mercoledì 28 marzo 2012

quattro giorni al gelo a Mosca (5)

la Moscova surgelata

il controreportage di Molcin



Se tutte le volte che senti al telefono un tuo amico gli dici “vienimi a trovare, mi raccomando!”, poi non puoi prendertela con nessuno.

Se poi precisi con tono furbetto “ma vieni d'inverno, se no che gusto c'é?”, allora sei proprio un cretino perverso. E pericoloso.
Perfetto: unico colpevole di omicidio meteorologico premeditato.E quando lo vai a prendere all'aeroporto con la faccia da mamma ansiosa, gli fai subito un esame dettagliato al primo sguardo. Desolante. Giacchetta rossa che non andrebbe bene nemmeno a Piano Battaglia d'autunno, cappellino da jogging al Foro Italico, scarpe da assideramento sicuro e guanti da passeggio. Ma almeno ti confortano le misure: normali, trovare una cassa per il rimpatrio non dovrebbe essere difficile.
Lo realizzi una mattina di febbraio quando arriva a sorpresa la telefonata fatale: “Sono al consolato russo di Mondello, ho preso il visto. Arrivo tra tre giorni”. Mondello? Basta la parola e il caro vecchio fruscio della linea eternamente disturbata, diventa rumore di spiaggia affollata, ragazze in coda al baretto, coltelli che affettano polpo bollito da Calogero. Non sei proprio sicuro ma ti sembra anche di sentire una voce che grida “Cocco bello!”


Guardi il termometro di casa e hai la conferma delle tue preoccupazioni: meno 28, e c'è pure il sole. Ti ricomponi e annunci serissimo a tua moglie: “Questo ci muore qua. Ma come facciamo a rimandare la salma a Palermo?”. Lei ci pensa, ma non lo sa. Nessuno aveva mai azzardato una visita di questi tempi. E poi, come fanno tutte le mogli del mondo, a qualsiasi temperatura, attacca: “Sei tu che lo hai convinto a venire, poverino”.

E allora lo richiami e gli dai consigli: un collare al posto della sciarpa, un cappello vero, un piumino super... Ma mentre parli ti senti come certi insegnanti di applicazione tecnica o certi supplenti a “tre giorni”. Parli da solo e senti pure l'eco. Del resto l'amico in questione fa parte della categoria peggiore. E anche lui uno di “quelli che abbiamo viaggiato”. Li conosco, siamo tutti uguali, un po' Tex Willer, un po' Amundsen: “Noi che siamo stati qua, che abbiamo visto quelle cose lì, che ce la siamo cavata perfino quella volta in quel posto assurdo... figurati se abbiamo bisogno di consigli”.


Ormai certo che potrebbe essere il vostro ultimo incontro, lo accogli con affetto e cerchi almeno di appurare quelle cose che rischi di non sapere mai più. “Ma è vero che quella volta a scuola hai fatto la spia con il professore di Matematica?”, oppure “Mi dici finalmente perché mi hai dato buca quella mattina del 18 ottobre del 1974?”



Non che ti interessi davvero ma è tanto per recuperare qualcosa. Quando sarà un blocco di ghiaccio senza vita, potrebbe rimanerti la curiosità.
Ma “quelli che abbiamo viaggiato”, hanno mille risorse. E la faccia come il culo. Quando dopo i confortevoli tunnel dell'aeroporto, le cabine del treno, i vagoni riscaldati della metropolitana, ci tocca uscire all'aria aperta, non fa una piega. Un po' per orgoglio, un po' per sopraggiunta rigidità. Ti commuovi, sei fiero di lui. Almeno, tutto finirà con grande dignità.


Certo, cammina rasente i muri, evita con nonchalance gli spazi più aperti. E tu scopri un inconfessabile piacere sadico nell'avvertirlo: “Attento. Dai tetti potrebbe caderti in testa anche una mezza tonnellata di ghiaccio”. E, forse a causa dell'ansia e del senso di colpa, la natura umana dà il peggio di sé. Lo guardi mentre si intirizzisce sempre più mentre viene al vento gelido del centro della strada, e gli butti lì con la voce da John Wayne: “Sai, la temperatura è un po' salita di recente. Fa quasi caldo”. Lui regge il gioco, applica la vecchia formula del non dare soddisfazione. Tu godi. Ecchecavolo, se devi passare per assassino, almeno ti diverti un po'!


A casa, comunque ci arrivate. Lui continua a fingere di star bene ma ha preso un colore strano. Andrebbe messo qualche minuto nel microonde. Ma è difficile, bisognerebbe tagliarlo a pezzetti. Tua moglie gli fa mille feste. Il colpevole, è evidente sei tu, ma lei è veramente contenta di vederlo. E si scatena a sua volta nella lista dei consigli. Lui non ascolta ma questa volta non è questione di orgoglio, ha proprio i neuroni congelati. Mai visto così rimbambito, nemmeno davanti a una versione di latino!... continua



Molcin



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