martedì 17 ottobre 2017

Makarov la pistola che venne dal freddo

di Nicola Lombardozzi 

Quando in un racconto compare una pistola, questa prima o poi dovrà sparare. Anton Cechov, che non amava i fronzoli inutili in letteratura, usava questa immagine per invitare a una narrazione asciutta, senza particolari ininfluenti. E la userebbe certamente in questi giorni per mettere in guardia i cantori di un mito sinistro che celebrano l'addio delle forze armate russe alla Makarova o pistola Makarov, «simbolo di un'epoca», raccontata con una vena nostalgica degna di oggetti meno letali. 

Intellettuali e cronisti, alcuni perfino di animo pacifista, si perdono nei loro ricordi evocando esperienze personali, i film e i libri dell'infanzia, raccontando della Makarova come fosse l' automobile del nonno o la crostata casalinga negli stenti del dopoguerra.  E fanno da nobile sottofondo a un coro di esperti e appassionati che si esaltano in particolari meno sentimentali come «blindatura delle munizioni», «capacità di penetrazione». Quelle caratteristiche che sono fondamentali in una pistola per farne quello che è: uno strumento per uccidere

Nessuno ha calcolato le vittime della Makarova in sessantun'anni di onorato servizio. A stento, qualcuno ha ricordato la più celebre. Anna Politkovskaja, la giornalista più odiata dal Cremlino, uccisa con quattro colpi di pistola Makarov sparati da un misterioso, e ben addestrato, assassino che l' aspettava nell'androne di casa una mattina d'ottobre del 2006. Fu proprio la scelta dell'arma a dare subito una connotazione politica a quell'omicidio ancora irrisolto. 


Pistola d'ordinanza dell' esercito e poi della polizia, in dotazione ad alcuni rami dei servizi segreti, la Makarova è sempre stata l'arma dei "cattivi" nella letteratura e nella cinematografia occidentale specializzata in intrighi e storie di spie da Frederick Forsyth a Martin Cruz Smith. La usavano, male, gli agenti che cercavano di uccidere James Bond; la impugnavano, torvi, gli ufficiali incaricati di giustiziare i condannati con il fatidico colpo alla nuca. Né vale a ingentilirne il ricordo, scoprire che il tenero e immortale Jurij Gagarin ne portasse una con sé, nascosta dentro a uno stivale, a bordo della sua traballante Vostok Uno, il 12 aprile 1961 quando diventò il primo uomo della storia a lanciarsi nello spazio. Non serviva per difendersi da improbabili incontri con extraterrestri. Probabilmente avrebbe potuto trarlo d'impaccio in caso di atterraggio in paesi ostili o tra popolazioni particolarmente aggressive. In ogni caso, lo raccontò lui stesso, la Makarova con il colpo in canna gli diede un senso di sicurezza maggiore degli instabili e pionieristici strumenti di bordo. 

Che poi, a ben guardare, la Makarova non era nemmeno questo gran prodigio della tecnologia bellica. Semmai, una perfetta riproduzione della filosofia sovietica di ogni prodotto industriale dagli ascensori alle affettatrici: rudimentali, facili da riparare, di durata illimitata. Questo contava molto più delle finezze occidentali e di quelle soluzioni sofisticate che rendevano l'oggetto bello ma inaffidabile. L'ingegnere dell'Armata Rossa Nikolaj Makarov, che nel 1951 vinse il concorso per la nuova pistola militare d'ordinanza, applicò questo principio nel rielaborare un progetto simile a quello della pistola Walther PP dell'esercito tedesco. Ne fece un giocattolino a basso costo, di facile produzione e che aveva il pregio di non incepparsi mai nemmeno se fosse stata immersa nel fango o custodita senza l'adeguata manutenzione. 

Trattata male, lubrificata di rado, tenuta da mani inesperte, la pistola Makarov spara sempre. Un po' come l' ancora più celebre fratello maggiore. Quel fucile mitragliatore Kalashnikov AK 47 celebrato con l' agghiacciante slogan: «Può usarlo anche un bambino». Come testimoniano le tristi vicende dei bambini soldato mandati a morire nelle guerre civili africane. Dotata di un calibro 9,3, più grande del 9 parabellum della Nato (particolare che politicamente dava una bella soddisfazione), la Makarova era famosa soprattutto per il cosiddetto "potere d' arresto", cioè per quel "calcio di mulo" che infliggeva con conseguenti rotture di costole, perfino a chi si fosse dotato di un giubbotto antiproiettile. 

 Ottima dunque per le operazioni di polizia. Molto meno per i lavori di precisione. Proprio all'inizio degli anni Cinquanta un dibattito tecnico-filosofico animò le rigide cronache sovietiche a proposito del battesimo del fuoco della nuova pistola. Accadde che un giovane tenente, campione di tiro, si ritrovasse a tornare nel suo appartamento moscovita qualche ora prima del previsto. Circostanza sfortunata perché gli permise di trovare nudi in camera da letto la moglie e l' amante. La soluzione possibile sembrava una sola: quattro colpi della pistola nuova di zecca, appena ricevuta in fureria. Li ferì entrambi, lievemente. Il dibattito non riguardò ovviamente il tentato omicidio d'onore. Ma un particolare ritenuto assai più sconcertante: come era possibile che un tiratore, giovane e sobrio, non fosse riuscito a uccidere i suoi bersagli a una distanza tanto ravvicinata? Con la scusa di commentare un episodio di cronaca nera, molti lettori e qualche esperto misero in imbarazzo il governo con le loro critiche velate a un'arma che appariva grossolana e imprecisa. 

Per chiudere il caso al più presto, il tenente fu assolto e tornò ad addestrarsi per «adeguarsi alle esigenze della nuova arma moderna». L'errore di mira del tenente rivelava una certa approssimazione del progetto ma la pistola di Makarov, prodotta in milioni di esemplari, era ormai destinata a essere l'arma più diffusa nel Patto di Varsavia con varie riproduzioni e perfezionamenti in Bulgaria e Ddr. Tanto da donare un indiscusso alone di familiarità a un oggetto di morte. Molti bambini sovietici hanno provato a intagliarla nel legno per farne un giocattolo, fingere di sparare o semplicemente legarsela alla cintola per darsi un contegno nei raduni dei pionieri comunisti. 

A consacrare il suo ruolo di dispensatrice di sicurezza ci ha pensato nel 1993 il
film Makarov del cerebrale regista Vladimir Khotinenko. La storia di un intellettuale, timido e fragile stravolto dalla violenza e dagli squilibri economici dell'era Eltsin, successiva alla fine dell'Unione Sovietica. Alla fine, una bella Makarova in tasca gli restituirà le antiche certezze e gli consentirà di affrontare più serenamente quei tempi bui. 

 Esagerazioni che alimentano la nostalgia per il mito perduto, adesso che il ministero della Difesa ha deciso di dotarsi di una nuova arma. La pistola che soppianterà la Makarova viene descritta ovunque con tutte le sue doti di penetrazione, maneggevolezza, velocità di ricarica. È un progetto russo che parte dall'idea di un tecnico italiano. Si chiama Strizh che è un nome poetico perché vuol dire rondone. Giornali e riviste ne esaltano il design moderno e la leggerezza. Dimenticando che, come tutte le pistole del mondo, prima o poi spara.

nicola lombardozzi

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