porci. Poi facciamo foto. A tutti e con tutti. Infine decidiamo di fare una passeggiata, in compagnia di una ventina di persone, a vedere una coltivazione di canna, poi una colonia per bambini e poi le piante di jucca che sanno di patata e infine un torrente fituso*26.

La sera si va a fare baldoria . Ci dicono che Florida è considerata la “Piccola Havana” … ma chi la dice questa cazzata? In Effetti ci sono 3 discoteche. A l’Havana forse ce ne sono 2000. O non hanno mai visto l’Havana o ci pigliano per il culo.

Comunque le visitiamo tutte e tre. La più vivace si trova in una stanzetta piccola piccola al primo piano di una casa E’ pienissima di gente che urla e beve rum. Pippo si dissocia e scende a fare amicizia con un macellaio. Gli altri si lasciano trascinare dallo scemo di Pappo.

Nadia resta a dormire da Jolaise perché ha fatto amicizia con la mamma di Jolaise e si racconteranno minchiate tutta la notte

Pino, Jolaise e Pippo, invece, vanno a dormire in una casa particular un po’ meno spartana di quella della prima notte. Ma , soprattutto, la signora paga le tasse. La signora della casa ha lasciato il lavoro perché affittando case guadagna in un giorno quello che guadagnava in un mese. Faceva la preside di una scuola media.

*26 fituso= sporco , fetente

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