giovedì 13 marzo 2008

Spitineddi Arrustuti ‘nta braci!



E Ecco! È quasi primavera
e…
e su di me e la mia famiglia prevale il richiamo ancestrale “du sciavuru di…”
Spitineddi Arrustuti ‘nta braci!
Richiamo prosaico, ma non per questo meno seducente!
Così la domenica, se il tempo lo permette, prima si va dal macellaio di fiducia, ad acquistare gli ingredienti necessari e poi si va in campagna.
Ovviamente è mio padre che sovrintende all’acquisto della carne “a voli tennera, chi ssi ci avi a squagghairi ‘nvucca”. Appena arrivati, guarda negli occhi il macellaio e quasi come se fosse un segreto gli sussurra: - me ddari anticchia i carni pi fari du spitini! Il macellaio gli fa notare che quelli esposti nel suo banco, sono molto freschi. La risposta di mio padre è perentoria:
- Chiddi ti manci tu! Io vogghiu a parti da pampinedda. (la “pampinedda” è un piccolo tocco di carne che si trova nella spalla dell’animale) e poi mi l’è cunzari o miu piaciri!
Armato di santa pacenzia, il macellaio prende il tocco di carne richiesta, non arriva neanche a sfiorare la carne con il coltello che si sente intimare: Ti pari a tia ma tagghi di traversu!
Picciotto pacinsiusu è il macellaio, si fa na risatedda e continua o so travagghiu!
Raggiunto l’obiettivo primario, si procede al reperimento degli ingredienti secondari e si va in campagna, luogo dove ci si spoglia dagli abiti abituali, ci si infila in comode tute, si calzano scarpe adatte a calcare la zolla e prima di iniziare a preparare la nostra delizia, ci si sparpaglia: chi va a raccogliere verdure spontanee, chi raccoglie sciuri di Sanciuseppe, chi si dedica ai gatti e chi come mio padre, s’assetta fora a fare parole crociate, si mette o latu una cannuzza pi fari scantari i atti e un falli trasiri dintra!
Recuperato il rapporto con la natura, si prepara la brace, che sarebbe cosa di masculi ma io e mia sorella, non troviamo nessuna difficoltà a preparare u focu: ci serviamo di una vecchia carriola nella quale impostiamo i zucca d’alivi, cocchi cannuzza bella asciutta e anticchia di carta. Sutta si mettono i ligna chiù grossi e ncapu chiddi chiù sicchi avendo cura di lasciare degli interstizi che permettono il passaggio dell’aria, altrimenti u focu s’accupa e addiu ti dissi.
Intanto che mia sorella con amore e dovizia di particolari inizia l’operazione, mio padre osserva con disgusto, disapprovando ogni minimo dettaglio, picchì iddu u sapi fari megghiu! E siccome non ha più le forze, scoraggiato gira le spalle, alza le braccia al cielo, rotea le mani e si allontana dicendo qualcosa del tipo: è megghiu ca un taliu, picchì a vidiri i cosi fatti a malu versu mi fannu annirbari”! E se per caso si accorge che per addumare il fuoco stiamo usando qualche vecchia settimana enigmistica! Apriti cielo! Prima doveva verificare se c’era ancora qualche schema di parole crociate crittografate da definire e poi forse, poteva essere utilizzata allo scopo di cui sopra! Con la cultura non si babbia! Mica ci si può dare fuoco così facilmente! Neanche se fossimo i personaggi di Fahrenheit 451!
Ma insomma, appirimentata la brace e superata la crisi di famiglia, mia madre Vestale dalle mani d’amianto, capaci di pigghiari i cocci di carbuni addumati a manu nudi, resta a governare u focu e man manu chi a ligna squagghia, cogghie u carbuni pi arrustiri i spitini! Quello che resta del carbone viene spento e conservato per usarlo successivamente.
Adesso prepariamo i nostri spiedini.
Ingredienti per 4 stecche di spiedini
il ripieno:
200 gr circa di pangrattato piuttosto umido
4 cucchiai di cacio cavallo grattugiato
100 gr circa di caciocavallo tenero
100 gr di pancetta
una manciata di uva passa e pinoli
un mazzetto di prezzemolo
olio a piacere
inoltre
16 piccole fette di carne tagliate finemente
una cipolla bella grossa
foglie di alloro q.b.
olio
pangrattato per impanare q.b.

Mettere in una ciotola il pangrattato umido, il caciocavallo grattugiato, l’uva passa e i pinoli precedentemente ammollati in acqua tiepida, i restanti ingredienti tagliati in piccolissimi pezzi e amalgamare il tutto aggiungendo l’olio di oliva.
Disporre le fettine di carne su di un piano di lavoro, mettere per ognuna un po’ di ripieno, avvolgere la carne in bocconcini, infilzarla nelle apposite stecche di legno alternando una foglia di alloro, uno spicchietto di cipolla, un bocconcino e così via.
Passare la stecca in olio abbondante, poi nel pangrattato, mettere sulla brace e lasciare cuocere lentamente avendo cura di girare spesso la carne.
Ecco! È quasi primavera

(Antonella Gullo)

3 commenti:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

Boni!!!!!

marcella candido cianchetti ha detto...

ne mangerei un'infinità bona iunnatedda