mercoledì 23 febbraio 2011

Ladri


-" Ma lei, quando esce da casa, torna indietro sui suoi passi per controllare se ha chiuso bene la porta d’ingresso? "– La domanda aleggiava nell’ambulatorio in attesa di risposta mentre guardavo con maleducato stupore il medico.

Fra me e me pensavo: ma che razza di relazione può avere questo con i miei problemi respiratori. Naturalmente la domanda nel mio cervello prendeva forma con termini più coloriti e folkloristici e, per questo, meno riferibili. – E allora? – incalzò l’illustre broncopneumologo, amico di un amico.

Ancora un attimo, compresi e risposi: no, non sono depressa, ho solo male ai bronchi.

Oggi, a distanza di anni, superati i disturbi bronchiali causati dal fumo grazie all’aiuto di un anonimo medico ospedaliero, davanti alla porta d’ingresso della mia nuova casa, porta che mi sembra irrimediabilmente aperta, piena di sacchetti della spesa, stanca dopo un giorno di lavoro, furibonda con tutto il sistema solare e parte della nostra galassia mi tornano in mente le parole del broncopneumologo illustre, luminare della scienza medica amico di un amico, e mi chiedo: mi sono accertata stamattina di aver chiusa la porta di casa?

Anche in questo momento il mio cervello ragiona e parla come uno scaricatore diporto; ma io mi sforzo, educatamente, di tradurre il tutto in lessico da collegio svizzero. Che fatica!

Alle sette di sera potrei rispondere indifferentemente di si come di no: chi diavolo se lo ricorda più se l’ho chiusa questa benedetta porta.
In fondo mi aiutava il luminare della scienza medica a mettermi in guardia dai pericoli della presunta depressione: fossi solo un po’ più depressa mi sarei accertata stamattina di aver chiuso per bene questa benedetta porta di casa. La depressione ha, infine, i suoi vantaggi!

Comunque sia la domanda è: se non ho chiuso la porta essa è rimasta aperta da stamattina e chissà chi è entrato a fare man bassa. Se invece l’ho chiusa, allora è stata aperta da qualcun altro che è entrato a fare man bassa. Rapido calcolo, veloce e febbrile lavorio di quei pochi e sbiaditi neuroni che mi rimangono nel cervello e concludo che, qualunque cosa sia accaduta, la porta è aperta e qualcuno è entrato a casa mia: panico!

Per un carattere ottimista come il mio la possibilità che nessuno, invece, vi abbia messo piede è subito esclusa con dogmatismo aristotelico-tolemaico.
Quadro algebrico di insieme: un sacchetto della spesa nella mano destra + un ombrello gocciolante, ulteriore sacchetto della spesa (mangio troppo) e borsa da lavoro in quella sinistra + borsa da femmina metropolitana postmoderna a manico lungo pervivacemente scivolante lungo la spalla + capello bagnato incollato in testa stile anni venti che proprioamecolfaccionechemiritrovostamalissimo!!! + giornata di furori e passioni al lavoro + più ladri in casa = voglio la mamma!

Calma e ricomporsi altrimenti così conciata corro il rischio di fare la comparsa, se non la protagonista, in un film di Lars von Trier. Il mio cervello pensa già al titolo: “le onde del destino che travolgono il funzionario tecnico dell’ente pubblico che danza nell’oscurità (l’Ente, non il funzionario tecnico) sulla piazza della città dei cani e con i ladri in casa”. Chissà che successo a Cannes!

Butto ciò che ho in mano sul ballatoio, tranne la borsa scivolante sulla spalla, quella dei documenti, del bancomat ect dalla quale mi separo solo per andare a letto tale è il panico di perdere tutto, e suono alla dirimpettaia.

Data l’ora mi apre il marito con la faccia di chi si è alzato per forza dalla poltrona dove obnubilava la sua mente con il solito quiz a premi in TV. Mille scuse per il disturbo e una concitata spiegazione della situazione. Il dirimpettaio mi rassicura, si allontana un attimo, ritorna sull’uscio e impugnando una pistola si avvicina all’ingresso di casa mia e da un calcio alla porta che si apre. Non era neanche tanto obnubilato, considero.

Cerco con tutte le forze di non dimostrare il terrore che provo alla vista di quell’arma (abusiva?) e con un filo di voce, pescata non so dove, dico: si fermi, chiamo la polizia.

Per fortuna il dirimpettaio non ha nulla da ridire e non mi spara.
Chiamo il 113 cercando di spiegare, con la poca coerenza che mi rimane, il fatto. In attesa del la polizia rimango sul pianerottolo (non oso entrare in casa) nello stato prima descritto con l’aggravante che adesso siamo una decina: a me e al dirimpettaio si sono graziosamente aggiunti la moglie e i due figli e gli inquilini degli altri due appartamenti.

Una piccola e spontanea assemblea di condominio con all’ordine del giorno la sicurezza. E giù con: i tempi non sono più quelli di una volta, bisogna fare la voce grossa con l’amministratore, mascalzoni cosa speravano di trovare in casa di una “povera donna sola”, bisogna ritornare al portiere, no il portiere no costa troppo lo paghi tu? e messa cantando.

Li guardo e mi vedo protagonista dell’angelo sterminatore di Bunuel con la sceneggiatura riscritta a due mani dall’Antonioni di Deserto Rosso e dal Resnais dell’Anno scorso a Marienbad.
Kafka in confronto era un principiante.

Nel frattempo vorrei essere sul pianeta Papalla con i pupazzi di Testa, almeno quelli me li ricordo muti.
Riesco ad estraniarmi e cerco di fare previsioni su cosa mi avranno rubato; più ci penso più mi rendo conto che a casa mia non c’è niente da rubare. Basta avere presente la tipologia media delle case in affitto già arredate e chiunque si può rendere conto di ciò tranne, naturalmente, io, troppo coinvolta al momento.

A mente lucida penserei che un ladro che si rispetti neanche ci metterebbe piede in una casa del genere e se, per caso, vi capitasse per errore lascerebbe un biglietto di scuse con qualche banconota di medio taglio per le piccole spese.
Riecheggiano le sirene: eccoli finalmente i poliziotti! Li abbraccerei già solo per la capacità che hanno avuto di fare rientrare tutti velocemente nei loro appartamenti.

Il più anziano dei due entra per primo, io per ultima. Accendiamo la luce e non emerge nulla di strano nell’ingresso. Con molta cautela e in silenzio entriamo nel soggiorno e nell’adiacente cucina, anche qui tutto a posto come nel balcone.

Soltanto Ercolino, il fancazzista gatto tigrato che sfrutta il mio stipendio per alimentarsi, protesta risentito per essere stato svegliato dallo stato letargico in cui bivacca fra un pasto e l’altro.
Il bagno è esattamente come lo avevo lasciato.

Entriamo infine in camera da letto: è qui che si manifesta in tutta la sua cruda realtà il vero disastro. Il letto è disfatto, l’accappatoio è buttato malamente sulla poltroncina, ai piedi del letto si riversano mollemente i collant del giorno prima e sul letto si trova di tutto: libri, giornale, sveglia, foulard da lavare, camicia da notte e vestaglia, e adesso pure Ercolino che non vedeva l’ora di spalmarsi sul letto.

- Si, qui c’è stato qualcuno – commenta con divertita ironia il poliziotto. Io non oso guardarlo: sono rossa sino alla radice dei capelli.
A dirla in breve, in casa non è entrato nessuno e sono stata io stamattina a dare i giri di chiave alla porta senza accorgermi che non l’avevo accostata del tutto. Fortunatamente i poliziotti sono comprensivi ed hanno un gran senso dell’umorismo contrariamente a me che al momento ho lo stesso senso dell’ironia che avrà avuto Robespierre davanti alla ghigliottina, venuto il suo turno.

Che dire. Certamente non sarà un problema sostenere le occhiate irridenti dei miei coinquilini: dopo un mese dimenticheranno l’accaduto, salvo citarlo per dare un senso alle serate invernali a cena con gli amici. Certamente, per depressione o per sicurezza, ritengo bene supremo, quando si esce da casa, controllare se la porta è stata accostata e chiusa bene: se non altro servirà a non fare cattive figure con la polizia.

Quanto al luminare della scienza medica, illustre broncopneumologo amico del mio amico, se lo incontro di nuovo gli mollo un calcio nei cabassisi così impara a fare psicologia da bar con una che, in fondo, aveva bisogno solo di un buon antinfiammatorio per le vie respiratorie primarie.

Torino 20/02/2010 Maria Gullo

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